Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

LamacchinQ,,,o~ella pittura Omar Calabrese La macchina della pittura Roma-Bari, Laterza, 1985 pp. 297, lire 25.000 " L a semiotica dell'arte, dopo aver riscoperto i propri antecedenti in Erwin Panofsky, Pierre Francaste! ed Ernst Gombrich, ha ormai una lunga storia. Nata come applicazione della semiotica generale, secondo gli auspici di Roman Jakobson, si sta oggi rivelando un fruttuoso campo d'indagine capace, per certi versi, di riformulare alcune delle basi di partenza e, se si vuole, di arricchire alcune discipline contigue come, per esempio, l'estetica o la storia dell'arte. Il giudizio forse è troppo ottimistico, ma ci sembra che configuri assai bene i risultati, o almeno le intenzioni, di una raccolta di saggi recentemente pubblicata sull'argomento da Omar Calabrese che continua, pur da una angolazione inedita, le vie intraprese in passato dalle esperienze italiane, francesi e slave di Umberto Eco, Emilio Garroni, Louis Mario, Algirdas Julien Greimas, Boris Uspenskij e Juri Lotman. Senza parlare degli anglosassoni. Esperienze che spesso e volentieri si sono sfidate a suon di simboli e di icone. Qual è la nuova arma di Calabrese? Il titolo del libro promette un ordigno caricato a dovere: La macchina della pittura. Nella premessa, l'autore specifica l'ottica generale nella quale si colloca la sua raccolta di studi, cioè: cercare all'interno degli esiti della pittura figurativa, fra il Quattrocento e il Settecento, tra il Rinascimento e il Barocco, alcuni oggetti pittorici che derivino, anche in modo implicito, dalle riflessioni teoriche sulla rappresentazione visiva. Tale orientamento, preliminare, nasce dalla convinzione di rivolgere la ricerca non semplicemente alle teorie della pittura, espresse magari nei trattati, ma piuttosto a «pratiche teoriche». Va precisato che se, altrove, la nozione di pratica teorica, per certi versi, potrebbe sembrare oziosa, nel contesto della semiotica della pittura ha un posto preciso, inaugurato anni fa dal «Circle histoire - théorie de l'art» di Parigi, di cui fanno parte Hubert Damisch, Louis Marine Daniel Arasse. Calabrese, infatti, considera la realizzazione materiale dell'opera d'arte come espressa all'interno degli argini di un percorso al cui inizio si trova una teoria della rappresentazione dal carattere principalmente astratto. Uno studio che parta dalla precedente convinzione non può fare a meno di optare tra due scelte: a) accettare un ordine cronologico degli oggetti teorici presi in esame; oppure b) abbandonare, intenzionalmente, l'organizzazione storica di questi oggetti. L'autore suggerisce che l'unica maniera per prendere atto, in modo complessivo, dal punto di vista semiotico, delle teorie artistiche è di analizzarle attraverso la concezione cartografica della mappa. In altre parole, non si dà per scontato che il metodo diacronico dello storico offra l'unica possibilità per ordinare gli oggetti studiati dalle scenze umane. L'assunzione di questa di-. versa disposizione delle forme del sapere, di quelle pertinenti alla pittura, trova origine nel tentativo di non cadere nelle maglie di una concezione ·causale dei rapporti tra le opere d'arte e le fonti che, per l'appunto, le hanno precedute storicamente. Nel contesto della scienza dei segni, sarebbe una ere- • dità decisamente infruttuosa. La macchina della pittura non si presenta, dunque, sulla traccia di · una storia delle teorie della pittura, osservate con gli strumenti del semiotico, ma, ciascuna singola teoria, della prospettiva, del colore, del racconto, viene fatta corrispondere a una rete di modelli di sapere che, in modo molteplice e articolato, possono rendere conto dei meccanismi astratti e concreti della produzione della significazione, vale a dire di un processo che testimonia il carattere comunicativo della pittura. La meta principale che si è proposto Calabrese è, innanzitutto, dimostrare, in modo convincente; che ogni oggetto pittorico, poiché anch'esso è un testo, dipende dalle medesime leggi che sono presupposte alla formazione di ogni tipo •dicomunicazione. Così, le teorie che vengono volta per volta descritte sono permanentemente teorie del discorso, perché, per quanto riguarda il percorso di P.roduzione che le r,recede, si può dire che è comune alla produzione di qualsiasi testo. In tal modo, ciò che sta a monte della produzione dei testi pittorici solo nella fase terminale si manifesta nell'aspetto di un supporto materiale planare, bidimensionale, che possiede specifici vincoli eteromaterici. In altri termini, solo nella fase in cui diventa realmente un testo, un dipinto ha caratteristiche proprie che lo diversificano da altre forme discorsive, come il filmo il linguaggio verbale. Quando Calabrese scrive che il Une passion, 1922 senso è generato sempre allo stesso modo, indipendentemente dal materiale in cui si manifesta (p. 4), sviluppa uno degli assiomi principali della semiotica greimasiana. Mentre la maggior parte delle teorie testuali sono, in ultima istanza, teorie dell'interpretazione, Greimas - del quale in Italia è stato da poco tradotto, presso l'editore Bompiani, Du Sens /J(Seuil, Paris 1983)- ha ribadito il punto di vista dell'indagine semiotica. In breve, Greimas ha impostato il suo progetto sui modi di strutturazione dei livelli nei quali è suddiviso il percorso che porta alla produzione degli oggetti culturali, siano essi racconti mitici, pitture, discorsi giuridici. Il centro propulsore della produzione testuale, il pivot, è il fare di un soggetto, mai concreto, chiamato istanza dell'enunciazione, il quale costruisce il testo e, proprio per questa attività, dà luogo a un processo di testualizzazione. Il soggetto dell'enunciazione dà il via alla formazione dei diversi livelli del percorso di produzione: il percorso generativo. L'impalcatura dei piani è rappresentata in. una forma schematica, alla quale Greimas riconosce il carattere ipotetico, e nella quale i passaggi di conversione da un livello a un al- . ' ~ • \~ / ' ...1 1-'i't- ~ . " ·,' ' tro corrispondono a diverse regole deduttive di comportamento sintattico e semantico. In questa direzione di analisi, la questione concernente la teoria in pittura è di certo meno banale di quanto possa sembrare di primo acchito, Vediamone la ragione. N ell'ambito della rappresentazione visiva, la teoria ha diversi modi di presentarsi. Questi modi vanno dagli artifici più astratti e diagrammatici, situati, come per esempio le sinopie e i disegni schematici, lungo il percorso di produzione testuale, fino alle espressioni iconiche decisamente verosimili. Al limite si possono trovare pitture, come Gli ambasciatori di Hans Holbein o La Torre di Babele di Pieter Brueghel, che, al massimo grado, sono . virtuosi esercizi di teoria, in quanto rappresentando un soggetto pittorico rappresentano, al tempo stesso, in modo sincretico, il sistema della sua rappresentazione. È un principio non proprio bizantino e per nulla circolare, visto che anche in altri ambiti più ortodossi, come l'Intelligenza Artificiale, uno studioso autorevole come Douglas Hofstadter, in Godei, Escher, Bach: un'Eterna Ghirlanda Brillante (Adelphi, Milano 1985), ha posto l'accento su un fenomeno simile. In particolare descrivendo le strutture dei processi ricorsivi. Quand'è che due cose sono la stessa cosa? si domanda Hofstadter. La risposta è succinta, la riassumiamo: la ricorsività è basata su una «stessa» cosa che avviene contemporaneamente a vari livelli diversi, ma gli eventi ai vari livelli non sono mai esattamente gli stessi, eppure mantengono qualche caratteristica invariante. Tutto ciò assume,il carattere di un «groviglio» da capogiro, in cui ogni livello interpreta e modifica il successivo. Però in una versione più semplice della precedente. Si può supporre che il processo sia costitutivo di ogni tipo di rappresentazione, poiché lo si trova in pittura, in musica, nei programmi computerizzati! La doppia condizione della teoria, appena descritta, non è estranea a un conflitto specifico inerente alla ·pittura: quello tra gli effetti e le pratiche costruttive di superficie e gli effetti di profondità. Per capire la distinzione, basta pensare alle fastose e coloratissime scenografie architettoniche dei quadraturisti barocchi, nelle quali la parete è la superficie su cui viene predisposta una griglia di linee e forme geometriche che costituiscono il piano di riferimento con- .èettuale per tutte le operazioni seguenti. Compresa l'applicazione del colore che poi le nasconderà all'occhio dell'osservatore, per' ottenere, con efficacia, l'inganno della prospettiva. Il risultato finale, la profondità, oppure l'imitazione di un oggetto del mondo, allo stesso modo di Parrasio, non è altro che un effetto di senso prodotto dall'insieme di tutte le operazioni che lo hanno preceduto. E così, dall'insieme delle procedure della geometria, piana e volumetrica. Nel progetto di una semiotica dell'arte, diventa allora di primaria importanza poter rendere conto anche del ruolo della geometria nell'organizzazione delle rappresentazioni cognitive. Ed è un orientamento che va ben al di là del campo della pittura, se si riconosce che ogni comunicazione umana presuppone aspetti figurativi di vari natura. Infatti, la geometria, a cui allude Calabrese, regge diversi livelli della manifèstazione del senso. Nell'accezione greimasiana: i criteri di realizzazione del testo, di messa in discorso delle parti che lo compongono, di strutturazione della narratività ~ '::I e delle componenti profonde della .s significazione. Si tratta di un'idea ~ non nuova, dopo la Critica della ~ ragion pura di Immanuel Kant, ~ ma non sottova:lutabile nell'ambi- . . .9., to di una disciplina della rappre- ~ sentazione figurativa. :g È. questo il nodo che ·probabil- . ~ mente impegnerà la semiotica del Òo visivo nel prossimo futuro. Infatti s:: sono rette da geometrie le se- ~ gmentazioni testuali con le quali si i dà un ordine alla composizione e, ~

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