., .. .. .. .. ., • Discussioni con W.R. Bion. Los Angeles. New York. Sao Paolo a cura di Francesca Biori Torino, Loescher editore, 1985 pp. 272, lire 17.000 I I ... un~ psicoanalis_iche va '' avanti per due anm, tre anni, quattro anni, per cinque volte alla settimana, all'infinito, è forse l'unico approccio possibile? Si spera di no. Ma, nello stesso tempo, non mi sono mai imbattuto in niente di più efficace, e sono abbastanza convinto della sua efficacia da volervi persistere. Peraltro, è pericoloso essere soddisfatti della psicoanalisi di per sé; uno psicoanalista dev'essere insoddisfatto della psicoanalisi. Ma noi tutti odiamo lo sconvolgimento derivante dal riesame delle nostre opinioni; è talmente disturbante pensare che potrebbe accaderci di cambiare in modo tale da essere costretti a cambiare partner o professione o paese o società. Perciò sentiamo dentro di noi una pressione che ci spinge a dire 'fin qui e non oltre', cosa che instaura una resistenza ali' apprendimento». Sono parole dello psicoanalista inglese Wilfred R. Bion, incluse nelle «discussioni»da lui tenute nel 1976, 1977, 1978(tutte nel mese di aprile) rispettivamente a Los Angeles (con psichiatri, psicoterapeuti e sociologi), a New York e a Sao Paulo. Recentemente riproposte dall'editore Loescher per la cura di Francesca Bion, queste discussioni hanno il merito d'introdurci al pensiero di un personaggio estremamente complesso, sostenuto da un dialogo di cui o~corre sottolineare la spontaneità e la vivacità. Il lavoro di Bion è attualmente considerato una frontiera avanzata della psicoanalisi, una specie di salto all'interno della dimensione kleiniana. Nato nel 1897 in India (Muttra), laureato in storia moderna e medicina, effettua la sua formazione psicoanalitica prima con John Rickman (col quale arriverà a collaborare nel noto «esperimento di Northfield», pubblicato nel '43 con il titolo di Tensioni intra-gruppo in terapia: il loro studio come compito del gruppo), poi con Melanie Klein. Esaurita questa fase (ma avrà modo di dire: «Ci vuole molto tempo per riprendersi da un'analisi») Bion comincia a lavorare come analista, ~ccupandosi particolarmente delle psicosi. Gli analisti avevano sempre avuto una certa difficoltà a trattare gli psicotici, ritenendo che l'interesse rivolto quasi esclusivamente al mondo interno, la chiusura narcisistica dello psicotico, rendesse impossibile il «transfert», cioè il rapporto attraverso cui la terapia può funzionare. Freud stesso aveva assunto tale posizione, considerando la psicosicome oggetto di teoria ma non di una possibile pratica analitica. È Melanie Klein a presentare una teorizzazione della vita mentale in cui il ~ I:! passaggio dalla psicosi alla nevrosi -~ alla.normalità è visto come qualcoc... sa che può essere percorso, diciamo, secondo linee più dirette. Nel '50, colui che credeva ferma- -9 ~ mente con Blanchot che «la répon- ::2 se est le malheur de la question» ~ che, «in altre parole, non c'è nulla ac che uccida del tutto la curiosità cot: me la risposta», presenta il suo pri- ~ mo lavoro: Il gemello immagina- ~ rio, caso di un uomo psicotico. ~ Successivamente pubblica una seLagriglia di Bion rie di articoli che verrà poi raccolta con il titolo di Second Thoughts, e tradotta in italiano come Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico (Armando, 1970). Va detto, a questo punto, che tutti i giovani kleiniani che come Bion cominciano a operare sulla psicosi (Rosenfeld, Hanna Segai) si tre-vano di fronte a un problema particolare: mentre, parlando per linee generalissime, nelle nevrosi le funzioni del pensiero e del contatto con la realtà sono mantenute e il disturbo riguarda l'affettività, l'inibizione, nella psicosi è il pensiero stesso, la sua capacità di simbolizzare a essere attaccato e sgretolato. Partendo da questa riflessione sui fondamenti del pensiero (praticamente ininterrotta da quegli anni fino alla fine della sua vita) Bion sviluppa la parte più originale della sua opera: una teoria del pensiero e una descrizione del funzionamento della mente formulate secondo un modello collegato e derivato dalla psicoanalisi, ma forse più legate alle funzioni. L a prima parte del suo lavoro getta anche le basi cliniche; poi ci sono sviluppi teorici estremamente rarefatti e complessi negli Elementi della psicoanalisi (Armando, 1973) e in Apprendere dall'esperienza (Armando, 1972), in cui viene sviluppata l'idea di un pensiero capace di apprendere dal1'esperienza, di metabolizzare ciò che si sperimenta. Nello psicotico tale capacità è lesa e il lavoro di Bion consisteva proprio nel ricostruire, a poco a poco, quegltatomi sconnessi di mente. Nelle sue pagine cliniche, a dir poco brillanti, soPicabia nel suo studio, 1911 no riportati gli esempi di queste lentissime ricostruzioni. Anche nei lavori più teorici, il riferimento di Bion alla clinica è costante. Pensiamo alla sua teoria della griglia (in Il cambiamento catastrofico, Loescher 1981): una sorta di sistema di classificazione Pagina n. 2 di 391 (rivista), n. 16, Parigi, maggio 1924 degli elementi che compongono la vita psichica, da alcuni paragonato al sistema periodico degli elementi di Mendeleiev. Modello astrattissimo, quasi matematizzante, rispetto al quale Bion afferma tuttora: «Questo è solamente un modello che l'analista si fa per poi calarsi completamente nel transfert». Un tentativo, dunque, di usare strumenti e modelli logici presi dalla matematica (seguendo però una linea molto diversa da quella di Matte Bianco), o da altre discipline (nei suoi testi compaiono riferimenti a filosofi della scienza, a Kant ... ) per utilizzarli all'interno di una dimensione clinica, dalla quale Bion non vuole affatto discostarsi. Rarefazione è un'espressione che sorge spontaneamente, quando si leggono scritti quali La griglia, o gli Elementi della psicoanalisi, che in un lettore privo d'esperienza analitica potrebbero creare un certo sconcerto, perché gli parrebbe d'addentrarsi in una sorta di filosofia della mente. Ma Bion precisa: «La teoria generale può forse andare bene per una vasta applicazione, ma, in pratica, nel mondo della realtà, ci imbattiamo sempre in casi precisi e particolari, non in quelli generali. Io sono proprio stufo di sentire delle teorie psicoanalitiche - se non mi fanno venire in mente la vita reale non mi servono a niente. Un'applicazione della teoria della dipendenza non mi serve, a meno che norimi facciavenire in mente qualcosa che posso vedere in un qualsiasi momento nel mondo in cui vivo» (in Discussioni). B ion è anche considerato il fondatore di un metodo di analisi di gruppo, ma il suo ultimo lavoro su questo esperimen- , to è quella ch'egli chiama una «revisione», scritta dopo aver terminato la formazione analitica, in cui rilegge il lavoro svolto nei gruppi alla luce della teoria di Melanie Klein, rifacendosi in particolare al concetto di identificazione proiettiva. Punto di partenza della sua riflessione sui gruppi sono tuttavia concetti che rappresentano una novità nella teoria psicoanalitica, come quelli di «assunto di base» o di «valenza» (termine preso a prestito dalla chimica e dalla fisica)del quale Bion stesso ci fornisce un chiarimento: «La relazione tra due persone dipenderebbe dal fatto che esse hanno varie caratteristiche, due o più delle quali si sono incontrate - non tutte, perché altrimenti non vi sarebbe nessuna valenza disponibile per relazioni con altre persone che con loro stessi; quello sarebbe un matrimonio così perfetto i:Ia risultare totalmente nonstimolante. Dovrebbe sempre esserci qualche valenza lasciata libera e disponibile all'unione con qualcosa che ancora non è avvenuta. In una situazione in cui noi siamo semplicemente il Signor e la SignoraSotutto non ci sono valenze - nulla per agganciare qualsiasi cosa sia ignota» (in Discussioni}. La conduzione è fo"rtemente centrata sul gruppo come oggetto: nel gruppo, le persone parlano di se stesse, ma il vero oggetto è la «mente di gruppo», la cui conoscenza è necessaria per capire la mente umana. Bion muore a Oxford nel 1979, dopo essere stato una delle figure preminenti della Società psicoanalitica britannica, in qualità di direttore di clinica e di presidente, e dopo essersi trasferito a Los Angeles, nel '68, per sentirsi più libero da impegni istituzionali e dedicarsi maggiormente alla ricerca. La sua sensibilitjl è stata caratterizzata da un profondo e duraturo amore per la poesia, così espresso: «Ricorro ai poeti perché mi sembra che essi dicano qualcosa in un modo che è al di là dei miei poteri, e che pure è tale che io stesso lo sceglierei, se ne avessi la capacità». Amava in particolare Milton, Virgilio, Keats, Shelley, Shakespeare. Dopo la sua morte si è saputo che intendeva addirittura pubblicare un'antologia ad uso degli psicoanalisti, di cui aveva scritto l'introduzione. Il modello poetico, in qualche modo continuamente sotteso al suo pensiero scientifico, sembra affacciarsi all'evidenza attraverso i titoli della sua ultima opera, articolata in una sorta di trilogia del tempo: Memoria del futuro: Il sogno; Il passato presentato, e infine L'alba dell'oblio, titolo che sembra posto - ha sottolineato Gaddini, scomparso di recente - come Unsuggellotriste e definitivo, non solo della trilogia ma dell'intera sua ricerca. _Il 1111!!1~11!1 1111111111111111 ,1 IIIIC ll~IIIIIIIIIIIIISIII •I a111• ~•••• ~111111ae111a111111111111111111111a
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