Alfabeta - anno VIII - n. 81 - febbraio 1986

perché al di fuori della sua cornice non c'è che il nulla. «Ma se il nichilismo è la precondizione dell'estetismo, quali sono le precondizioni del nichilismo?» (Prophets of Extremity, p. 265). La risposta di Megill è che l'estetismo si diffonde nel momento in cui tramonta Jo storicismo, ovvero una concezione di pensiero che attribuisce. una qualche forma (non importa se • evolutiva o involutiva. normativa o. regolativa) di direzionalità alla storia. Lo storicismo è la prec~ndizione della crisi perché solo quan~o si concepisce la storia in termini lineari si può pensarla in termini di Colloque de Cerisy « Violence et vérité» autour de René Girard sous la direction de Paul Dumouchel Paris, Grasset, 1985 L a ricerca di René Girard affonda i suoi presupposti. nel terreno della tradizione ebraico-cnstiana. È a partire da quest'ultima, infatti, che Girard attraversa, operando un singolare rovesciamento di intenti, i paesaggi delle attuali scienze dell'uomo. Le figure sulle quali Girard insiste, a tal punto da renderle indispensabili a qualsiasi comprensione della realtà, sono il desiderio mimetico e la violenza. Entrambe costituiscono meccanismi di funzionamento della comunità umana necessari al suo sviluppo e alla sua crescita. L'aspetto cosiddetto metodologico è quello che balza subito agli occhi. Sconcerta infatti, nel tentativo di Girard, il suo carattere di ipotesi generalizzant~ e unitaria, quello che Jean-Marie Domenach chiama il suo «imperialismo», capace di estendere la forza interpretativa delle sue ipotesi nei campi più diversi. Prese una alla volta le scienze umane hanno smesso da tempo di perseguire un disegno di conoscenza globale e complessiva, si limitano, viceversa, ad approfondire i rispettivi campi oggettuali con metodologie sempre più locali e complesse, ormai prive della pretesa di estendere una conoscenza, riconosciuta a priori come parziale, alle rimanenti regioni del sapere .. Girard rovescia questa situazione e mutà il senso dell'interdisciplinarietà: non uno scambio di metodi e di procedure ma una teoria generale della cultura capace di spiegare la molteplicità dei fenomeni umani senza incorrere nella dispersione caratteristica delle scienze umane. È inutile nascondersi come questo tentativo comporti un elemento di forte paradossalità, cui non è estranea lt1.radice ebraica del suo pensiero. Per rendersi conto della situazione bastano alcune osservazioni. Da una parte Girard riattualizza la lettura ebraico-cristiana della realtà nei suoi aspetti eticomorali e, nello stesso tempo, rimette radicalmente in questione la fondazione di ogni tradizione. Violenza e mimetismo sono appunto le .s figure che, operando ai più diversi ~ • livelli della realtà sociale e culturac:::... ~ ""'" .9 l:: ..(:) ..(:) ~ I:! le, consentono, una volta riconosciute, quell'opera di demistificazione che rimane comunque uno degli intenti principali dello sforzo di Girard. Il Colloquio di Cerisy del 1983, dedicato appun: all'opera dello studioso francese i cui atti sono ~ stati pubblicati recentemente da ..(:) Grasset con il titolo Violence et vé- ~ ~ rité, ha permesso una serie di perrottura, e quindi di crisi. Non che Nietzsche, Heidegger e Foucault siano pensatori storicisti. Ma poiché il loro pensiero vuole programmaticamente misurarsi con questo fenomeno {promosso dalla morte di Dio, dalla fOnsumazione del de- .clino dell'essere nel mondo della .tecnica dispiegata, dall'esaurirsi ,del progetto moderno aperto dal ,cartesianesimo), ed essi stessi si presentano come pensatori della crisi (potremmo dire nel doppio senso del genitivo), finiscono per trovarsi vincolati al quadro concettuale da cui aspirano a sottrarsi. In Derrida non c'è niente di tutto corsi e di letture «intorno» al nucleo problematico, costituito da una teoria che sembra mostrare un volto sempre uguale, definita dall'autorealla stregua di un' «idea fissa», ma nello stesso tempo capace anche di notevole duttilità nella spiegazione dei fenomeni. Uno degli aspetti più volte sottolineato nel corso del Colloquio è la tonalità «ermeneutica» dell'ipotesi di Girard, cioé la.sua valenza interpretativa e il suo carattere di critica delle rappresentazioni. L'ipotesi vittimaria si rivela un potente mezzo di accesso al simboico. La prima fondazione è, infatti, la costituzione stessa del senso. Il movimento di rivolgimento interno attuato dalla folla che proietta sulla vittima la propria violenza è anche un movimento di attenzione, una sorta di sospensione temporanea della risposta al pericolo di dissoluzione che minaccia da vicino la sopravvivenza del gruppo. Questa sorta di attesa si volge in stupore che, ripetuto, diventerà il primo articolarsi del linguaggio. C'é un altro elemento in grado di intervenire nella costituzione del senso ed è il carattere «sostitutivo» della vittima. Nel momento in cui la comunità ha scelto il capro espiatorio quest'ultimo diventa un « segno», qualcosa che sta per un'altra cosa. Le caratteristiche che fanno della vittima un «essere al posto di» implicano la ripetizione, la possibilità cioé che il processo di polarizzazione e di cristallizzazione della violenza avvenga ogni volta che ve ne sia la necessità. Il meccanismo vittimario, così come ce lo descrive Girard, vive d_i questa catena infinita di sostituzioni, il cui termine apocalittico è l'avvento del «regno di Dio» sulla terra, inteso come cessazione delle crisi sacrificali e della violenza. Ora il cristianesimo assume un rilievo particolare nel momento stesso che si presenta sulla scena del mondo come religione dell'ultimo ed estremo sacrificio, quello di un Dio divenuto uomo. La prospettiva della salvezza introdotta in questo modo nel cammino dell'umanità ha la sua origine e la sua ragione nel fatto che il cristianesimo, permettendo il sacrificio del Cristo figlio di Dio, non ha soltanto confermato una delle caratteristiche essenziali di ogni religione, il sacrificio, appunto (tesi sostenuta dalla storia delle religioni di stampo positivista), ma ne ha svelato anche il meccanismo nascosto da un punto di vista particolare e decisivo, cioé da quello della vittima innocente. Il cristianesimo, in definitiva, non si limita come ogni altra religione e come ogni altro rito collettivo a rappresentare la prospettiva della comunità che ritrova la propria. strutturazione interna a spese di un assassinio, ma ne raccoglie gli efquesto. Il mondo {il testo) è un labirinto e la sua configurazione è quella assunta dalla metafisica. Non c'è alcuna meta da raggiungere né un'origine verso cui riandare, un oltre o un altrove verso cui muovere. La distruzione della metafisica cede il passo alla decostruzione, che si limita ad esercitare una funzione terapeutica (nel senso di Rorty: cfr. Prophets of Extremity, p. 345), quella cioè di indebolire la perentorietà dei sistemi di pensiero per mostrare la loro friabilità, i solchi e le lacerazioni che nessuna cloture metafisica pwò riuscire a ricomporre. Ne risulta che Derrida fetti positivi nella eventualità di un superamento. U no degli interventi più interessanti al Colloquio di Cerisy è stato quello di Henri Atlan su «Violenza fondatrice e referente divino» che ha discusso le tesi di Girard partendo dalla distinzione tra i suoi aspetti antropologici e le conseguenze cristiane che secondo lui se ne dovrebbero trarre necessariamente. Da una parte Girard sostiene che l'assassinio collettivo, il vero fondamento della cultura, deve restare nascosto per poter continuare· la sua funzione fondante e quindi risolvere le crisi periodiche della società, le sue cadute nell'indifferenziato o, più precisamente, il rilancio in avanti delle sue possibilità di differenziazione (non a caso Girard usa la parola «meccanismo», a designare la mancanza di una scelta cosciente nella selezione della vittima espiatoria). Dall'altro però, il cristianesimo assume le vesti problematiL'Horizon, 1935 che, in questa prospettiva, di una rivelazione cosciente e pienamente consapevole del meccanismo di espiazione. Per Atlan la confusione nasce dalla posizione di osservatore esterno che Girard assume per descrivere i fenomeni che osserva. È vero che la scelta della vittima avviene in modo aleatorio, cioé la comunità sceglie inconsapevolmen- .te, ma questo avviene solo agli occhi di un osservatore che si trovi, appunto, all'esterno del sistema in funzione. All'interno della comunità, invece, la scelta della vittima è un processo che provoca effetti di senso chiaramente percepiti dagli attori. •Nella soluzione della crisi sacrificale si tratta sempre di un passaggio dall'indifferenziato al differenziato, dal disordine all'ordine. La violenza, sottolinea Atlan, funziona alternativamente a questi due diversi livelli: come crisi mimetica e ridondanza della comunicazione sociale e come espulsione violenta della vittima, durante non decostruisce solamente l'estetismo (Megill osserva che esso potrebbe essere posto in discussione anche dagli altri tre, mostrando come Nietzsche sia stato un protoesistenzialista, Heidegger un fenomenologo, Foucault una sorta di neopositivista), ma anche e soprattutto il pensiero della crisi, il pensiero dei «profeti dell'estremo». Il libro di Megill si conclude allora in un modo (paradossalmente e confessatamente) storicistico: c'è una sequenza dialettica che da Nietzsche porta a Derri~a. I problemi inaugurati dal primo si concludono {in un processo di dissoluzione più che la soluzione della crisi. La posizione di Girard consiste nel legare alla scelta aleatoria della vittima l'intero dispiegarsi della formazione del senso e del relativo sistema di rappresentazione: l'effetto della vittima è il motore del simbolico. Ora, distinti dall'immaginario persecutorio dell'antichità ci sono i Vangeli, testi che parlano della vittima dal suo punto di vista, testi che non occultano l'arbitrarietà della scelta, anzi, la rimettono interamente alla responsabilità e nelle mani degli uomini. I quali per altro, osserva Atlan, non hanno mai smesso di giocare la violenza contro la violenza. «A partire dal momento in cui si riconosce che il meccanismo della vittima espiatrice è fondatore di tutta la società umana, la lotta contro la violenza che accompagna questo meccanismo non si può più fare tentando la soppressione di tutte le istituzioni sacrificali, semplicemente perché questo è impossibile. Perché non può esistere società senza questo meccanismo, la lotta contro la violenza deve effettuarsi tentando di piegarlo e giocando d'astuzia nei suoi confronti, utilizzando una tecnica assai simile a quella dello judo e che consiste nell'utilizzare la forza dell'avversario per abbatterlo». La paradossalità della posizione di Girard è evidente. Lo scenario da lui descritto è quello di una umanità che fino all'avvento delcristianesimo ha giocato applicando regole ad essa sconosciute e che, per effetto di questa rivelazione è improvvisamente chiamata, se vuole continuare il gioco, a conoscere le regole. Ma conoscere queste regole significa giocare un altro gioco: quello del perdono e della non violenza («A partire dal momento in cui si vedono i sistem~di rappresentazi9ne persecutori non si possono più tollerare in quanto tali»). A questo punto è difficile spiegarsi come giocatori degni di questo nome possano aver giocato per così lungo tempo senza conoscere le regole che pur applicavano fedelmente. Atlan rimprovera a Girard non tanto il paradosso, quanto il tentativo di disattivarlo attraverso l'inserimento di un Dio che rappresenti direttamente l'esigenza non violenta dell'umanità, esigenza che per altro non ha riscontro nella realtà concreta del funzionamento sociale. «Se, come dice Girard, questa esigenza d'amore non può essere che divina, questo Dio non ha alcuna parte nella realtà del mondo, perché questo non può essere fondato che sulla violenza.» «Il miglior modo di sbarazzarsi del sacro violento nel mondo è di sospingerlo nella trascendenza. La trascendenza della violenza nelle sue funzioni fondatrici, detto altrimenti, il sacro di questa funzione di «risoluzione») nel decostruzionismo. Derrida, nel mentre porta a termine una tradizione filosoficadi cui è l'erede tutt'altro che fedele, apre simultaneamente lo spazio per un ricominciamento del pensiero, per un nuovo inizio «che ci libererebbe dallo .storicismo e dall'estetismo che, in un modo o nell'altro, hanno dominato il pensiero occidentale sin dall'inizio del diciannovesimo secolo» (Prophets of Extremity, p. 337). percepita coscientemente come tale (e non nel disconoscimento) conduce alla sua espulsione dall'orizzonte normale delle cose». È presente nel tentativo di Girard un'illusione di tipo «freudiano», secondo la quale è sufficiente prendere coscienza, svelare un fenomeno nascosto; p·erché questo scompaia e liberi l'orizzonte. JeanMarie Domenach ha ripreso nella sua discussione i temi della libido sciendi che sembrano animare l'opera di Girard. Per Domenach la sua ipotesi appare una sorta di «apogeo eroico della razionalità moderna», esausta, ma stranamente capace di ritornare, dopo l'attraversamento del nichilismo, all'ultima parola del Dio cristiano. Una capacità che Girard evidenzia nella sua pretesa di scoprire «le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo» e che si rivelano essere il segreto stesso della fondazione. Non è difficile percepire in questo tentativo l'ambizione di giocare . contro il positivismo della «morte di Dio», quello che ne decreta l'estinzione meramente «naturale», una sorta di «illuminismo pienamente realizzato» che ritrovi nella saggezza non violenta del cristianesimo la possibilità di una spiegazione globale in grado di chiudere la storia. La verità della vittima, della sua innocenza non è solo la cosa nascosta e occultata da una falsa coscienza da sempre all'opera nella storia del desiderio mitnetico dell'uomo, ma è anche l'oggetto di un'osservazione che può spingersi fino alle lontananze degli inizi grazie ad una «volontà di sapere» interamente ascrivibile alla «modernità». Girard è un critico della modernità che però usa nel suo progetto tutta la forza demistificante presente in essa. Ne inverte il cammino e piega la conoscenza salvifica del piano divino sulla superficie di quel sapere, necessariamente incompleto, che la società moderna ha sviluppato su se stessa e sul suo passato. Domenach, da un punto di vista più propriamente cristiano, si interroga sui demoni presenti in questo tentativo: la pretesa ad una spiegazione globale, il mito della trasparenza sociale pienamente realizzata è il sogno di una città terrena penetrat<1d: allo spirito e votata interamente al Bene . Il confronto con Girard, secondo Domenach, avviene sul terreno del suo desiderio di certezza: «Una conoscenza che non conosce i suoi limiti e pretende di colpo di chiarire la storia passata, presente e a venire non può evitare il sussistere, fino alla fine, di un~ parte di tenebre che non è l'inverso del giorno, ma il luogo di propagazione della luce».

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