Vedi?Qui c'era una bellaprigione... La gabbia era dorata era sospesa e sotto: Terra terra terra, vola! Una prigione dorata? Magari... («la dorata prigione del vizio», disse un papa al bambino nell'udienza; e quel sottile, que~'eretto e bianco offriva - non già la salvezza ... Viaggioimmobile E quando sorge una parete liquida tra lui e altra persona in automobile, è come una colonna scanalata nei templi antichi fatti dai giganti: ogni canale di pietra è una nicchia dove può stare ad agio una persona. In quel muro di gocce non piovane ma la speranza di una nobiltà a lui plebeo confuso che guardava). . che pare una cortina di mutezza è incastonata lei, che gli parla - Ma qui non c'è l'oro matto del vizio; nemmeno l'oro puro della gioia. È solo la indoratura della umana ragione. Adesso l'aurea crosta si è staccata, e tra le sbarre della gabbia fradicia la scimmia del pensiero è ormai fuggita. Piazza del Duomo, Milano 1°settembre 1985 Giungereal giustosegnodel vero Ilgiustosegnodel veronon esiste. Sopra tutto quando questo «vero» è un nodo di fatti nel mondo della politica - fatti che riguardano le peripezie del potere, le alternanze disperate tra il controllo e la mancanza di controllo. All'inizio di ogni anno accademico (da quanti, ormai, anni?) ha luogo la rituale protesta studentesca contro il Sud Africa, nelle università statunitensi. La sua forma preferita è l'agitazione contro questa o quella università perché essa si privi volontariamente di quel pacchetto di azioni (all'interno del grosso pacco che essa controlla) che sono direttamente connesse all'industria sudafricana. Che questa protesta sia ormai ritualizzata non significa che essa non abbia momenti duri di scontro (vedi il caso, recentemente, di Columbia); non significa nemmeno ch'essa sia priva di efficacia (alcuni risultati, con vari risvolti legali ed economici, si possono scorgere). Eppure, vi è in questo movimento per quello che qui si chiama divestment un che di supercilioso e moralistico: per certi aspetti, esso rientra in quella morbida retorica dell'Edipo che caratterizza buona parte della tradizione studentesca di protesta negli Stati Uniti. Il giusto segno del vero non esiste. Ma il problema è appunto questo: quali segni trovare che- se pur non raggiungano questa cosa inattingibile, il vero - almeno puntino ma lei non gli parlava, in automobile ... Allora, vi è lei che lo ascolta - ma egli non ha mai sentito che lei lo avesse molto ascoltato... Vi è lei e basta; la sua mano offre ciò che lo stesso movimento toglie: poiché porge soltanto l'ombra concava di una compagnia di non parole. Ci sono: lei, che mutamente chiede - senza sorriso - il balzo di una fede; e lui, costante nel suo riguardare (come si guarda ali'alba da dietro le palpebre chiuse la grave, la memorata - il macigno che non perdona al petto sottostante) il salto ch'egli non ha mai compiuto. New Haven 9/10 settembre 1985 in quella direzione. A Yale in questi giorni il segno della protesta è un nastrino rosso che gli studenti (son pochi) di solito si annodano intorno alla manica della giacca o del maglione. A Harvard anni fa il segno fu più drammatico: un bel mattino d'inverno trovammo nel cortile centrale dell'università, sul tappeto ancora quasi intatto della prima neve, un plotone di nude croci nere - nient'altro: niente cartelli, niente spiegazioni. Il giusto segno del vero non esiste. L'attivista nero Benjamin Moloise, appiccato il 18 ottobre nella Prigione Centrale di Pretoria, è definito in alcuni notiziari come poeta. Il New York Times del giorno seguente scrive (con la sua attenSopraun mazzodi fiori, inviatidopoun pranzo ., Non so contare i modi della viola; dunque posso soltanto guardare i diversi colori della cosa, discendendo dallo strumento al fiore. Non so tentar le corde della viola; dunque posso soltanto toccare i garofani nuovi - quelli viola che vengono dal Cile - i viola mescolati con i bianchi i viola intràliodati fra i paonazzi i viola che, ribelli all'intenzione, parlan di malattia e non cinguettano ringraziamento picçolo. Non so toccare i tasti de~'avorio; dunque posso soltanto toccare, frugare con le dita nella molle materia, arrivare fin dentro le corolle - ma il mazzo violabianco è una testa scoronata e il vaso si so-disfa e cede al tocco - Proved'artista Paolo Valesio [Alfabeta 81] penetro con le unghie fino dentro al cervello. Ogni fiore reciso è freddo, ferreo; ma io non ho la scelta, e non ho il tempo. Ho immerso il viso dentro una corolla, fresca come una guancia indifferente; ho parlato mordendo, ho spiegato: «Io parlo molto, perché parlo poco». Biblioteca «Sterling», Università Yale 2 novembre 1985 zione a mettere i puntini sulle «i») che Moloise «scriveva poesie». Il sottinteso sembra essere che Moloise (morto a trent'anni) scrivesse poesie, ma che esse non fossero ancora pubblicate. Ignoro se Benjamin Moloise sia autore di libri a stampa, non so· dunque se egli possa esser definito un poeta «professionale» (che vuol dire poi, poeta professionale?). Ma, dopo che tutto è stato negato a quest'uomo, io non penso si possa negargli il nome di poeta. Non sono ancora riuscito a procurarmi le sue poesie; chi sa se questo sarà possibile un giorno, a me e agli altri. Ma non è ciò che importa adesso, in un momento in cui il tempo stringe. L'unico segno (minuscolo, debolissimo) che io possa dare è dedicargli le tre ultime poesie che ho scritto. Spero che altri poeti italiani dedichino loro poesie a Benjamin Moloise. Senza alcuna preoccupazione di pertinenza tematica o politica. A lui, o ad altri poeti carcerati o uccisi. Le poesie sono un segnoin quanto poesie: anche se non parlano del Sud Africa, anche se non parlano di lotta sociale. Si comincia da dove si può, si lanciano segnali con quel che si ha - anche se invece di bandiere uno a un certo punto può agitare soltanto un brandello, uno straccio. Paolo Valesio
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