diritti dell'uomo, libertà formale che ci siamo ormai conquistata, ma a una libertà concreta, flessibile, libertà di federarsi, di decentrarsi, la libertà che si può cogliere nell'istituzione e in ogni cittadino dell'America. Dal giorno in cui oltreAtlantico è sbocciata questa modernità eccentrica l'Europa ha cominciato a sparire, non realmente, ma simbolicamente, leggendariamente, miticamente. I miti si sono trasferiti. Tutti i miti della modernità sono oggi americani. Affliggersene non serve. A Los Angeles l'Europa è scomparsa. Come dice I. Huppert: «Hanno tutto. Non hanno bisogno di nulla. E anche se a volte ci invidiano e ammirano il nostro passato, la nostra cultura, in fondo ci considerano come una specie di Terzo mondo elegante». In Europa siamo rimasti, alla meglio o alla peggio, idealisti della rottura, ma non l'abbiamo mai consumata. Non abbiamo mai avuto una frattura drastica con le nostre origini, infinitamente lontane nel tempo. Gli americani non sognano la rottura perché ne vivono una, evidente, fondatrice, quella con l'Europa e con il vecchio mondo. Questa frattura continua a stimolarli mentre la nostra continuità ci sconfigge. Una frattura ci rigenererebbe, ma quale? Ormai non siamo che un coacervo senz'anima di rapporti di forza e di ideali invecchiati. Non ci resta che l'immagine di una storia imprendibile, una vista sfuggente sulle rovine della storia. Lévi-Strauss distingueva tra società calde e fredde, a seconda che fossero entrate o meno nella storia. Ma purtroppo tra le due occorre inserire società riscaldate, le nostre, in cui la storia è ormai l'ombra di se stessa. Meglio allora le società fredde, come le società primitive, come l'America, fredda sì rispetto alla storia, ma viva dimora d'energia di rottura. L'America è la versione originaria della modernità, noi ne siamo solo una imitazione, un riflesso. L'America esorcizza la questione dell'origine, non si cura di origine e di autenticità mitica, non ha un passato originario né una verità fondatrice. Non avendo conosciuto l'accumulazione lenta e secolare del principio di verità, vive nella perpetua simulazione, nella perenne attualità dei segni. Essa non ha un territorio ancestrale tranne quello degli indiani, oggi circoscritto nelle riserve che sono l'equivalente dei musei dove stipa i Rembrandt e i Renoir. Ma tutto ciò senza presunzione o malafede - l'America non ha problemi di identità. La spinta futura è in mano ai popoli senza origine, senza autenticità, che gestiranno fino in fondo questa situazione. Il Giappone, in un certo senso, è riuscito a realizzare questa situazione meglio degli Stati Uniti, è riuscito, con un paradosso per noi inesplicabile, a convertire la potenza della territorialità e della feudalità in spinta all'extraterritorialità. Il Giappone è già un satellite del pianeta Terra. Ma l'America è stata, a suo tempo, un S<;ttellite del pianeta Europa. Lo si voglia o no, il futuro è rivolto verso i satelliti artificiali. G li Stati Uniti sono l'utopia realizzata. Non bisogna paragonare la loro crisi alla nostra di vecchi paesi europei. La nostra è quella degli ideali storici di fronte a un'impossibile realizzazione. La loro è quella dell'utopia realizzata in relazione alla sua durata e alla sua permanenza. L'idilliaca convinzione degli americani, di essere il centro del mondo, la potenza suprema e il modello assoluto, non è sbagliata. È una convinzione che non si basa semplicemente sul-. le risorse, sulla tecnologia e sulle armi, ma si fonda soprattutto sul presupposto miracoloso di un'utopia incarnata, è la convinzione di una società che, con un candore che spesso ci è insopportabile, proclama di essere la realizzazione di tutto ciò che gli altri hanno sognato: giustizia, abbondanza, diritto, ricchezza, libertà: essa lo sa, ci crede, e a poco a po_coci credono anche gli altri. Inebetiti da questa anticipazione dell'ideale (e non si dimentichi la consacrazione fantasmatica di tutto ciò grazie al cinema) gli altri finiscono per rivolgersi, nella crisi attuale dei valori, verso quella stessa cultura che ha osato materializzarli con un colpo di scena, verso quella cultura che, grazie alla rottura geografica e mentale dell'emigrazione, è riuscita a creare un compiuto mondo ideale. Al di là di previsioni e giudizi sull'arroganza del dollaro e delle multinazionali, questa cultura affascina anche chi ne soffre, perché anche chi ne soffre è convinto ch'essa abbia materializzato tutti i suoi sogni. Convinzione intima e delirante, ""'' .-----~~~ ~=- ::...~·:...:~ ' . ~--=.-. ~ . r--~:,, - 't ---••' - • e;a..'-- .. _..=.,- .:...._ "'... -~ •. ~---~~'?.;~.-- .. , ... '. !ii!!-=;:.::..:.~ 16:•-:- •~• .. .; - •• - =..-·!' --· ·-· ._· ma non così delirante come altre: tutte le società pionieristiche sono più o meno state società ideali. Anche i gesuiti del Paraguay, anche i portoghesi del Brasile hanno, in certo modo, fondato una società patriarcale e schiavista ideale (ma a differenza del modello nordista, anglosassone e puritano, il modello sudista non poteva universalizzarsi nel mondo moderno). Esportandosi (l'oltremare costituisce una sorta di ipostasi) l'ideale si purga della sua storia, si concretizza, si sviluppa con un sangue nuovo e un'energia sperimentale. Il dinamismo dei «nuovi mondi» è testimonianza della loro superiorità sulle patrie d'origine. Questi mettono in pratica l'ideale che quelle coltivavano come fine ultimo e segretamente impossibile. La colonizzazione è stata, in questo senso, un colpo di scena mondiale che ha lasciato, ovunque si è spinta, tracce profonde e nostalgiche. L'idealizzazione dei valori generata dall'esperienza unica della colonizzazione ha, di colpo, mandato in cortocircuito il destino degli stessi valori nei paesi d'origine e li ha dissolti completamente. La nascita di queste società nella storia annulla il destino delle società storiche. Mettendo brutalmente • ~ .... . • .' -~ .. -_ ';~ ~:_;: ~;>. ~-'::::~- •: ~·-.:✓~~\ in gioco la loro essenza, oltremare, queste ultime perdono il controllo della loro evoluzione. Il modello ideale che hanno creato le annulla, e la loro evoluzione non sarà mai più in forma di allineamento progressivo. Per valori fino allora trascendenti (i valori storici e metafisici europei) il momento dell'immanenza, della realizzazione è un momento irreparabile. È questo che, qualunque cosa accada, ci separa e ci separerà dagli americani. Non li raggiungeremo più e non avremo mai il loro candore. Non facciamo altro che imitarli, parodiarli con cinquant'anni di ritardo, e, del resto, senza successo. Ci manca l'anima e l'audacia di ciò che si può chiamare il grado zero di una cultura, la potenza dell'incultura. Abbiamo un bell'adattarci a uno stile di vita,· a un modello, a una visione del mondo che ci sfuggirà sempre, così come la Weltanschauung trascendente e storica dell'Europa sfuggirà sempre agli americani. Così come i paesi del Terzo mondo non interiorizzeranno mai i valori della democrazia e del progresso tecnologico - fortunatamente le fratture irreparabili esistono e non potranno mai saldarsi, non potrà mai esserci un'evoluzione mondiale. Resteremo utopisti nostalgici dilaniati dall'ideale, ma in fondo restii alla sua realizzazione, professando che tutto è possibile ma mai, mai e poi mai, che tutto è realizzato. Questo è il paradosso dell'America e ciò che la rende affascinante. Per noi il problema è che le nostre vecchie finalità - rivoluzioigionierocolpitoa morte • I • -.~ ne, progrésso, libertà - si dissolveranno prima di essere raggiunte, prima di essersi realizzate, di aver vissuto, anche solo nell'immaginazione. Di qui la melanconia. Non avremo mai la possibilità di un colpo di scena. Noi viviamo nella negatività e nella contraddizione, gli americani vivono nel paradosso (perché è un'idea paradossale quella dell'utopia realizzata). E la qualità dello stile di vita americano risiede appunto in questo umorismo pragmatico e paradossale, mentre il nostro umorismo si caratterizza (si caratterizzava?) per la sottigliezza dello spirito critico. Alcuni intellettuali americani ce lo invidiano, e vorrebbero rifarsi dei valori ideali, rifarsi una storia, rivivere le delizie filosofiche e marxiste della vecchia Europa. Ma così annullerebbero l'originalità della loro situazione, dato che tutto il fascino e la potenza dell'(in) cultura americana viene dalla materializzazione improvvisa e senza precedenti dei modelli. 11principio dell'utopia realizzata spiega l'assenza e anche l'inutilità della metafisica e del1'immaginario nella vita americana. Esso crea negli americani una percezione della realtà molto diversa dalla nostra - il reale non è legato all'impossibile, e nessun insuccesso può escluderlo. Ciò che è stato pensato in Europa si è realizzato in America. Tutto quello che sparisce in Europa riappare a San Francisco! Perciò l'idea di un'utopia realizzata è un'idea paradossale. E se la negatività, l'ironia, il sublime legato ad un progetto impossibile governano il pensiero europeo, il paradosso domina il pensiero americano, l'umorismo paradossale di una materialità compiuta, di una evidenza sempre nuova, di una freschezza nella legalità del fatto compiuto che ci stupisce sempre; l'umorismo di una visione ingenua delle cose, dell'enigmatica trasparenza della storia, mentre noi andiamo a spasso nell'inquietante stranezza del già visto. Noi accusiamo gli americani di non saper analizzare e concettualizzare. Ma sono accuse inutili, falsi processi. Siamo noi infatti a pensare che tutto culmini nella trascendenza, che nulla esista che non sia stato pensato nel suo concetto. Gli americani non solo non se ne ricordano, cosa che scandalizza i nostri filosofi cisatlantici, ma il loro lavoro «storico» (per usare i nostri concetti), il «progetto culturale e filosofico» che essi inseguono è esattamente opposto. Non idealizzare e concettualizzare la realtà, ma realizzare il concetto, materializzare le idee. E non solo le idee religiose e morali illuminate dal XVIII secolo, ma anche i fantasmi, i sogni, i valori scientifici e le perversioni sessuali. Materializzare la libertà ma anche l'incoscienza. I nostri fantasmi dello spazio o della fantascienza ma anche della sincerità e della bontà morale, i deliri tecnologici - tutto ciò che è stato sognato al di qua dell'Atlantico ha possibilità di realizzarsi al di là. Essi fabbricano il reale partendo dalle idee, noi trasformiamo il reale in idee, o in ideologia. Laggiù ha senso solo ciò che si realizza, che si fa, mentre qui da noi ha senso solo ciò che si idealizza, si pensa, si nasconde. Anche il materialismo che in Europa è solo un'idea, in America si realizza concretamente nella realizzazione tecnica delle cose, nel passaggio da modo di pensare a modo di agire, dalla psicologia profonda allo psicodramma commerciale, ecc., nelle «riprese» della vita, come si dice nel cinema («azione», si dice, e la cinepresa comincia a girare). Noi scriviamo la sceneggiatura intellettuale delle cose, gli americani girano; in cambio essi hanno diritto alla versione originale e noi alla versione doppiata della ::::: modernità. c::s .s Questa è dunque la loro propo- ~ sta: dall'idea al reale, dall'ideale ~ alla pratica, una morale della «rea- ~ lizzazione» del tutto opposta alla· -. nostra morale dell'idealizzazione e -~ dell'incompiutezza. Noi ci prepa- ~ riamo al Giudizio Universale in ~ funzione della Storia delle Idee, o ~ dello specchio delle intenzioni. Lo- ~ ro sono negli affari, sono l'opera- ~ ~ zione attiva del mondo, e saranno ..(:) ~ giudicati per quello che hanno fat- ~ to, nel modo in cui si giudicano lo- -8 ro stessi. ~ Gli americani credono ai fatti ma ] non alla fatticità. Immersi nell'evi- ~ denza pragmatica delle cose confe- ~
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