Alfabeta - anno VIII - n. 80 - gennaio 1986

Madrid: Jean Baudrillard L'utopia realizzata pagina I Palermo: GesualdoBufalino Amo tutto ciò ch'è scritto pagina III GianfrancoMarrone Realismo e verosimiglianza pagina IV Viareggio: LucianoAnceschi Rileggere D'Annunzio pagina V Piero Bigongiari D'Annunzio e la funzione della luce pagina VI BiancamariaFrabotta Il filo che non tiene e il colosso d'argilla pagina VIII CesareGreppi Dico no a D'Annunzio pagina IX ValerioMagrelli I cani del nulla pagina IX CesareViviani Una topica dannunziana pagina X Città del Messico: Haroldode Campos Dalla morte dell'arte alla costellazione pagina XII Supplemento ad Alfabeta n. 80 • Gennaio 1986 Il giornale-rivista Alfabeta ha già per anni pubblicato via via materiali di convegni, incontri, conferenze, non casualmente, ma perché connessi al proprio lavoro d'indagine culturale continua. Ogni volta c'era una proposta da parte della organizzazione del convegno, ed essa veniva verificata da un direttore nel convegno stesso, COl\lettura e scelta poi in redazione. Così Alfabeta si è già fatta sede di una circolazione di idee e discussioni, di alto livello culturale, provenienti dalle università e da altri centri. Ora la direzione del giornale - che ha già promosso alcuni convegni per propria cura - si è resa conto che in questo ambito avviene oggi un momento non solo di confronto in certe occasioni, come una volta, ma di esercizio della comunicazione, di tematizzazione autonoma degli interessi intellettuali, di partecipazione conoscitiva dei giovani studiosi. Con questi motivi si decide di sviluppare con piena attenzione la capacità di Alfabeta di portare (attraverso le edicole) un discorso esente da ogni condizionamento e dalla semplice divulgazione. Si istituisce perciò una serie regolare e continua di supplementi del giornale (a fianco dei «Supplementi letterari» già giunti al n. 5, e a fianco degli altri che hanno un argomento tempestivamente deciso). Saranno detti «Supplemento. Centri del dibattito», con numero progressivo e indice interno; e daranno varie relazioni e interventi presentati nei dibattiti culturali e critici più vivi, con una scelta connessa agli orientamenti del giornale, e ogni volta con una breve nota complessiva di riferimento al convegno da cui si ricava il materiale pubblicato. Perciò stesso invitiamo gli enti e i gruppi di organizzazione dei convegni e incontri ad informarci della possibilità di uso (come anticipo rispetto agli eventuali «atti» del convegno) da parte nostra, in un impegno di tempestività che è ovviamente relativo alla situazione del lavoro di Alfabeta. La direzione di Alfabeta Madri Baudrillard Sul n. 77 di Alfabeta (ottobre 1985) abbiamo pubblicato nella rubrica «Cosa Nostra» il Manifesto di Madrid, stilato a conclusione del convegno «El espacio cultura! europeo» (17-19 ottobre 1985). I nostri lettori sanno dunque già di che cosa si tratta. Tra i numerosi interventi e relazioni ne abbiamo scelto uno solo, un testimone per tutti, che abbiamo giudicato tra i più significativi. L'utopia realizzata Jean Baudrillard U n confronto tra l'America e l'Europa, anziché suggerire una relazione, mette in luce un'opposizione, una frattura insormontabile. Non ci separa solo una sfumatura, ma un abisso di moder- ...... nità. Moderni si nasce, non si di1::s venta, e noi non lo siamo mai stati. .s ~ Ciò che salta agli occhi a Parigi è il l::l.. diciannovesimo secolo; venendo ~ da Los Angeles si atterra nel di- ..., ciannovesimo secolo. Ogni paese -~ segue una sorta di predestinazione ~ «storica» che nasce da una scena <:I) bo primitiva, originaria, e ne marca ~ definitivamente i tratti. Da noi è il modello borghese dell'89 e l'inter- ~ minabile decadenza di questo moÌ dello a disegnare il profilo del pae- ~ saggio. Non c'è nulla da fare: tutto S qui ruota attorno al sogno borghe- ~ se del diciannovesimo secolo. ] ~ ~ "' Per l'europeo l'America, ancora oggi, rappresenta una forma soggiacente dell'esilio, è il fantasma dell'emigrazione e dell'esilio, è l'interiorizzazione della sua cultura. Nello stesso tempo essa corrisponde a un'estroversione violenta, e dunque al grado zero di questa stessa cultura. Nessun altro paese svolge a tal punto questo processo di disincarnazione e, contemporaneamente, d'inasprimento, di radicalizzazione dei dati primari delle nostre culture europee. È un cambiamento brusco quello dell'esilio volontario, un colpo di scena mentale (ma non si dimentichi che il puritanesimo, quello dei futuri Padri Fondatori del XVII secolo, consiste già in un esilio volontario dell'uomo nella sua coscienza, e che è questo stesso esilioche si è, in seguito, materializzato nel transfert geografico dell'emigrazione) grazie a cui ciò che era restato in Europa, per un secolo, esoterismo critico e religioso nella pratica delle sette si trasforma improvvisamente in esoterismo pragmatico. Una rigorosa legge morale presied~ sia all'esilio sia a questa trasformazione pragmatica, e tutti i princìpi americani, che si ritrovano oggi valicando l'Atlantico, rispondono a questa doppia immagine, da una parte con l'approfondimento della legge morale nelle coscienze individuali, con la radicalizzazione dell'utopia morale, dell'esigenza utopica che è sempre stata il germe delle sette, dall'altra con la materializzazione immediata di questa esigenza, di questa utopia, nel lavoro, nei costumi e nello stile di vita. 11 vero sacramento, in questo nuovo scenario spirituale dell'esilio volontario, è quello del modo di vivere. L'autentica rivoluzione è nello stile di vita. Atterrare in America è, ancora oggi, atterrare in questa utopia, in questa rivoluzione, in questa «religione» del modo di vivere di cui già Tocqueville parla così bene (malgrado le apparenze, gli americani sono il Maria Maddalena popolo meno cambiato in due secoli, la loro struttura mentale è esattamente quella descritta da Tocqueville); l'esilio e l'emigrazione, agendo come una sorta di rivoluzione, hanno cristallizzato definitivamente questa nuova legge morale, questa utopia materiale del modo di vivere, del successo e dell'azione come illustrazione profonda della legge morale, e l'hanno in un certo senso trasformata in scena primitiva - così come da noi, in Europa, è stata la Rivoluzione dell'89 a marchiarci definitivamente, sebbene non allo stesso modo: la nostra rivoluzione è stata trascendente, e ci ha segnati col sigillo della Storia, dello Stato e dell'Ideologia. La sfera politica e storica, e non quella utopica e morale, resta la nostra scena primitiva. E se questa rivoluzione «trascendente» alla europea non è più oggi sicura dei suoi fini e dei suoi mezzi, non si può dire altrettanto di quella, immanente, del modo di vivere americano, dell'asserzione morale e pragmatica che costituisce, oggi come ieri, il pathos del nuovo mondo. Lascio ad altri, poiché io non ne ho, la cura di avere idee sull'Europa. Voglio semplicemente far notare la pericolosità di certi transfert. Quando vedo americani (specialmente intellettuali) guardare con nostalgia all'Europa, alla sua storia, alla sua metafisica, alla sua cucina o al suo passato, penso che si tratti di un transfert pericoloso. Quando vedo l'Europa incespicare sulla modernità penso che si tratti di un transfert infausto. Bisogna confessarlo: noi viviamo da molto tempo nella nostalgia della modernità, nella sua cattiva coscienza. Le forme storiche hanno un elemento di irriducibile originalità: in questo senso la storia non è quella del progresso, ma è irreversibile e inarrestabile. N el corso della sua storia l'Europa ha inventato un certo tipo di feudalesimo, di aristocrazia, di borghesia, di ideologia e di rivoluzione: tutto ciò ha avuto senso per noi ma non ne ha altrove, e tutti coloro che hanno voluto scimmiottarlo altrove si sono resi ridicoli o hanno sbandato pericolosamente (noi stessi• non facciamo altro, da un po' di tempo, che imitarci). L'America invece si è trovata in posizione di rottura e di radicale modernità: solo in America la modernità è originale perché è là che è stata inventata. Noi non facciamo e non faremo che imitarla. Quando accade un fatto, accade in un luogo e lì si esaurisce, e benché si tenti di riprodurlo o di ispirarvisi non se ne ricaverà che una versione sbiadita e infedele. La modernità non è uguale per tutti. Certo noi siamo sempre al centro, ma al centro del vecchio mondo, mentre quelli che erano ai margini, trascendenza marginale del vecchio mondo, sono oggi al centro nuovo ed eccentrico, e godono tutti i benefici dell'eccentricità, loro atto di nascita. Non potremo mai scalzarli da questa posizione né la nostra concezione di libertà, morale e politica, potrà mai rivaleggiare con la loro, spaziale e mobile, visto che un giorno loro si sono affrancati dalla centralità storica del vecchio mondo. Noi non potremo mai allontanarci in egual misura da noi stessi e non saremo perciò mai propriamente moderni, non avremo mai la stessa libertà - non penso ai

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