Su Habermas/2 non Modernità, moderni azione Jiirgen Habermas Der philosophische DiskursderModerne Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1985 S i può affermare che il tema della modernità percorre, in modo più o meno implicito, tutta l'opera di Jiirgen Haberinas, senza escludere quei testi scritti nel fragore degli anni della contestazione studentesca, anni per Habermas - va detto per inciso - di amara, lacerante sofferenza culturale e politica. E ciò si spiega con il fatto che la questione della modernità appare in Habermas sempre legata a un'altra, anch'essa ricorrente nel suo pensiero, la questione relativa alla possibilità (o meno) di riproporre oggi alcuni elementi fra i più caratterizzanti dell'eredità illuministica. La posizione di Habermas al riguardo è ormai nota. Egli contesta, e ultimamente con sempre maggior insistenza, la validità della famosa diagnosi critica di Horkheimer e Adorno, che intravedeva nell'illuminismo una tendenza irreversibile alla autodistruzione (Selbstzerstorung). Per Habermas, tale tendenza, seppur verificabile nella realtà, è tutt'altro che irreversibile. Lo stesso vale per il ruolo della ragione (Vernunft). Non è vero, infatti, che la ragione sia fatalmente destinata, come si legge nella introduzione alla Dialettica dell'illuminismo, all'autoannientamento (Selbstvernichtung). Al contrario, Habermas prospetta una nuova idea di ragione, una ragione che si definisce non in astratto, ma sul piano concreto, operativo, dell'agire pubblico comunicativo. Ragione che viene giudicata in base alla sua affidabilità performativa, alla sua capacità di generare consenso e reciproca fiducia tra uomini socialmente emancipati. Insomma, una ragione in tal modo configurata che, da una parte, sia atta a ribadire un progetto di modernità fortemente ancorato, secondo Habermas, alla tradizione illuministica della «razionalità occidentale», dall'altra a superare le attuali patologie riscontrabili dovunque nella modernità stessa. Questa è, semplificata al massimo e con tutti i rischi che ogni semplificazione comporta, la sostanza del suo pensiero. Il programma di ricerca di Habermas, va detto subito, è ambizioso e non privo di difficoltà di inserimento nell'odierno contesto del dibattito socio-filosofico. Infatti il suo metodo è, per certi versi, decisamente provocatorio, soprattutto quando rivisita criticamente la storia delle idee, dal '700 in poi, cercando di individuare le cause e, come vedremo, anche i responsabili dell'attuale diffuso atteggiamento diffamatorio nei confronti dell'illuminismo e della ragione. Nella sua impostazione teorica, Habermas fa la scelta di assumersi il ruolo, piutc::s tosto scomodo con i tempi che cor- .5 ~ rono, di un «pensatore fuori mot:l.. da», ossia un pensatore che non ac- 'O ~ cetta le categorie interpretative og- -. gi dominanti nell'universo del di- -~ scorso filosofico. Non cede alla t: t: ~ bo ~ tentazione, peraltro facile, di annunciare la «fine della modernità». Neppure la «fine (o la crisi) della ragione». Sarebbe però fuorviante ~ (e prova di perfetta malafede) at- -c tribuire a Habermas un atteggia- ~ ~ mento di caparbia, ottusa difesa della ragione di stampo illuministico o neoilluministico. Habermas ribadisce la legittimità, anzi la necessità, di fare della ragione un oggetto di sospetto critico, e in questo - forse solo in questo - rimane fedele alla tradizione francofortese. Ma egli accetta soltanto un sospetto limitato, un sospetto che si ferma di fronte a quella soglia al di là della quale, a suo parere, il pensiero si congeda dal pensiero, da ogni forma di pensiero che meriti di ritenersi tale. Questo sospetto limitato, da un lato, fissa confini precisi alla critica della ragione, dall'altro, alla ragione stessa. La ragione di Habermas ha qualcosa in comune con la «razionalità limitata» di Herbert Simon, una razionalità che ha imparato a dosare le proprie pretese. Malgrado tutte queste sfumature, una cosa è certa: il suo è un tentativo che si colloca, diciamo, controcorrente rispetto a coloro che, come i fautori del decostruzionismo o del genealogismo d'impronta . nietzschiano-heideggeriana, continuano a fare del sospetto generalizzato il metodo della loro impresa intellettuale. In altre parole, controcorrente rispetto a coloro che, da ottiche certamente assai diverse, convengono tutti nello scartare, in quanto irrecuperabile, l'autonomia del soggetto raziocinante nella storia, e addirittura del soggetto tout court. La prima volta che Habermas fa riferimento esplicito al tema della modernità è, se non erro, nel 1963, in un.asorta di recensione (o postilla critica) a un libro di R. Dahrendorf, apparsa nel settimanale Der Spiegel (inclusa ora nell'appendice Tomas Maldonado della raccolta di saggi-portrait Philosophisch-politische Profile, F. a. M. 1981, pp. 453-457). In questo breve testo si parla del «moderno differito» ( verzogerte Moderne), concetto che risulta sottilmente connesso alla sua più recente idea del «moderno come progetto incompiuto» (Modern als unvollendetes Projekt), idea sviluppata nell'ormai famoso discorso pronunciato da Habermas a Francoforte, in occasione dell' «Adorno-Preis» conferitogli nel 1980. (Il testo della conferenza è stato pubblicato in Die Zeit n. 39, 19 settembre 1980, pp. ·47-48 e parzialmente tradotto in italiano in Alfabeta, n. 22, marzo 1981, pp. 15-17.La versione definitiva in tedesco si trova in Kleine Politische Schriften, voi. I-IV, F. a. M. 1981, pp. 444-464). Il tema assume un ruolo fondamentale nell'impianto concettuale della sua Theorie des kommunikaTiven Handelns - Zur Kritik der funktionalistischen Vernunft, F. a. M. 1981, soprattutto nei capitoli sulla problematica della razionalità (pp. 12-203, voi. I), sulla razionalizzazione (e modernizzazione) in Max Weber (pp. 205-316, voi. I) e sulla «teoria del moderno» in Talcott Parsons (pp. 295-444,voi. II) e in Max Weber (pp. 445-593, voi. II). Nel 1982, Habermas ritorna in modo ancora più esplicito sull'argomento, ma questa volta centrando la sua attenzione sulla questione sollevata dal dibattito architettonico più recente («Moderne und postmoderne Architektur», in Die neue Unubersichtlichkeit, F. a. M. 1985, originariamente pubblicato in forma ridotta in Der Architekt n. 2, febbraio 1982, pp. 55-58). Un testo di sorprendente fertilità interpretativa sui problemi dell'architettura contemporanea, che dimostra, mi pare, come un filosofo può sempre portare elementi di novità in un campo che non è professionalmente il suo. Ma in questo Habermas segue una nobile tradizione dei vetero-francofortesi: va ricordato, ad esempio, lo stimolante testo di Adorno, che ravvisava, con largo anticipo, il problema oggi attuale di una valutazione critica del funzionalismo in architettura e nel disegno degli oggetti d'uso. (Funktionalismus heute in Ohne Leitbild, F. a. M. 1967, pp. 104127)- Alla teoria dell'«agire comunicativo» sono state fatte alcune critiche. La principale, ci sembra, è quella che accusa Habermas di avere abbandonato l'approccio filosofico nell'analisi delle questioni attinenti al binomio modernità-razionalità per sostituirlo con un altro che si richiama soprattutto (e quasi esclusivamente) all'apparato concettuale, e anche terminologico, della linguistica, della semiotica, della ermeneutica e della sistemistica. Con il suo primo libro dedicato alla modernità, Der philosophische Diskurs der Moderne, F. a. M. 1985,Habermas tenta ora di modificare questa impressione ritornando, e pienamente, all'analisi delle implicazioni filosofiche della tematica. Si tratta di una rac- •colta di lezioni, tenute al Collège de France a Parigi nel marzo 1983e a Francoforte nel semestre estivo del 1983e in quello invernale 198384, e di altri testi aggiuntivi tra i quali le lezioni e i seminari tenuti alla Cornei! University, lthaca (N.Y.), e al Boston College nel 1984. A mio avviso, i due capitoli più stimolanti del libro sono il primo, che ha un carattere introduttivo, e l'ultimo, che esamina il contenuto normativo della modernità. Importante è anche l'excursus finale su Luhman, dove vengono ripresi e approfonditi alcuni aspetti già emersi nelle ormai note controversie avute con Luhman nel passato. Nel primo capitolo, Habermas riesce a fornire una sintesi chiara deJla sua complessa e articolata teoria della modernità. Troviamo particolarmente feconda l'analisi che egli fa del rapporto modernitàmodernizzazione. Il tentativo neoconservatore, spiega Habermas, consiste oggi nel favorire ovunque la modernizzazione, ossia la secolarizzazione, la accumulazione di capitale e la mobilizzazione globale delle risorse. Ma allo stesso tempo cerca, con tutti i mezzi, di sbarazzarsi di quell'ospite scomodo che è la modernità, i cui contenuti di razionalità critica sono, nell'ottica neoconservatrice, soltanto un fattore di perturbazione. Peraltro, sempre in questa ottica, la modernità avrebbe ormai dato tutto quello che doveva dare. È l'aberrante tesi di Gehlen, per il quale la storia delle idee deve considerarsi definitivamente chiusa. In tal modo, il cosiddetto post-moderno si identifica con la post-histoire, espressione coniata dal matematico francese Cournot nel XIX secolo, e che Gehlen assume come propria con entusiasmo. Ma per i neoconservatori la post-histoire vale soltanto per la storia delle idee, non per la storia economica, che continua a far perno proprio sulla convinzione del «fatalismo del progresso», come lo ha chiamato K. Lowit. (Sull'argomento vedasi A. Gehlen, «Die Sakularisierung des Fortschritts», in Gesamtausgabe - Einblicke, voi. VII, Klostermann, F. a. M. 1978, p. 410). lf ultimo capitolo e il corrispondente excursus sono, a mio giudizio, meno trasparenti e di più difficile lettura per chi non è un filosofo di professione. Ma se non ci si arrende alle prime sconfitte e si torna al testo con tenacia, senza farsi scoraggiare, i risultati alla fine sono confortanti. Infatti, la comunità linguistica tedesca, come è noto, è forse l'unica in cui, con inspiegabile frequenza, l'oscurità del linguaggio è capace di generare innovazione nel discorso filosofico. La natura assai criptica di questo capitolo non scaturisce tanto dal suo altissimo grado di codificazione, ma piuttosto dal fatto che Habermas sovrappone permanentemente terminologie proprie dei più svariati universi di discorso, e che solo nel contesto di tali universi hanno un senso. Così, il lettore si vede obbligato a ogni paragrafo, e talvolta a ogni riga, a cambiare la chiave di decodificazione, il che, va detto francamente, rende il testo simile a un rompicapo, accattivante ma pur sempre un rompicapo. Alla base dell'agire comunicativo, come è inteso da Habermas, si trova la questione della possibilità (o meglio della probabilità) di una generalizzazione consensuale, os-
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