Con questi due scritti prosegue la discussione teorica e organizzativa sui festival di poesia, avviata da Jean-Jacques Lebel nel n. 74-75 (luglio-agosto 1985) di Alfabeta. L'anello mancante Massimo Mori L'associazione «Ottovolante» è stata fondata nel 1983 a Firenze ed organizza annualmente in marzo l'omonimo festival. Lo scopo è quello di favorire il circuito della poesia superando ghetti e salotti, realizzare una rassegna critica dall'interno, non settoriale ed aperta a differenti esperienze. L'associazione ha promosso la formazione di un coordinamento nazionale di riviste e gruppi che aderisce, in piena autonomia, all'Arei Media. Il festival «Ottovolante», la cui terza edizione si terrà nel marzo '86, è patrocinata dagli assessorati alla cultura del Comune, della Provincia e della Regione, oltre che da altri enti pubblici e privati. Già l'avere o il non avere accesso all'opportuno dibattito di JeanJacques Lebel aperto sui festival di poesia («La poesia dal palco» in Alfabeta n. 74-75, 1985) è chiave del preliminare riconoscimento di uno dei più importanti e compromettenti aspetti della questione. Verrebbe ancora inizialmente da chiarire che siamo contrari alla poesia dal palco, dal pulpito o dal balcone, quando non anche dalla cattedra e che escludiamo dal nostro interesse quella serie di letture pubbliche e di attività festivaliere che potremmo includere, secondo la classificazione di Eco, nella letteratura del quarto livello (U. Eco, «L'industria del genio italico» in L'Espresso, n. 37, 1985). Certamente in questi anni a più mani, in più luoghi e con differenti impostazioni la fenomenologia dei festival di poesia ha delineato alcuni aspetti fondamentali che ci stanno a cu&e e segnano anche il nostro fare. Il pubblico della poesia è divenuto in buona parte quello della poesia in pubblico; in ciò non vanno visti elementi negativi o antitetici alla produzione e distribuzione editoriale (l'allontanamento dal libro, dalla lettura individuale, dal piacere del testo ecc.) ma promozionali e positivi. Raramente un autore anche affermato troverebbe un numero di lettori pari a quante sono le persone coinvolte in alcune serate di poesia; il valore testimoniale della presenza del poeta così come il confronto in diretta dei testi presentati, l'atmosfera live, i momenti teorici e didattico-esplicativi che sempre più completano i programmi ecc., hanno recentemente ripulito gran parte delle manifestazioni pubbliche dagli aspetti più effimeri e più grossola!}amente festivalieri. Tra i vari parametri che strutturano l'allestimento di un festival (la sponsorizzazione pubblica e/o privata, l'eterogeneità degli interventi P,.ropostiecc.) vogliamo qui limitare la nostra nota al problema della scelta, della selezione degli autori ben sapendo che, se è vero che non vogliamo rinunciare alla presentazione di testi e testimonianze già antologicizzati e storicizzati, non vogliamo <;liventaresolo i tutori dello status quo culturale e poetico, ma lasciare spazio anche a nuove forme artistiche, a diversi linPoesiadalpalco guaggi, alle posizioni trasgressive e non inquadrabili, alle voci dal basso. In questo senso concordiamo con quanto scritto da Roberto Roversi nel suo articolo sul circuito della poesia, da noi raccolto in calce alla nostra attività di ricerca (in Reporter del 17 maggio 1985). Un primo rischio per gli organizzatori di un festival (con i suoi aspetti promozionali e divulgativi) è quello di finire per promuovere e divulgare se stessi. Così il circuito geografico dei festival può divenire la circuitazione, il riciclaggio degli stessi organizzatori: il gruppo dei milanesi invita i poeti parigini che inviteranno, con gli spagnoli, i poeti milanesi che saranno invitati, con i francesi, al festival spagnolo che precederà il festival olandese e così di seguito. Niente di male in tutto questo se la qualità, la pluralità e l'ampiezza dei programmi festivalieri saranno adeguati; è così che si formano, si riconoscono e si fanno conoscere le società letterarie e le avanguardie che viaggiano (e perché no?) in vagone letto. Ma ciò non basta, perché una siffatta distribuzione dei ruoli crea un netto scollamento con il diffuso interesse di base a partecipare attivamente al fenomeno poesia. Allora con quale criterio viene invitato questo poeta ed escluso quest'altro? Con quale criterio si entra o si è esclusi dal girone dei poeti? Qual è l'anello mancante tra l'uomo e il poeta? In attesa che qualcuno trovi l'unità di misura antropomorfica della qualità poetica e la depositi a Sèvres, riteniamo che ilpoiein, il fare venga prima della poesia e che all'inizio non sia il verbo ma l'uomo. L'unica qualità, il senso, il criterio di scelta e di esclusione non può che essere frutto di un compromesso, anzi di una compromissione col reale per scendere dal palco olim- • pico dei poeti al mondo degli uomini. Vedasi a questo riguardo il saggio di Enrico Rambaldi «!denti- , tà/differenza» (Enciclopedia Einaudi, voi. VI, pp. 1111-1143) ripreso anche da Francesco Leonetti su Alfabeta nel suo saggio sull'Espressionismo. Siamo cioè, parafrasando, non per un «realismo idealista» (scelta del poeta dall'alto dei poeti) ma per un «realismo rigoroso»: identificazione del poeta dalla tensione, dalla contraddizione fra testo e contesto. Il «realismo idealista» crede nell'unità di misura depositata a Sèvres, nella possibilità di lettura trasparente della qualità dell'opera d'arte, nella decodificazione asettica della tramatura del testo; piuttosto noi crediamo, e siamo in buona compagnia, nella trasparenza che cela l'ostacolo, nel visibile-invisibile dell'opera d'arte, nella complessità del contesto che svela, celandola, la tramatura contraddittoria della parola poetica. Non vogliamo quindi creare spazi settoriali, dogmatici, burocratici. Piuttosto del culto del personaggio (anche poetico) sviluppiamo quello della partecipazione (sicuramente poietica) al fenomeno della poesia e della cultura, alla circuitazione critica di materiali ed autori. Al mito del libro e del palco preferiamo (nel pubblicare ed allestire microfoni) il libro e il palco considerati zone di passaggio dove ognuno lascia differenti tracce del suo essere uomo e forse poeta. Infine siamo favorevoli alla proposta di un ente nazionale o supernazionale pro-festival, se viene prevalentemente inteso come un coordinamento culturale che evita ripetizioni o cadute di tono delle manifestazioni, che favorisce il circuito della poesia senza far continuamente ed ossessivamente ripercorrere agli stessi uomini ed argomenti l'ottovolante della pooisola. Siamo in questo senso disponibili a collaborare a quel centro di documentazione ed informazione internazionale, a quel laboratorio di poesia a cui Antonio Porta faceva riferimento nel dibattito conclusivo dell'ultima edizione del nostro festival. Non a caso peraltro nelle precedenti edizioni di «Ottovolante» abbiamo pubblicato le schede critico-bibliografiche di settanta riviste di poesia e di quaranta piccoli feste grandi di letture al vento, con moltiplicazione dei pani di poesia; come se la scoperta sottilissima beat del «mantra» fosse da rendere banale ... O come se la recitazione classica intera a memoria dei sovietici, con passi e gesti, fosse pure un modello ... O modello fosse la buona lettura di scuola, e amen. C'era il narcisismo generale. Mi pare dunque che le iniziative di cui parliamo stiano esattamente al punto di rottura di queste incoscienze. Per noi, come si sa, l'autore è un altro éhe il soggetto biografico presente. Non basta; egli non coincide più, o mai, con un suo testo precedente. Che può annoiarlo; che gli dà disgusto secondo Blanchot;. o che lo gratifica ancora ... Figuriamoci comunque la dili libro è anchescelta meditata . . . . ,n gennaio un serv1z10. più accurato Libreria Magenta Corso Magenta, 65 Telefono 4816150 20123 Milano editori (è solo la parte emergente dell'iceberg). Con maggior perplessità vediamo questo ente come un unico referente politico-amministrativo che accentrerebbe di fatto le sponsorizzazioni pubbliche e private e diverrebbe l'ente della fiera-campionaria della poesia. Siamo più inclini ad una visione federalistica policentrica delle «imprese culturali indipendenti» che si riconoscono nei modi di fare poesia e politica culturale. Chi legge non è l'autore ma un omonimo Francesco Leonetti Va benissimo discutere delle letture di poesia, e delle manifestazioni di cui fanno parte oggi, sull'avvio di J.-J. Lebel. Anzitutto vale un'osservazione iniziale minima di G. Raboni che ho intesa a «Milano-poesia»: nell'attuale difficoltà di edizione, particolarmente per la poesia, si dà qui una comunicazione e circolazione non secondaria dell'intelligenza letteraria attiva oggi. E ancora di J. -J. Lebel va colto un rilievo: che questi Festival (Amsterdam, Parigi, Cogolin, Milano, San Francisco) di anno in anno vengono a costituire un laboratorio artistico con l'importanza sociale delle autonomie di ricerca dei piccoli gruppi, e la loro gestione in proprio, e la loro resistenza. Dunque l'attività interna ad essi è uno dei pochi luoghi rimasti autentici. Detto ciò, presento in breve una tesi teorica con alcune conseguenze. Nel periodo che subito ci precede si è svolto in modo confuso e ingenuo un esercizio di «oralità»: screpanza se, in più, identificandosi male con quel suo vecchio testo di una settimana o un anno prima, deve anche raggirarsi su un palco e conoscere (cosa indispensabile e rara) l'uso giusto del microfono. Che è a piccola distanza, senza gridarci dentro e senza muovere il capo: insomma come un cantante (né funziona più neanche un convegno di dotti se non ci sono quelle apparecchiature giganti in scatole nere). Comunque, non importa: non si capisce mai quasi niente, non solo dei testi russi o cechi o francesi: perché, insomma,. il significante puro nella recitazione non è bello (fuorché fatto apposta una volta da qualche futurista per principio). Amen. Questo appunto teorico-critico vuole indurre perfezionamenti. Già alcuni ci sono stati, nel senso della consapevolezza. E soprattutto si è qualificato, da parte dei più attenti, un tipo di lettura dei poeti sui loro stessi testi; dove la sobrietà, la precisione delle chiavi di senso e di suono, la rottura di ogni enfatizzazione, sono giunti attraverso le prove fatte ad essere il contrario esatto della lettura da parte degli attori: che, per se stessa altrimenti virtuosa, è, come si sa, orchestrata e concertistica. Si potrebbe in più: 1) usare l'ossessiva cura che per esempio a Cogolin si dà per la perfezione del catalogo grosso, dove il pubblico trova almeno uno dei testi letti. 2) Preferire ogni anno, senza timore della noia, una costanza di tempo sino a minuti 25 per due-tre poeti più noti e discussi, se essi si impegnano ad essere anche «attori» (il che domanda la freddezza del rallentamento, un certo uso del testo proprio, la pratica del microfono, la figura, ecc.) e dando notizia critica ampia su di essi a scopo orientativo; mentre la stessa concentrazione potrebbe darsi ad alcuni giovani (con lezione ed esame da parte del regista Lorenzo Vitalone). 3) Poiché, nei vari casi delle manifestazioni, prevale ora il «poetico», ora il «polifonico», ora la «performance», non mi pare utile sostenere perciò che c'è una poesia lineare, una giocata, una visiva, ecc. È vero, come ha teorizzato Cadioli, che oggi «la letteratura è un segmento secondario del circuito multimediale»: è tesi corrente in vari ambienti, io la stimo, non la condivido, e qui non la discuto. Qui il nostro punto è che lo spettacolo è una cosa seria, mentre la spettacolarizzazione è il cancro della fase prima e stupida della dominanza dei media, in corso oggi. Dunque non si può, per annoiare meno, fare un intermezzo musicale o danzato (s'intende che parlo qui con chi non ha nessun culto, né della parola né di altro). Ci sono varie forme dell'espressione del corpo, tra le quali quella della voce che è pur materiale, quella dei piedi e quella con gli strumenti. Possono darsi, con una scelta orientativa stretta, per un verso, e, per l'altro, con una regolarità critica della definizione dei vari campi. 4) Un seminario non storico-critico ma di esplicita discussione fra varie riviste e gruppi andrebbe bene nei pomeriggi. Un'obiezione aggiunta al punto tre. E se la Niccolai fa un falsetto di voce dei suoi bellissimi, leggendo? e se Spatola si batte il gran petto? Dove li mettiamo? Nelle performances, io dico, non nelle letture. Sono bravissimi. E anche eh-ilegge in piedi al microfono dovrebbe secondo me per paradosso andare nelle «performances»: perché deve pur sapere, presentandosi come attore di se stesso al Festival, che se egli senza ironia fa così, fa pure un mimo di Pippo o Beppe o Renzo, oggi. Per leggere poesia, occorre una scelta di voce, e anche una scelta di dove mettere i piedi. In teatro si teorizza anche il chiodo. Errata corrige Nell'articolo di Mario Pernio/a, L' homo academicus, pubblicato nel n. 78 (novembre 1985), è stata saltata una riga della penultima frase che suona quindi così: «Ma ciò non significa affatto l'impossibile restaurazione di quel che il Sessantotto ha messo in moto». La versione corretta è invece: «Ma ciò non significa affatto l'impossibile restaurazione di quel che il Sessantotto ha distrutto, bensì un nuovo sviluppo di quel che il Sessantotto ha messo in moto». Nel «Cfr. Bibliografia analitica» • su anglistica e americanistica a cura di Stefano Rosso, pubblicato nel n. 79 (dicembre 1985), il titolo dell'edizione italiana di The Hunting of the Snark di L. Carroll, a cura di Milli Graffi, non è La caccia allo squalo, bensì La caccia allo snualo e la data di «un recentissimo fascicolo monografico di New Literary History», citato nella scheda dedicata a Studi di estetica, non è il 1950, ma il 1985. Infine l'utile netto medio di un numero, riportato nel Bilancio riepilogativo di Alfabeta a p. 46 del n. 79 (dicembre 1985), non si riferisce naturalmente al 1894 ma al 1984.
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