Lentol,ento-veloce, veloce-lento H o letto le ragioni con cui Marinella Guatterini e Ferdinando Taviani hanno cominciato a chiarire la possibile presenza di una nuova coreografia italiana e quelle di una teorizzazione dell'inevitabilità di una incidenza della danza nel teatro (italiano). Francamente credo che il discorso di Taviani siagiovanilmente statico e distratto assieme, nel senso che le sue ragioni, sia pure storiche e quindi probe, oltre a sfuggire alla militanza ed all'esplorazione del nuovo riconducono a quella nefasta pratica della danza orientale per la quale molti gruppi per fortuna in fin di vita (tranne il fantastico Barba ed il suo Odio) si erano messi in testa di scoprire i cento modi di muovere l'alluce e i cento trucchi (segni) dell'inesauribile movimento della danza (della scena) orientale. Il gioco è per fortuna altrove, è nello sviluppo e nella crisi della danza occidentale moderna, e più ancora, è nel cuore delle modificazioni, nella trasformazione della danza europea rispetto a quella americana; e ancora più nell'ipotesi (o nella realtà a mio parere, e vedo della Guatterini) della venuta allo scoperto, del nascere e proliferare di una possibile coreografia italiana. È questione di mesi, neanche il tempo di nascere e tu la vuoi far morire, mi dicevano alla Piramide, quando tempo fa vi si discuteva della «giovin italia» e dei gruppi della nuova coreografia italiana; c'è, non c'è, ~eve essere professionale, deve fare questo e poi quest'altro, mi raccomando, professoresse inguaribili, nobili veggenti della danza, traditori e uccisori con il sorriso m bocca, permalosi e slabbrati organizzatori e produttori e informatori, tutti quanti sotto il tiro incrociato di Leonetta Bentivoglio e di Donatella Bertozzi, e di me naturalmente, in veste di indiscusso difensore e propositore donchisciottesco della nuova danza italiana, della nuova coreografia (più da fantasma peraltro, da rabdomante, con qualche frammento, qualche segno sotto gli occhi e molta, troppa esperienza di movimento, di mutamento della scena teatrale). E dunque ho divorato il saggiodi Marinella Guatterini e ne ho fatto tesoro, sia come orizzonte di visione di gruppi e di artisti, che appunto consideriamo appartenenti alla nuova coreografia italiana, sia come metodo di indagine, sostanzialmente analitica, del lavoro di questi gruppi e di questi artisti, fondamentalmente storicizzante ed al tempo stesso splendidamente utopico rispetto alle origini, alle formazioni, oltre che alle forze in campo. È un abbozzo di saggio senza illusioni, ma anche senza disprezzo, è sufficientemente amoroso per non lasciar smorzare o disperdere le proprie passioni, le proprie predilezioni; è altresì oggettivamente abbastanza rigoroso per non lasciarsi distrarre da stupidi e abitudinari rapporti fra teatro e danza, e per entrare diritto diritto nel solco della danza occidentale moderna, e rifletterne le rotture e gli spostamenti. Non mi sembra dunque di sragionare se anch'io oso affermare che esiste una nuova possibile danza italiana, una nuova possibile coreografia italiana; diciamo almeno, senza essere automaticamente smentiti, che ci sono alcuni esiti di nuova danza, di nuova coreografia. La giovin italia ha presentato alcuni esempi, alcune esperienze in proposito; è probabile, anzi è sicuro che esistono altri esempi, altre esperienze. Nomi e gruppi vengono citati qua e là; ed altri vengono inaspettatamente allo scoperto (la Guatterini insegna, si può scrivere solo di ciò che si è veduto). Mi sembra corretto che si parli di nuova danza, di nuova coreografia, per questi esiti, per questi lavori; e che si cominci a marginalizzare, se non a dimenticare denominazioni di teatro-danza o danza-teatro; del resto la giovin italia accenna esplicitamente a danza-danza, non è vero? Danza-danza è pertinente allo stato attuale della nuova danza, della nuova coreografia, cioè al farsi evidente, al suo rendersi indizio, diffuso e aperto, se volete è congruo alla sua stessa classificazione, impensabile sino a qualche stagione fa, forse sino a qualche mese fa. D anza-danza vuole evitare l'interpretazione tutta idealistica che la danza è tutto, che la danza è teatro totale, ed altresì vuole evitare l'interpretazione tutta moralistica di una resa allo specifico, alla tradizione. Danza-danza evidentemente è la danza moderna, con tutto quel che può significare nella sua ambiguità la parola moderno, l'accezione di modernità, e lo è in maniera altrettanto evidente che la nuova danza, con tutto quel che può suggerire o fuorviare nella sua indefinitezza la parola nuova. Danza moderna dunque, non in America, non in Giappone, non in Indonesia, non in Germania, ma qui, in Italia, a Roma, a Milano, a Catania, a Firenze, e dovunque essa appaia ora, nelle grandi città, o nelle piccole, indifferentemente. Ciò che succede dunque in Italia, negli anni Ottanta-Ottantacinque, è quanto ci può aiutare, accompagnare, nell'avvicinarsi, nell'appropriarsi di una possibile nuova moderna tendenza di danza in Giuseppe Bartolucci Italia. Voglio limitarmi ad alcune osservazioni, da osservatore disinteressato, spettatore curioso, amico, complice, alleato che si pensi, o possa supporre: l'analisi delle opere dei gruppi e degli artisti che passano o sembrano passare per moderni, per nuovi, ci mette sotto gli occhi una sensibilità di fondo comune o almeno non ostile, una pratica insomma di gesto e di movimento contigua almeno, una maniera di narrare e di drammatizzare tendenzialmente riflessa, in definitiva una prospettiva coreografica narrata drammaturgicamente per montaggio, per scrittura mobile, aperte, sensibili, diffuse. Credo che queste esperienze, queste pratiche di lavoro comincino ad essere non soltanto presenti ma anche a funzionare, a divenir vive, operanti, a moltiplicarsi, anche per altre ragioni, oltre quelle di Box match apparire, di costituirsi come forze in campo, come soggetti di produzione. La prima di queste ragioni è che si pongono non come alternativa, come rottura ideologizzante, moralizzate con la tradizione, con il balletto, in questo modo non venendo meno al destino ed alla proprietà del proprio lavoro, bensì corredandolo e impostandolo per relazione, per contrappunto; la seconda di queste ragioni è che non si definiscono né pendono da suggestioni straniere moderne, che so Bausch, Cunningham, Graham, Balanchine se non per rispetto produttivo dovuto e per riconoscenza espressiva alta, quanto semmai per reattività diciamo mediterranea, di zone d'influenza senz'altro, però con scarti particolari, con certi spostamenti di linguaggio, rispetto a quei grandi nomi (e anche con terribili tradimenti ed abbassamenti, che volete). Il non porsi come rottura, come alternativa, dal punto di vista ideologico ed estetico, con la tradizione, con il balletto, non significa rimettere le scarpine ed abbandonare le scarpette, e non significa riabbracciare la antica e gloriosa grammatica del corpo di ballo; come l'osservare ed il perseguire il linguaggio del moderno, nei suoi maestri, nelle sue punte, non vuol dire essere ossessivamente ed in maniera impotente legati a doppio filo al loro linguaggio, al loro lavoro, alla loro modernità insomma. T utto ciò favorisce allora un ventaglio di approcci, un raggio di intuizioni per cui anche da un punto di vista critico, militante, si è oggi disposti a tollerare non soltanto una molteplicità di tentativi, di tentazioni, per simile lavoro diciamo possibilmente nuovo, bensì a guardare, a inseguire con pazienza e con severità assieme, gli spostamenti, le modificazioni di linguaggio che offron0 quegli esiti, quelle esperienze di nuova coreografia, di nuova danza; tutto ciò avviene senza essere traditi dalla nostalgia della tradizione e dall'utopia dell'avanguardia, dal vecchio e dal nuovo contrapposti; quindi senza deprezzare o magnificare a vuoto, per partito preso o per insulto arrogante, quegli esiti, quelle esperienze in corso. D'altronde noi sappiamo che le opere in corso hanno una propria autonomia, una propria organizzazione, una propria pratica, una propria realtà sia dal punto di vista artistico che produttivo, per cui sta venendo meno, se si vuol tornare allo stato attuale delle cose, quel richiamo al teatro, al nuovo teatro italiano, che pure è stato in queste stagioni fecondo di incroci, di scoperte; ciò è inevitabile, è quasi necessario, e va visto e perseguito come un processo di verità, se non di maturità, di tracciato, se non di via, della nuova danza, della nuova coreografia; quel richiamo al teatro, al nuovo teatro italiano a mio parere, tuttavia rimane, e fortemente, per quella sensibilità di fondo comune di cui si è detto pocanzi, che è poi contiguità di modi di ricerca, rispondenza non di linguaggi ma di forme; c'è un risveglio narrativo che va valutato concretamente rispetto ed in rispondenza ad un movimento a tutto tondo e di respiro; c'è una scansione coreografico-drammaturgica per figuratività e per espressività che sta dando esiti apprezzabili nei due campi; c'è insomma una scrittura scenica, aperta, mobile, tragica e quotidiana di volta in volta, su un disegno, su un ricamo disponibile a risalire dalla frantumazione e dalla deformazione all'intelligibile ed alla composizione che è più di una sosta, più di una fabbrica, più di un chiaro di luna, più di un cristallo di rocca, per citare echi di gruppi e di spettacoli di questa giovin italia, a suo modo onestamente esemplare, ed indagatrice. È probabile che su questi indizi venga chiarendosi e risvegliandosi la possibile nuova coreografia italiana, la nuova possibile danza nuova italiana, o su altri gruppi ed artisti che altri hanno già messo in rilievo; e qui vorrei riprendere quel richiamo alla sensibilità sonora che il nuovo teatro ha regalato generosamente alla nuova danza, come uso di musica non addossato religiosamente alla danza, bensì pervaso di tensione e di contiguità alì'interno e sulla superficie, nell'ambiente e nello spazio, della scrittura scenica coreografica. E di riscontro, come dimenticare o non tener in conto l'apporto che la nuova danza, la nuova coreografia sta dando, un po' per ripicca, un po' per contrappunto, sull'uso della grammatica del corpo, e sulla disposizione del movimento, al nuovo teatro, il quale come sappiamo, tolta la Gaia Scienza, e Falso Movimento, e naturalmente i Magazzini, non ha certamente gran vena di rigore, e spesso si rende improbabile, soprattutto oltre i trentanni ecc. ecc. (mi pare giusto e non crudele diffidare di chi in teatro non è giovanissimo, e miscela in ritardo la danza per non aver cuore né idee). ' E certo, infine, inevitabile comunque, che bisogna inseguire, percorrere questi esiti, queste esperienze, dentro il tessuto produttivo della danza, dentro i modi che reggono la produttività del fare danza oggi. Non saranno infatti gli incontri o gli scontri teatrali a dar man forte alla nuova danza, bensì gli incontri e scontri ministeriali ed istituzionali appropriati, pertinenti, saranno altresì ancora una volta i critici attenti e di rischio, non dico di assalto che non si usa più, a sorreggere, a porgere questi stessi esiti, queste stesse esperienze, ed a porli liberamente in rilievo, a farne informazione. Così considerando la nuova danza, la nuova coreografia italiana, ritorna ancora una volta, criticamente, l'uso dell'opera, delle opere, la loro analisi, la loro formatività, la loro prospettiva, la loro indicazione; e c'è infine da tener conto del pubblico, di molti fedeli e di semplici spettatori, che si addossano e si riversano su questi gruppi ed artisti, con una forte competitività e con bella rispondenza, a testimoniare del respiro che hanno tutt'at- ~ torno comunicativamente. Questo ~ .s discorso del pubblico è da avviare ~ per altra occasione. Ma è un con- ~ forto e non un sogno, è una grazia, ~ non una pena. Implicitamente a ..._. questo punto il discorso della criti- -~ ca ritorna in pieno, nelle sue luci e ~ <U nelle sue ombre, sulle sue idee e sui eo suoi pragmatismi, qui però vale ~ non tanto l'esperienza di un aggior- s.:: namento, di un assorbimento, ~ quanto la pazienza di un fronte, di l una rottura. ~
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