Alfabeta - anno VIII - n. 80 - gennaio 1986

Catastr RenéThom, Modelli matematici della morfogenesi Torino, Einaudi, 1985 pp. 355, lire 45.000 Jean Petitot • Les catastrophes de la parole Paris, Maloine, 1985 pp. 354, s.i.p. Jean Petitot Morphogenèse du sens Paris, Puf, 1985 pp. 306, f. 165 Catastrofi in Lectures n. 15, 1985 pp. 208, lire 13.000 N el panorama teorico contemporaneo c'è una teoria che ha conosciuto una fortuna critica senza vie di mezzo. È la cosiddetta «teoria delle catastrofi», i cui nodi concettuali vanno fatti risalire al matematico francese René Thom, e il cui nome (e•J'idea stessa di essere una «teoria») appartiene piuttosto ad uno dei suoi divulgatori, Christopher Zeeman. Senza vie di mezzo, dicevo. E infatti: da un lato le catastrofi hanno incontrato fino dai secondi anni Sessanta o uno straordinario successo (anche e soprattutto al di fuori dell'ambito matematico in cui erano elaborate) o un insieme di violente critiche. Potremmo riassumere così il dibattito e i suoi ambiti: a) il vero e proprio campo della matematica; qui, Thom ha incontrato il massimo favore da parte dei fautori delle «modellistiche» (secondo l'autore, le catastrofi sono infatti modelli), e scarso interesse da parte della tradizione matematica «pura»; b) il campo della fisica; qui, le catastrofi sono state trattate con grandissimo sospetto, quand'anche non con ironia o sarcasmo; e ciò soprattutto perché le catastrofi non venivano intese come buone spiegazioni dei fenomeni, ma tutt'al più come eleganti descrizioni dei medesimi; c) il campo della biologia; qui si è riscontrato un enorme successo, soprattutto perché i modelli catastrofici fornivano appunto eccellenti strumenti descrittivi della genesi delle forme viventi; d) il campo delle scienze umane (dalla linguistica alla sociologi_a, dall'economia alla psicologia); qui si è manifestato un caso di enorme fascinazione anche per i risvolti filosoficidella teoria, ma si sono dati anche i casi di pi~ clamorosa superficialità nelle applicazioni a fenomeni singoli; peraltro, anche a livello di dibattito filosofico sono sorti i maggiori contrasti. Ho voluto ricordare brevemente il recente passato della teoria delle catastrofi perché una serie di nuovi ~ studi in materia oggi consente forse .s di fare il punto s,i suoi sviluppi e ~ sulla sua stessa crhcita futura. Lo t::I.. spunto può essere dato dall'appari- ~ zione in traduzione italiana di Mo- ...., del/i matematici della morfogenesi -9 c::s di Thom. Si tratta di un libro del i:: ~ ~ 1980,che in Italia esce come secondo volume, dopo Stabilità strutturale e morfogenesi, dello stesso aus::: tore. Va ricordato, tuttavia, che in- ~ vece il testo odierno aveva avuto g una precedente stesura nel 1966, e c::s che quindi può,.essere considerato come il primo lavoro di esplicitazione della teoria. A rivederlo, soprattutto oggi a metà degli anni Ottanta, appare come un momento di straordinario ottimismo del suo estensore. Dopo una prima metà dedicata all'illustrazione dei principi tecnici che reggono i modelli catastrofici, si passava infatti a descriverne i fondamenti filosofici, e l'insieme dei possibili campi di applicazione. Ecco allora l'ottimismo, sia di natura generale che particolare. Quello generale si rivelava nella fiducia di poter considerare la teoria delle catastrofi come il modello per una scienza che si occupasse - in ogni campo del sapere - dell'aspetto qualitativo dei fenomeni e non del loro aspetto quantitativo. Implicitamente, peraltro, si poteva intravedere in quelle pagine una sorta di convinzione inespressa: e cioè che i modelli catastrofici servissero molto bene a descrivere i fenomeni perché la loro struttura era in qualche modo inerente ai fenomeni stessi. Quanto a quello particolare, basta prendere in esame la lista dei campi di applicazione e per ogni campo la lista dei suggerimenti di Thom, per capire il tipo di entusiasmo che lo reggeva. Si passa infatti dalla fisica alla biologia, per arrivare poi alla semantica, alla linguistica, alla sintassi, alla psicolinguistica, alla semiotica, all'informazione, all'arte, al gioco. L, ottimismo di Thom era allora ben fondato. Almeno nel senso che esso discendeva dalla soddisfazione di aver trovato e parzialmente sperimentato una serie di strumenti potenti dal punto di vista euristico, e utili dal punto di vista intuitivo, di cui servirsi almeno per una diversa impostazione dei problemi. Inoltre, dal punto di vista filosofico, la teoria pareva poter rilanciare appieno studi basati sulla fenomenologia e sullo strutturalismo, proprio in un momento in cui invece ben altre teorie filosofiche facevano la loro comparsa e dominavano il panorama intellettuale contemporaneo (irrazionalismi, nichilismi, teorie della crisi, eccetera). Un ulteriore sottofondo, poi, era costituito da una sorta di scommessa scientifica: contribuire ad un salto di qualità delle scienze umane, che del titolo di «scienze» si fregiano, ma che finora non ne hanno mai raggiunto la dignità. Qui, fra l'altro, è bene aprire una parentesi. Alcuni critici di Thom hanno voluto vedere in questo progetto la pretesa di uniformare le scienze umane alle scienze propriamente dette. In verità, non è esattamente così. Thom piuttosto dichiarava la propria volontà di scoprire se quelle potevano avere un terreno in comune con queste. Se questo terreno esiste, allora va esplicitato. Altrimenti, si potrebbe finalmente liberare il terreno delle discipline umanistiche dalle metafore e dalle ambiguità di un formalismo malinteso, dall'apparenza di «esattezza», per farle progredire verso statuti propri, anch'essi da esplicitare. Che cosa è successo dell'originario ideale di Thom? Due cose contrastanti fra loro. Da un lato, è infatti accaduto che la teoria delle catastrofi nelle scienze umane ha fatto la medesima fine di tutte le altre teorie scientifiche precedentemente assorbite. Invece di produrre 1: secondfaa·se Omar Calabrese nuovi statuti scientifici, è stata essa stessa usata come metafora o come sistema di allusioni. Basti pensare alla congerie di «filosofemi»che le sono stati applicati addosso, facendola diventare ad esempio una sorta di teoria della conflittualità e del relativismo. Di questa prima sorte, per il momento, non ci occuperemo. Dall'altro lato, invece, il progetto di Thom è stato preso sul serio e orientato alla ricerca sperimentale di prove della sua applicabilità ai fenomeni, pur estremamente complessi, delle scienze umane. In questo senso, chi ha maggiormente creduto che le scienze umane potessero trovare un fondamento scientifico razionale su base matematica è stato un altro francese, Jean Petitot. Ai primi di quest'anno sono anzi addirittura usciti due volumi, entrambi appartenenti ad un medesimo gigantesco lavoro orientato ad esplorare la possibilità di fondare sui GRUPPTOEATRNOUOVO VALVERDE cuparsi di una porzione (e forse la meglio studiata) delle scienze del linguaggio, bensì dell'intera costruzione di una delle teorie semiotiche oggi correnti, la semiotica greimasiana, che però, a detta del suo stesso fondatore, non è che ai suoi esordi. Il compito allora diventa formidabile: non più ritrovare un fondamento in una teoria comunque adulta, ma scoprire questo fondamento stesso. Proprio qui, pertanto, finisce per rivelarsi una sorta di «estremismo» teorico da parte di Petitot; nella necessità •di legittimare la volontà di trovare «fondamenti» per la semiotica, l'autore finisce per far sua l'ipotesi che i modelli catastrofici siano conformi «allecose stesse». Quanto all'aspetto più propriamente teorico, Peti tot giunge alla parte relativa alla teoria greimasiana per gradi. Prima si comincia con un inquadramento generale dei problemi lasciati sul terreno delle scienze del CENTRINOTERNAZIONALE DEL IBRDOIPOESIA MOSTRNAZIONALE DELLIBRO DIPOESICAONTEMPORANEA direzione scientifica di Giorgio Bàrberi Squarotti a cura di Antonio Derro coordinamento di Angelo Scandurra per iniziativa della rivista Il Girasole SALA CONSILIARE COMUNE DI VALVERDE (CATANIA) La mostra resterà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 17 alle 20 dal 21/12/1985 al 31/1/1986 modelli catastrofisti le teorie del linguaggio. Nel primo libro, Les catastrophes de la parole, Petitot vuol dimostrare che la teoria delle catastrofi è suscettibile di fornire' modelli adeguati per la comprensione o la spiegazione del fenomeno fonetico fondamentale, e cioè la percezione categoriale. La percezione categoriale è un fenomeno curioso e paradossale. Infatti, da un lato essa consiste in un flusso acustico di natura fisicache può essere descritto per mezzo di formule come la cosiddetta «analisi spettrale» dell'acustica; e però diviene percettivamente il supporto di un codice fonologico di natura astratta, che può essere descritto mediante formalismi come la segmentazione dei «tratti distintivi». Insomma: è un fenomeno di sostanza che diviene anche un fenomeno di forma. L'autore dimostra che in fonetica/fonologia il discontinuo riesce ad emergere dal continuo (come la categorizzazione fuoriesce dalla percezione continua), in quanto gli oggetti fonetici si presentano di per sé come critici, cioè appartenenti a due regioni differenti della realtà che si trovano di volta in volta in competizione (la regione acustica e neurofisiologica, e la regione linguistica). I 11 secondo volume, Morphologie du sens, segue un progetto ancora più ambizioso. Stavolta infatti non si tratta soltanto di oclinguaggio dallo strutturalismo. Poi si verificano alcune teorie strutturaliste in linguistica, ad esempio (di nuovo) la percezione categoriale, le teorie attanziali, la valenza verbale secondo Tesnière, le grammatiche dei casi, la sintassi strutturale. E infine si giunge ai concetti greimasiani fondamentali, come quello di «percorso generativo». Il «percorso generativo», secondo Greimas, è il modo di manifestarsi, dal semplice al complesso, del senso. In superficie vi sono i veri e propri modi della manifestazione; ad un livellopiù profondo vi sono le strutture semio-narrative; ad un livello ancora più profondo una sintassi e una semantica fondamentali. Il senso passa dal profondo al superficiale, come percorso che appunto va dal semplice al complesso, o, se si vuole, dal più astratto al sempre più concreto. Ciò non significa tuttavia che «percorso» significhi una successione temporale: il senso è semplicemente «costituito» secondo la forma espressa dalla teoria. Dei modi di funzionamento del «percorso generativo» i semiotici di scuola greimasiana privilegiano di volta in volta certe zone piuttosto che altre. Alcuni preferiscono occuparsi delle manifestazioni, altri delle strutture semio-narrative. Petitot - proprio per la sua ricerca di «fondamenti» - ovviamente tende a limitarsi soprattutto ai livelli e alle strutture più soggiacenti. Il che è anche facile a spiegarsi: mediante la teoria delle catastrofi è possibile infatti tentare la comprensione della genesi delle «forme strutturali» del senso, restituendo dinamismo ad una teoria (quella greimasiana) che dal punto di vista prettamente strutturalista potrebbe invece cadere facilmente nella staticità. Quello che eventualmente può lasciare più perplessi, tuttavia, è l'insieme di conseguenze filosofiche che Petitot ricava dalla sua ricerca. Si ha infatti l'impressione che dal1' ambito locale della semiotica Petitot finisca per fuoriuscire verso una generalizzazione ben più vasta: e cioè verso l'idea che tutto ciò che manifesta il senso abbia un solo e unico fondamento. Il che finirebbe per non essere più un progetto kantiano (come esplicitamente detto dall'autore) ma addirittura pre-kantiano: il mondo finisce per derivare da un'idea. La lettura dei libri di Petitot, al di là di quest'ultima potenziale critica, benché ardua, è di uno straordinario fascino. E ciò per diversi ordini di ragioni. Primo: forse per la prima volta assistiamo alla presentazione unitaria dei problemi che sottostanno a tutte le teorie linguistiche di questo secolo. Secondo: sempre per la prima volta è possibile osservare quale sia il tipo di scommessa scientifica che soggiace alla sfida delle'scienze del linguaggio. Terzo: finalmente è possibile rendersi conto di quali teorie linguistiche siano effettivamente radicate nel pensiero scientifico di questo secolo, e quali invece siano puri formalismi senza sostanza. •Quarto: non può non lasciare sbalorditi l'enorme lavoro di matematizzazione che i problemi del linguaggio possono provocare. E qui nascono però anche le note dolenti. Se togliamo l'opera di Petitot (e naturalmente di Thom), dobbiamo riconoscere che nessun altro ha potuto finora applicare con buone prospettive i modelli catastrofici alle scienze umane. Naturale: i matematici hanno gli strumenti, ma una conoscenza troppo semplificata dei fenomeni; gli «umanisti»una più sottile conoscenza dei fenomeni e nessuna competenza matematica. A tutto questo si aggiungache troppo spesso la «scienza» nelle scienze umane resta una pura metafora, un'etichetta distintiva, e poco più. Gli sforzi di Thom e Petitot, indipendentemente dal fatto che si accetti o meno la loro scommessasulla «scientificizzazione»delle discipline umanistiche, non possono pertanto che apparire salutari per il settore delle Geisteswissensch~ften così tradizionalmente ancorate alla «chiacchiera». C'è da chiedersi, tuttavia, se la seconda fase della teoria delle catastrofi (e cioè quella che qui abbiamo approssimativamente descritto come fase di fondazione delle scienze umane) debba restare ancorata alla pura dimensione tecnica dei modelli matematici, o non possa invece produrre risultati anche ad un livellometaforico. Ho la personale impressione che, sempre evitando però forme di dilettantismo, anche le metafore siano utili al progresso delle scienze umane. Soprattutto là dove alcune vecchie forme di storicismo impediscono la percezione di nuove interpretazioni del sapere.

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