Paul Veyne La poesia, l'amore, l'occidente L'elegla erotica romana· Una poesia che è solo finzione e gioco, i dotti ingannidi una letteraturache simula la passione e sconcerta il lettoremoderno: dalla· letturadissacrante della poesia d'amore romana una riflessione sull'eternovariare dei regimi di verità,su un rapporto col passato che si fonda sul fraintendimentoe l'equivoco Jean Rousset La letteratu.ra dell'età barocca In Francia Circe e Il pavone . Le cifre.profondedel barocco letterario,un Seicento anticlassico nelle figure emblematichedella metamorfosi e dell'ostentazione. Un grande capitolodi storia della cultura europea Marshall Berman L'esperienza· della modernità Goethe, Marx,Baudelaire, Dostoevskij,la città del flàneùre gli scenari terribili del Bronx:una civiltà che si confrontacon l'orrore e il fascino del moderno il Mulino ' . ' MARIETTI Cfr. Schede Il «Cfr. » ( confronta) è la sigla dei rimandi nella ricerca teorica, critica e saggistica. In questo giornale la sezione indicata «Cfr. » è la sola serie di recensioni in senso proprio, e raccoglie dunque le scelte di lettura dei direttori e collaboratori frequenti del giornale. Noi non ci fidiamo più della sistematica delle varie discipline, e usiamo qui, riproponendo più fitto e continuo il nostro «Cfr. » bibliografico, vari modi di approccio (recensioni e notizie, soggetti, veline delle riviste, stato dell'arte, pagine degli editori, ecc.). Un'idea di libertà Antonio Porta Il diario di Alberto Magnaghi non è certo un libro sul carcere ma scritto nel carcere, vale ... dire in una condizione estrema, in lotta con la barriera che separa da una possibile libertà. Magnaghi non descrive semplicemente l'esperienza carceraria; anzi tralascia di riportare gli episodi più cupi e disumani, come il breve passaggio a «Villa Paradiso», il nome del reparto di punizione di Regina Coeli; egli cerca invece di misurare la capacità di adattamento in una cond~- zione nuova e assolutamente im-. prevedibile e insieme di sondare lo spessore della barriera. La scrittura a volte è distesamente narrativa (stupendi certi racconti quale la storia di come procurarsi un tavolo per la cella a S. Vittore), a volte densamente saggistica, a volte si struttura in forma di poesia; non proprio versi ma ritmi sì, quasi seguendo la necessità di un respiro più accelerato e intenso. Un'opera non solo stilisticamente letteraria ma anche sostanzialmente tale, se «letteratura» signifi- ·ca la possibilità della lingua di misurarsi con le condizioni estreme. Occorre anche dire che è questa la sola letteratura che ci interessa. È evidente che sarebbe sciocco e insensato affermare che «visti i risultati sembra che il carcere possa perfino far bene»; tuttavia l'esperienza del carcere viene letta e scritta da Magnaghi come condizione emblematica, come specchio nero di quel carcere circondato da barriere invisibili che «sta fuori», dove viviamo tutti, in preda a infiniti condizionamenti. Qui sta il valore di quest'opera, nel marcare una netta soluzione di continuità con l'esperienza politica precedente, asfittica più ancora che storicamente sconfitta, per andare alla ricerca di un modo nuovo e profondamente radicato nell'umano di essere politici. Un'idea di libertà può nascere e affermarsi solo se si riusciranno a collegare le interne necessità a quelle dell'infinito tessuto sociale. Questo libro è un punto di riferimento indispensabile. Alberto Magnaghi Un'idea di libertà. San Vittore '79-Rebibbia '82 con una nota di Rossana Rossanda Roma, Manifestolibri, 1985 Diario: quale futuro? Alberto Boatto È una rivista fatta da giovani e diretta da vn giovane a proporre, oggi, il genere «diario». Dandone subito una silloge composta di pagine diaristiche che recano i nomi di Schumann, Scipione, Barthes e Jiinger. Dunque un musicista, un pittore e uno.scrittore, quasi ad esaurire l'intero campo linguistico, scomparsi in un arco di tempo che va dalla metà dell'Ottocento al nostro ieri, accostati ad uno scrittore superbamente attivo all'età di novant'anni. Quale contrasto fra la giovinezza dei redattori e la vetustà di questi diaristi ! Ma scopertamente il contrasto è giocato, nelle intenzioni dei curatori di questo intenso e perfino elegante numero monografico, non a sfavore ma a vantaggio del «diario», ossia puntando sulla sua attualità e scommettendo sul suo futuro. Non un epitaffio viene qui eretto, bensì viene indicata un'apertura. Nessun genere meglio del «diario» sembra prestarsi ad accompagnare e a registrare, dall'interno, nel dispendio quotidiano, quella «mutazione» che è in corso in ogni frammento del mondo. Nell'attesa che la scrittura diaristica subisca anch'essa la sua «muta» indispensabile, Stilo si sofferma intanto a saccheggiare con rispettosa disinvoltura la ricca eredità ricevuta. Si accompagna così al viaggio in Italia del giovane Schumann, diviso fra l'esaltazione e lo smarrimen-,. to, la tensione dello spirito e ledéfaillances del corpo, in una velocità di spostamenti mimata dalle febbrili .spezzettature delle annotazioni. Si affianca ai tormenti di cui .morbidament(?. soffre Scipione, a causa del ritorno di un «rimosso» storico, quella Roma controriformista che riesce a penetrare fin dentro la p.orositàdella sua anima e della sua carne. Segue le oscillazioni di un Barthes incerto fra l'abbandono al richiamo della immediatezza e la riappropriazione critica, che interviene ogni volta con effetto inibente sino a paralizzarne la scrittura. Si accompagna infine ad un altro viaggio italiano, quello intrapreso da Jiinger nella Roma della contestazione del'68: un fenomeno che resta certo estraneo al suo disimpegno pratico ma non alla sintomatologia del secolo dall'autore..d. ell'Arbeiter messa da tempo a punto ed arricchita con un'attenzione instancabile. Al di là dei documenti, la riflessione sul diario, in queste pagine, risulta perseguita dal solo Barthes, in un ambito strettamente letterario, nel quale viene sollevata la questione centrale dello «stile». Tuttavia più profondo dell'orizzonte letterario resta l'orizzonte della necessità: perché si sono scritti diari e, soprattutto, perché scriverne ancora? Un preciso quadro di riferimento ci è fornito dalle riflessioni fatte da J.F. Lyotard sulla fine delle grandi narrazioni esplicative del moderno. Che cosa emerge allora, al di là di simile caduta, se non quel residuo dubbioso, sfuggente e minaccioso che è il «soggetto», alle prese con troppe cose, col tempo e il mondo, e con la domanda del senso, che insorge sempre malgrado !'interdetto da cui viene tallonata? È unicamente con questi fragili materiali che ci è concesso, nel tramonto dei grandi récit, di intraprendere «micronarrazioni» aperte ed avventurose, nelle quali il soggetto tenta di lasciare dietro di sé le tracce della propria presenza, il rendiconto del viàggio di scoperta e di prova, in cui ineluttabilmente si trova coinvolto. Di queste «micronarrazioni», il diario rappresenta l'unità minima,. il battito essenziale, quasi il respiro non sopprimibile. Il compito molto improbabile che si pone immediatamente è di tracciare un luogo, in cui le cose possano tornare di nuovo ad accadere per ognuno di noi, di strappare all'anonimo qualcosa di personale, di distaccare una vo-, • ce dal rumore di fondo - compiti tutti difficili, se non impossibili-,ma che·si collocano fermamente in un luogo opposto ad ogni cedimento alla facilità del familiare. Solo così il diario può trasformarsi in un campo sperimentale, nella registrazione puntuale di un compito, con le sue riuscite parziali e gli scacchi numerosi. Ciò che viene apprestato non è affatto un rifugio, bensì un luogo trasparente di esposizione e di contaminazione aperto a tutti gli influssi del mondo. Penetrare nella dimensione della scrittura diaristica, significa, in questa prospettiva entrare, non nella sicurezza, ma nella sua perdita. Penso ad ogni attuale e futuro autore di diari come a colui che, voltate con decisione le spalle alla familiarità, si trova impegnato in un compito esigente, divenuto quasi estraneo ed incomprensibile, a forza di presentarsi, nei nostri giorni, come il compito più urgentemente «umano». Stilo numero 7-8, ottobre 1985 Ravenna, lire 10.000 La peste del 1630 Amedeo Santosuosso La peste milanese del 1630 («manzoniana») non fu una peste di grandi dimensioni nè per il numero dei morti né per le tensioni sociali dalle quali fu preceduta ed accompagnata nè per le conseguenze di carattere economico. In un quadro del genere risultano fuori misura, eccessive e non facilmente giustificabili la particolare ampiezza ed eco che, a differenza di altre occasioni di contagi, nella peste del 1630ebbero le unzioni, i processi e le condanne dei loro presunti autori. In Tempo di peste vi è un tentativo di dar conto di questa anomalia seguendo una via che fino ad ora risulta inesplorata dagli autori che hanno affrontato l'argomento. Canosa tenta la. via «politica»: cerca una spiegazione nella struttura dei poteri della Milano dell'epoca e nella loro dislocazione effettiva. Il protagonista di questa operazione di utilizzo della peste e di «creazione» degli untori è il Senato, direttamente e attraverso il Tribunale di sanità (da lui controllato). Sia pure per alcuni mesi il Senato esce. dalla condizione di secondo ordine (esclusivamente, o quasi, giudiziaria) nella quale era caduto ed esercita una vera e propria «dittatura». Il libro si svolge attraverso l'individuazione, la raccolta e la valutazione degli indizi di questa ipotesi ricostruttiva. Certamente il primo spostamento di poteri che si verifica all'interno del Ducato sta nell'accresciuta importanza del Tribunale di sanità. Già dall'aprile del 1630questo tribunale, nelle comunicazioni con il governatore che è «al campo sotto Casale», sollecita iniziative amministrative e di prevenzione e chiede i relativi finanziamenti («un buon soccorso di danari»). Alla fine di giugno il governatore investe il gran cancelliere Antonio Ferrer di «autorità suprema di dare tutti gli ordini et pigliar subito e senza dilatione gli espedienti e risolutioni che occorreranno secondo gli accidenti in questa materia, senza che vi sia stata la necessità di ricorrere a noi che ci troviamo in questa congiuntura fuori di Milano occupati nella guerra et assedio di Casale Monferrato». Ma questo conferimento di pieni poteri incontra resistenze proprio nel Senato, che solleva rilievi in ordine alla «provisi6n de dinero ... ». Nell'estate esplode il terrore della peste, accompagnato da una guerra totale contro gli untori, ai quali viene attribuito il contagio. Umanizzata l'origine della peste e individuate le responsabilità «individuali», il problema diventa essenzialmente giudiziario, di ricerca e di repressione dei responsabili. Con tutto l'armamentario che segue: equiparazione dell'unzione al delitto di lesa maestà, obbligo di denuncia degli untori, pene feroci ecc. Nell'estate del 1630 la congiuntura sociale e politica vuole che sia esercitato il terrore di stato verso gli untori. I processi e le ese- •cuzioni diventano momenti tra i più importanti di gestione della società milanese di quei mesi e raggiungono la loro massima importanza quando il Senato arriva ad incriminare per unzione il figlio del castellano (il castellano era quarto nella gerarchia del Ducato e secondo negli affari militari). Ora nè le dislocazioni di potere verso organi tecnici nè le unzioni costituivano una novità della peste del 1630. Erano dinamiche di potere e temi già presenti nella storia precedente di evenienze del genere e non solo a Milano. La particolare importanza e durezza del trattamento riservato alle unzioni e agli untori del 1630 non trova d'altra parte un'origine adeguata nè nelle teorie della peste nè nella cultura popolare delle unzioni diffuse nello stato milanese. Né quelle teorie nè quella cultura avevano infatti una importanza tale da portare successivamente alla caccia, ai processi e alle esecuzioni. Le unzioni e i processi agli untori stravolsero la mappa delle autorità nel Ducato. La massima autorità formale era il gran cancelliere Ferrer, sulla base dei pieni poteri conferitigli dal governatore. Il governo della peste, sulla base delle leggi vigenti, era di competenza del Tribunale di sanità. Altre autorità potevano certo concorrere· a tale esercizio di potere (Consiglio segreto,
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