.Virgilioe i mo@-elplioetici Gian Biagio Conte Virgilio. Il generee i suoi confini. Modellidel senso, modelli della forma in una poesia colta e ~sentimentale» Milano, Saggi Blu Garzanti, 1984 pp. 169, lire 16.000. Memoriadei poeti e sistemaletterario. CatulloVirgilio OvidioLucano Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 19852 (19741 ) pp. 129, lire 9.500. I n sede epistemologica le nozioni di modello e di meta/ora sono state fruttuosamente accostate. Scrive Max Black nel 19771 : «Sono ora impressionato, cos{ come non lo fui sufficientemente quando scrissi Metafora, dalla stretta connessione tra il concetto di modello e quello di metafora. Ogni 'complesso di implicazioni' sostenuto dàl soggetto secondario di una metafora è, penso ora, un modello delle attribuzioni ascritte al soggetto primario: ogni metafora è la punta di un modello sommerso». Ma già nel 1964Mary B. Hesse2 descrive con chiarezza la concezione interattiva della metafora messa a punto dal Black: «La metafora opera trasferendo le implicazioni e le idee associate al sistema secondario a quello primario. Queste selezionano, mettono in evidenza o sopprimono le caratteristiche del sistema primario; ne mettono in'evidenza aspetti nuovi; il sistema è 'descritto attraverso' la struttura del sistema secondario... Segue che le idee associate al sistema primario subiscono una certa trasformazione dovuta all'uso della metafora, e quindi anche la sua primitiva descrizione letterale ha cambiato significato. Lo stesso avviene con il sistema secondario, dato che le idee che gli sono associate risultano modificate dalla sua assimilazione al sistema primario; i due sistemi sono considerati più simili l'uno all'altro; sembra che interagiscano e siadattino reciprocamente, fino al punto di confutare le primarie descrizioni letterali, qualora siano interpretate secondo il nuovo significatopostmetaforico». Su questo background epistemologico si lascia meglio apprezzare la filologia dei modelli di Gian Biagio Conte. Chiaro in essa (in rapporto al lavoro del filologo) il riferimento al concetto di modello ermeneutico3 , non mero strumento euristico e nemmeno idea platonica, piuttosto - citiamo Conte• - .«simulacro di senso complessivo capace di rappresentare, coerentemente, un insieme di fenomeni altrimenti individuabili solo in modo episodico e puntuale, non sistematico». Di che·modello si tratta, in rapporto al lavoro dell'autore? Non antigrafo ma codice. Questa distinzione è chiave essenziale nella saggistica di Conte, aprendo tra spazi teorici notevolmente complessi e istituzionalmente distinti, quali genere letterario, memoria poetica, forme dell'espressione e forme del contenuto, la prospettiva unificante dell'intertestualità, sempre più operativa dopo le revisioni apportate in tempi recenti al heurema di Julia Kristeva5 • Non si dà antigrafo senza apografo, in un rapporto imitativo che svarierà dal furtum all'aemulatio, pur sempre restando in limiti minuti di competitività intersoggettiva, analizzabile con non meno soggettivi criteri psicologici; mentre il rapporto intertestuale trova spazio di fronte al modello-codice, invariante, istituto secondo cui si orienta la comunicazione e si orienta il sistema delle attese. Dalla critica degli influssi e delle fonti, «metafore dal mondo dei fluidi», nella tradizione del conferrismo (scherzosi rilievi di Conte), l'indagine si sposta alle relazioni di trasformazione che legano tra loro le strutture testuali. Le teorizzazioni di Conte si concretizzano in pratico esercizio filologico eleggendo al centro del campo l'epos latino e al centro di questo centro la poesia virgiliana. Si precisa il cruciale statuto del genere, nella dialettica tra langue e parola poetica, tra codice, provvisto di ampia competenza e apertura, e norma, selezione-interpretazione storicamente privilegiata e ideologicamente connotata delle virtualità combinatorie offerte dal èodice; dialettica infine tra norma e scarto, che regola tutto il divenire della cosiddetta creazione poetica. Conte (Il genere, p. 63) adotta al riguardo una immagine seducente: «Sembra uso di molti critici concepire lo scarto dalla norma quasi una fuga del poeta da un'odiata prigione; altrettanto ovvio ma certo più esatto sarà immaginarsi il poeta della parola nuova simile a chi, più che un gesto di rifiuto, fa un gesto di rinuncia parziale, accetta un'eredità ma sa vincere in sé la tentazione di limitarsi a goderne l'usufrutto: troverà se stesso solo a prezzo di un sacrificio voluto». Lo scarto scuote, contamina, relativizza, ricodifica, riorganizza la forma profonda dei contenuti e affiora in superficie nella forma dell'espressione: così viene letta l'operazione virgiliana nei confronti deUa norma omerica e viene letta l'operaziope lucanea nei confronti della norma virgiliana. Viene colta la compresenza quale essenziale categoria artistica di Virgilio, che diffrange ma non infrange lo statuto del genere, mentre nelle strutture profonde dell'epos lucaneo si insedia la drammaticità e di fatto insidia con una incomposta contraddizione la conservazione del genere. Già, perché le qualità d'un campo poetico - qui il discorso di Conte appare particolarmente sensibile a istanze strutturalistiche - si riconoscono, meglio che al centro (se mai uno se ne lasci riconoscere: molteplici sono, nella produzione del senso, i punti di vista), ai margini d'uscita, lungo i complessi fronti di linee oppositive vs gli altri campi. Il genere epico ha i suoi confini, riconoscibili per esempio tra Dafni e Gallo, tra Aristeo e Orfeo, tra Enea e Catone (il Catone lucaneo, beninteso). A l di qua e al di là di questi confini, autentica matrice di intertestualità, la· memoria poetica. Vecchio e nuovo, tradizione e originalità, poesia colta e sentimentale sono categorie critiche che escono rifigurate dalle serrate rivisitazioni di Conte (particolarmente illumina il suo più recente contributo, postfazione a Memoria, II ed.) . Rispetto alla gertta Quellenforschung dell'età positivistica, l'arte allusiva di Giorgio Pasquali privilegiava il fattore del1' aemulatio per salvaguardare il momento della creatività. Ora la memoria poetica di Conte si prefigge di superare i limiti soggettivistici e intenzionalistici della concezione pasqualiana, che ha pur reso eminenti servigi all'artigianato filologico, per inquadrare il rapporto coi modelli nel compiuto sistema ciella composizione testuale. Appare così che il testo è una specie di Giano bifronte tra il passato e il futuro della comunicazione letteraria: in grado di influire sulla sua tradizione, che contribuisce a canonizzare, ma non meno sui suoi destinatari di cui costruisce e regola, attraverso precisi meccanismi funzionali, la competenza: fomite insomma le chiavi, li abilita anche a nuove aperture del codice (naturalmente nel sistema i vuoti contano come i pieni, la memoria negativa non è meno orientatrice della memoria positiva). Giungiamo così all'acquisizione centrale di Memoria: decantato e organizzato dalla sistematica prospettiva intertestuale, il ricorso ai modelli letterari si lascia ridefinire come retorica dell'imitazione e accostare al tropo poetico per eccellenza, la metafora, di cui riproduce assai da vicino il funzionamento. Ciò avviene nel caso dell'allusione integrativa, in cui le due voci che s'incontrano, del modello e del suo utente, tendono a sintetizzarsi, conferendo spessore opaco al discorso poetico. Là dove tale condensazione non si produce, dove le due voci rimangono analiticamente a confronto, ci troviamo di fronte all'allusione riflessiva, che non alla metafora si lascia accostare ma alla similitudine, senza granché increspare la trasparenza meramente comunicativa del discorso. Ciascuno vede i contatti tra la concezione di Conte e quella di Black citata all'inizio: epistemologia e filologia trovano nella retoric·aun valido comune quadro di riferimento. Possiamo tuttavia chiederci se la memoria poetica ricalchi fedelmente lo statuto retorico della metafora. Lo stesso Conte opera (Memoria, p. 34) un prezioso distinguo: «Il procedimento metaforico nasconde il verbum proprium e mette in luce quello figurato; inversamente, l'allusione, mentre esibisce il verbum proprium, lascia invece da scoprire - richiede anzi che si scopra - quello improprium, rimasto implicito». Nella metafora lo scarto tra lettera e senso è in atto, linguisticamente manifesto, per cui a restituire il senso basta la pura riduzione dello scarto •(coppa di Ares-scudo). Nell'allusione lo scarto è inespresso: va prima conquistato per agnizione del modello (che non si dà senza diretto coinvolgimento del lettore colto) e solo allora può essere ridotto. Esempio classico fornito da Conte è quello di memoria incipitaria esibita da Catullo (carme 101, 1) rispetto a Omero ( Odyss. 1, 1-4), su cui s'innesterà, allusivo a sua volta nei confronti di en- •trambi, Virgilio (Aen. ~' 692 sgg.). Catullo che multas per gentes et multa per aequora vectus si reca nella Troade a parlare invano con le mute ceneri del fratello ivi sepolto presenta, densa di valenze semantiche, l'evocazione di Odisseo che, lasciata Troia, errò per gli stessi mari e tra le stesse genti. Per parte sua Virgilio, iniziando il colloquio tra Achise ed Enea nell'Ade- luogo di trapasso dall'Odissea ali' Iliade del suo eroe - valorizza acutamente la lettura catulliana del mito di Odisseo (e la catena allusiva potrebbe estendersi almeno al famoso sonetto foscoliano). D all'agnizione dei modelli il lettore-filologo ricava il valore figurato del loro riuso e, ridotto lo scarto, il senso proprio a ciascun nuovo testo. Ma, chiediamoci, l'allusione catulliana ha valenza metaforica rispetto al modello omerico? Il Catullo elegiaco che, dopo la peripezia del viaggio, approda alla funerea Troade (particolarmente importa il confronto col carme 68 A, 87100) intende davvero sovrapporsi alla memoria di Odisseo che viceversa lasciavaTroia per iniziare la sua peripezia? Ci sembra chiaro, piuttosto, il rovesciamento antieroico del modello e chiaro anche in questo caso il confine tra epos ed elegia. A sua volta Virgilio riattraverserà quel confine. La sua allusione precisa contrastivamente sullo sfondo dei modelli il proprio senso. Il rimando a Catullo connota Enea d'una pietas estranea a Odisseo, ma, diversamente che in Catullo, il colloquio con l'estinto non è vano: le ceneri di Anchise hanno voce, forma, sentimento del fato. Lo statuto retorico meglio accostabile a questo rapporto intertestuale sembra dunque, più che il metaforico, quello ironico, «contrarium-Grad der Metapher» (Lausberg». La memoria ironica, nelle manifestazioni più chiaramente antifrastiche del tropo, è studiata ed esemplificata da Conte in pagine di felice filologia (Memoria, p. 63 sgg.). C'è da chiedersi se il suo campo d'azione non vada prudentemente allargato, valorizzando soprattutto la nozione d'ironia messa a punto da Dan Sperber e Deirdre Wilson6 : quale menzione, citazione, eco d'una «parola altrui» (per dirla con Bachtin) che il vero destinatario deve saper riconoscere come tale. L'agnizione del verbum improprium, essenziale all'allusione, si fa allora tutt'uno con la percezione del segnale d'ironia, senza la quale non è consentito ridurre lo scarto del tropo dal senso figurato al verbum proprium. La revisione dell'antico e indubbiamente inadeguato concetto di aemulatio può attingere anche alla retorica dell'ironia utili paradigmi funzionali. Note (1) Modelli Archetipi Metafore, Parma, Pratiche Editrice, 1983, p. 117. (2) Modelli e analogie nella scienza, ed. i_t.a c. di Cristina Bicchieri, Mila- 00 no, Feltrinelli Editore, 1980, p. 151. ~ (3) Cfr. su questo stesso foglioSilvana -5 Borutti, «Le virtù dei modelli» in Alfa- ~ beta '68, gennaio 1985, p. 24. ~ (4) «A proposito dei modelli in lettera- ~ tura», in Materiali e discussioni per ....., l'analisi dei testi classici 6 (1981), p. ~ 148. .,C) (5) Cfr. Cesare Segre, «Intertestuale- -~ interdiscorsivo. Appunti per una feno- "1::l menologia delle fonti», in AA.VV., R: La parola ritrovata. Fonti e analisi letteraria, Palermo, Sellerio Editore, i:: 1982, pp. 15-28. ~ (6) «Les ironies comme mentions», in ~ Poétique 36, novembre 1978, pp. 399- g 412. ~
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