Premiodipoesia«Rebibbia». • . ·. Gianna Sarra . «Gli alieni a questo nostro 'Mondo' mi perdoneranno. A loro chiedo: nelle platee e negli applausi, nel ricordarci, almeno, un brivido!» Gianfranco Tirelli P er chi non abbia mai messo piede in un carcere, credo che sia inevitabile un minimo di claustrofobia, all'ingresso. Fuori dal portone di Rebibbia, trattieni il nervosismo, dialoghi; poi all'improvviso ti vengono in mente, come in una carrellata, il codice di Hammurabi, le tavole di Mosé, Antigone - e lucidamente dichiari: no, non è cambiato niente, è ancora la legge del taglione - un solo occhio (non due!) per l'occl!_iostrappato, tutta qui la giustizia/vendetta che abbiamo saputo inventare - se hai tolto la vita, o parte della vita (i beni) ti sarà tolta la vita, cioè la libertà, o parte della vita... Appena dentro, stretti nel breve spazio fra il portone blindato e la porta girevole, nell'affanno della consegna di chiavi, orologi e tessere, l'ansia prende alla gola, manca l'aria, proprio letteralmente, e ti domandi: ma come faranno a resistere?All'interno, le strutture sono più bassee ariose di quanto ci s'immagini. Sedie predisposte nel grande cortile-giardino ci accolgono davanti a unpalco, su cui sale la giuria, presieduta dal magistrato Vincenzo Anania, capofila del gruppo di poeti romani «Itineranti», che, insieme a Dacia Maraini, Vito Riviello, Giorgio Weiss, ha lanciato nel maggio '84 l'idea di questo singolare concorso di poe- . sia, nato da «un dialogo fra pari» (ci tengono a sottolinearlo) - cioè fra poeti reclusi e poeti esterni - qui a Roma, poi aperto a detenuti di tutte le carceri italiane, con un tale afflusso e livello di materiali che è stato necessario, allafine, sostituire all'iniziale premio unico tre primi premi in lingua e altret- ,tanti per il dialetto (sentito qui con tutta la bellezza e laforza della necessità); in complesso hanno risposto all'invito, con 628 componimenti, 242 autori, 214 poeti e 28 • poetesse, «una percentuale che approssimativamente corrisponde al rapporto tra uomini e donne ne/- I' attualepopolàzione carceraria». Nulla di tutto ciò si sarebbe potuto realizzare, ovviamente, senza- /' attiva partecipazione e la sensibilità del direttore di questo carcere modello, il dottor Luigi Turco; mentreparla almicrofono, cosìsinceramente emozionato, non posso far a meno di notare quale strana, incredibile figura sia, questo mite signore, che si direbbe piuttosto il direttore d'un convitto vecchio stile, un po' innamorato, com'è giusto, di tutti i suoi ragazzi, anche i più «terribili», e che garbatamente ironizza sulla sua giacchetta a righe, «da presentatore», identica a quella che indossa Giorgio Weiss - e però ci ricorda che lui non vive solo del carcere, ma - come tutti Sono stati rilevati alcuni errori di stampa nel numero 77. Ci scusiamo con gli autori e i lettori e pubblicliiamo gli errata corrige: Per non farmi eccessivamente torto, mi piacerebbe che i lettori sapessero che nella recensione «L'Homo veneziano» (Alfabeta loro - nel carcere.Alla mia sinistra riconosco Germana Vetere, Pietro e Laura Ingrao, che mi sembrano commossi; a destra, Amelia Rosselli e, più avanti, Ida Di Benedetto e Riccardo Cucciolla; fra poco leggeranno i versi dei premiati - non senza tenerezza e cura di rapporto con gli autori: Cucciolla voce-di-flauto si fa accompagnare («per sostenermi» dice umilmente) mentre legge la delicatissima Fiori di luna, dal poeta Taormina, che gli batte il tempo con le mani, e quasi lo mima, al suo fianco. L'atmosfera sospesa - s'intuisce bene di gradita pausa, come di oasi, in questi pur fioriti deserti - è sottolineata da applausi ipersensibili, da luci colorate che si accendono fra i rami, dall'aria che rinfresca; grazie a Dio è stato evitato il cattivo gusto di chiedere ragione della loro presenza agli autori - «uomini», dirà il poeta Riviello, distinti da noi solo per una «malasorte» (loro dicono «destino») - e ciò carica unpo' il mistero. All'entrata ci è stato distribuito un libretto, «Guardandoti guardare» (il titolo è ricavato da un verso di Gius_eppeGallina) che la Regione ha avuto cura di stampare e la cui unica pecca mi pare sia l'assenza del~ l'indice, per cui vado a ripescarmi a fatica i testi che mi hanno più emozionata (fra gli altri, Tu uomo, di Maria Di Perri, il più viscerale - e condiviso - grido femminista che abbia mai sentito). Due punti mi sembrano importanti da sottolineare, dall'introduzione di Enzo Anania e dalla pren. 77, p. 44), penultima riga della terza colonna, intendevo chiedere cosa hanno da dirsi «le ornate stanze di una reggiae le antichissime carie». Quello che hanno da dirci, un po' lo immagino, parecchio lo apprezzo. Così nell'ultima colonna vorrei che la stele della Lunigiana restasse singolare; questo perché il prof. Moscati non pensi troppo male di me. Giorgio S. Luso C'è in Alfabeta un nascosto nemico della postmodernità che non crede che il Novecento sia «il_semessa di Dacia Maraini; dice Anania che invano cercheremmo una gran diversità fra noi e loro - tutti conosciamo la segreta pulsione alla devianza che costantemente ci occupa: «perciò un rapporto culturale fra il carcere e l'esterno (soprattutto al livello disinteressato... della poesia) è parso un'occasione di fruttuosa dialettica, non solo fra la società dei - formalmente - probi e quella dei - ritenuti - deviati, ma anche fra il dentro e il fuoti di ognuno di noi». La Maraini, che sembra sia stata molto combattiva nell'imporre le sue scelte, all'interno della giuria (e, se è vero, bisogna darle atto che almeno Gallina e Tirelli, i due primi classificati, sono sbalorditivi) li I ;~?)! -=::;~:?:.:~ evidenzia un'altra equazione, inevitabile: la scoperta della parola-come-azione (quasi letteralmente il «Verbo») da parte di chi, della nuda forza di un'azione avventata ha forse abusato, fidandosi troppo d'un'impossibile speranza di cambiare con ciò il mondo, e le sue regole: « Essi avevano tentato di carpire con le mani qualcosa che veniva loro negato... Ma il carcere sembra averli allontanati dal- /' azione, anche come mito. Così sono . entrati, per quanto forzatamente, in una dimensione di riflessione e di attesa, sorpresi essi stessi di trovare tante possibilità nei ritmi e nei tempi dellapoesia». A ll'uscita, nel fresco della not~ te, tornano in mente le parole di commiato che Vito Riviello ha rivolto agli ospiti, invi- · colo scorso» e che quindi ha scritto «secolo XIX» dove io scrivevo «secolo XX»; e, posseduto da storico furore, ha deciso che quando scrivo «secolo XIX» in realtà alludo al «secolo XVIII». Crolla così l'interpretazione - umile ma tendenziosa - che io proponevo nel paragrafo finale del mio articolo «Paradossi del romanzo» (Alfabeta, numero 77), la cui autentica formulazione è quella che segue: Il romanzo è stato soprattutto impulso, tendenza. Il secolo XIX sapeva fin troppo bene verso cosa (non invano coniò insieme le notando a mantenere aperto «un discorso che continua»: «Cerchiamo un'umanità - non voglio dire nessun aggettivo - ma un'umanità che sia almeno... ecco: nuova» (e quel ragazzo ben vestito, carino, che spontaneamente confessava: «Io sono ragioniere, mia moglie pure è diplomata; certo, potevo farne a meno, diciamo pure che sono stato spinto dalla disoccupazione, però, potevo farne a meno ... »). Viviamo tutti, senza dircelo, la netta sensazione che per un attimo abbiamo condiviso la grossa rete che cattura i pesci piccoli, permettendo ai grossi squali di aggirarsi intorno liberi. E questo lo sanno bene i detenuti («Ero carcerato, e siete venuti a trovarmi», Mt. 25,36). In questi giorni, sul mio comodino c'è uno stranO libro in fogli, edito da Longanesi nell'81 e introvabile ormai, che un amico del Movimento per la Pace ha avuto la bontà di farmi ciclostilare: Il Papalaghi, sorta di reportage anni '30 dalle isole Samoa, in forma di sagge parole e avvertimenti contro l'uomo bianco (il papalaghi appunto) da parte di un capo tribù Tuiavii al suo popolo. Ecco quanto vi si osserva a proposito delle nostre istituzioni carcerarie: «Quando un uomo dice: 'La mia testa è mia e non appartiene ad altri che a me', allora per lui è veramente così e nessuno può avere qualcosa da ridire... Fin qui dò al Papa/aghi tutte le ragioni. Ma lui dice anche: 'La palma è mia'. Solo perché cresce proprio dvanti alla sua capanna. Come se l'avessefatta crescerelui stesso. La palma però non è affatto sua. Mai. È la mano di Dio che l'ha fatta uscire dalla terra... Quando vai da un Papa/aghi e presso di lui vedi qualcosa, un frutto, un albero, un'acqua, un bosco, un mucchio di terra, subito egli dice: 'Questo è mio. Guardati dal toccareciò che è mio!'. Ma se tu lo fai ugualmente, allora si mette a gridare, ti chiama ladro, una parola che rappresenta una grande vergogna... Accorrono i suoi amici e i servi del grande capo, ti mettono in catene e ti conducono nella pale pui pui (prigione) e tu sei messo al bando per tutta la vita. Perché uno non abbia a prendere le cose che sono dell'altro, questo, e cioè il ciò che è mio e il ciò che è tuo, è accuratamente regolato da leggispeciali. E in Europa ci sono persone che non fanno altro che badare a che nessuno trasgredisca queste leggi. ., Con questo il Papa/aghi vuol dare a vedere di avere un reale diritto su queste cose, come se Dio stesso gli avesse concesso ciò che possiede per tutti i tempi. Come se davvero lapalma, l'albero, ilfiore, il mare, il cielo con le sue nuvole gli appartenessero». Da un po' di tempo, ancheper quel che riguarda i libri, non credo più al caso, se mai alle provvidenziali coincidenze ... zioni di «realismo» e «romanzo»): verso la realtà intera e vera, che alla fine si arrendeva senza condizioni. Il secolo scorso - il secolo XX - perseverò nella stessa ambizione, ma senza fiducia nella vittoria: significava già molto dare inizio al combattimento, alludere quanto non poteva essere enunciato, mettersi in marcia. «Il romanzo è uno specchio lungo il cammino». Solo che i moderni credettero che fosse piuttosto il cammino lungo uno specchio. I più cordiali saluti Francisco Rico Shalom per comprendere l'ebraismo • coilana diretta da Paolo De Benedetti Elie Wiesel Un ebreo oggi Racconti, saggi, dialoghi pp. 288, L. 18.000 Schalom Ben-Chorin Fratello Gesù Un punto di vista ebraico sul Nazareno pp. 332, L. 18.000 Helmuth James von Moltke Futuro e resistenza. Dalle lettere degli anni 1926-1945 pp. 264, L. 20.000 La storia «culturale» della resistenza al nazismo, nelle lettere di un illuminato cospiratore che condivise con Bonhoeffer sino al martirio ideali di libertà e di fede Jan Dobraczynski Sotto le mura di Vienna Il romanzo di Giovanni Sobieski pp. 408, L. 25.000 HUMANITAS rivista bimestrale di cultura della Editrice Morcelliana Via G. Rosa, 71 tel. 030/46451 - 25121 Brescia Dal sommario n. 6/1985 Angelo Marchese L'enigma Manzoni Lorenzo Bedeschi Don Giovanni Verità a cent'anni dalla morte Piersandro Vanzan «Contro-Stato cattolico» nell'Emilia di fine Ottocento Maria Teresa Mandalari Originalità e mistero di Domenico Scarlatti Giuseppe Tognon Pensare la pace e pensare la guerra Armido Rizzi L'esperienza di Dio nei primitivi Paolo Bertezzolo Disagio giovanile e impegno educativo Giulia Carazzali «Progetto Etruschi», Firenze 1985 Documenti Aldo Temperini Quattrocento anni fa: i primi «ambasciatori» giapponesi in Piazza San Marco Morcelliana
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