Vocèdeett•scena dell'espressionismo Frediano Sessi · Umberto Artioli, Francesco Bartoli Teatro e corpo glorioso Milano, Feltrinelli, 1978 pp. 312, lire 9.000 Umberto Artioli Il ritmo e la voce Milano, Shakespeare & Company, 1984 pp 276, lire 25.000 Claudia Monti L'espressionismo e il suo doppio Milano, Shakespeare & Company, 1984 pp 85, lire 8.000 A lcuni percorsi, talune letture, . paiono centrali nel recente libro di Umberto Artioli, che indaga i territori paludosi di pratiche teatrali· poco note anche agli stessi specialisti, o se si vuole del tutto dimenticate. L'idea del teatro come cerimonia di rigenerazione, legata in quanto tale ad ,:ina sorta di febbre messianica, di nuova Parusia; il motivo della crudeltà, già oggetto d'indagine in Artaud (1978) che qui perde il suo carattere di escrescenza abnorme del nostro secolo, assumendo il significato più preciso di una linea, tracciata con forti antecedenti in area tedesca tra il 1905e il 1925; il legame di necessità tra alcune poetiche o pratiche teatrali misconosciute e talune espressioni del teatro del Novecento come: Grotowski, Brook, il Living, Barba e lo stesso Carmelo Bene, la sua osse~ sione vocale. Ma gli spunti, le riflessioni possono essere assai di più, perché Il ritmo e la voce pare essere uno di quei libri che hanno il pregio di essere costruiti a partire dalle fonti, proponendosi all'attenzione sia per le tesi che in esso si sostengono, sia per i materiali di ricerca. Se, infatti, si esclude Kandinsky (al quale Bartoli dedica un saggio densissimo in appendice al volume), Pirandello e Kokoschka, gli autori che costituiscono il nucleo del testo sono pressochè sconosciuti in Italia. Uno dei capitoli centrali del libro che porta come titolo Lingua paradisiaca e phoné in ambito Sturm, si occupa, per esempio, della figura di Rudolf Bliimner, noto in quegli anni come attore dicitore delle poesie di Stramm, il massimo poeta del circolo Sturm. Bliimner non è solo un attore, ma colui che all'interno delle serate Sturm di Berlino, con la sua presenza vocale,._<ipplicallà scena un rigoroso metodo sottrattivo, motivandolo anche con acute dichiarazioni teoriche. Sostenendo infatti l'inutilità della scenografia rispetto all'impianto vocale, «stendendo ~ un eloquente silenzio sulla figura 1:s registica», Bliimmer non nega le .s risorse dello spettacolare. «Che si ~ espripia come ritmico movimento ~ del corpo umano, o come anima- ~ zione dell'inanimato, secondo la ~ direttrice invocata da Craig, esiste E un dominio dello spettacolare che, -~ se dà vita a percorsi diversi, non -,::s per questo cessa di essere artisti- ~ camente corretto». i::: Per Rudolf Bliimner, l'attore ~ con la sua presenza viva è una fi- ;g, gura in cui gesto e vocalità si fon- ~ dono; è l'unico a conferire «consistenza scenica, e cioè· un ritmo e una melodia assolute, alla parola» cosicchè dalla recitazione ogni elemento che sembra essere estraneo, esterno, non proveniente dal corpo dell'interprete umano, varigorosamente cancellato. Sarà allora interessante, per trarre alcune considerazioni a questo proposito, rileggere una cronaca che il~criticoe romanziere svizzero Bemhard Diebold fa ricostruendo una soirée-Sturm, nel 1921: «L'urlo è diventato qui pura Kultur: ... Un dramma come quello di Stramm può vivere solo nella rappresentazione. A Berlino, nel circolo Sturm, ho visto un fanatico, pallido e giovane, che lo legge-' va, non come usualmente si legge, ma mugghiando, rintronando, sibilando. Tremanti le sue mani stringevano cqnvu}sao;ientela pagina. Madido di sudore, semisvenuto scese dal podio. Questo era l'io dell'anima espressionista portato artisticamente all'assurdo, l'io che attraverso il corpo dell'uomo sofferente, e non più attraverso la poesia, poteva divenire urlo lirico. Non più arte della parola, ma arte scenica dello sguardo e dell'urlo». (cit. in Artioli). R ispetto, dunque, ai suoi compagni ·del circolo berlinese Sturm, che ved'ono il teatro come sintesi di vari elementi artistici (secondo una accezione wagneriana, o meglio kandinskianamente), Bliimner nega qualsiasi valore alla parte figurale-scenica confidando nelle sole imma~_ni. acustiche, che prendono origine dalla phoné. «E la phoné è per lui il suono originario, quale si consegue martellando o deformando la parola, sino a espungerne il valore semantico in una ricerca di purezza assoluta». Stramm, scrive Bliimner in un testo a lui dedicato, «ha liberato la parola dal suo significato convenzionale, che non era più un significato, ma la più logora delle esplicazioni, le ha restituito il suo significato puro, il suo significato originario, spesso il valore archetipico perduto. La parola può essere di nuovo ascoltata perché deve essere ascoltata. Questo è il fondamento della poesia di Stramm. La parola non è concepita nella costringente univocità della- sua esplicazione concettuale, ma udita nel suo significatooriginario è d'una potenza enorme. All'inizio era la parola. La parola è tutto. Nulla è più potente della parola ... Vorrei paragonare la parola nel suo significato originario al suono della melodia. Cosa significa il suono? Nulla, per lo meno nel senso dell'esplicazione. Qualcosa di infinito, invece, come suono, che può essere computato in base al numero delle oscillazioni» (in Artioli). Emerge così l'idea di una recitazione assoluta costruita su una «melodia vocale», libera dal valore semantico della parola poetica e nello stesso tempo supportata da una gestualità fatta di «ritmi puri, senza riscontro nel cosiddetto reale». Con Bliimner, depositario di un'esperienza teorico-pratica intensa e forse totale, autore drammatico e regista scompaiono o se si vuole trovano il loro luogo di essere nella figura dell'Attore, unico depositario della Voce. Si può forse azzardare che tutto ciò porta oggi a prefigurare quello che con assoluta autonomia e con grande talento va inseguendo Carmelo Bene, sia nella pratica teatrale, sia nella teoria? Certo esistono, in questo riferimento storico, differenze di grosso rilievo. Gli adepti del circolo Sturm, Bliimner in prima fila, vivono nell'attesa di una nuova Parusia, quasi una sorta di febbre messianica che attende l'urgenza del Compimento. La radice delle ricerche di Carmelo Bene è certo un'altra; si colloca sul registro dell'assenza, del manque, della ripetizione «d'un origine sottratta», più che dell'attesa dell'Evento. Per gli amici del circolo berlinese, il Novecento è forse l'ultimo stadio del processo di èonseguimento dell'archetipo dell'uomo glorioso, l'Urbild. Cosicchè il motivo di una pura phoné della lingua angelica diviene una sorta di approdo felice e non certo, come per l'Hoffmansthal della Lettera a Lord Chandos, il luogo di un approdo impossibile. Tuttavia paiono emergere tra questa esperienza così suggestiva e le recenti ricerche di Carmelo Bene interessanti affinità, che le indicazioni del libro di Artioli sollecitano, invitando alla ricerca. D icevamo all'inizio che un'altra traccia di lettura è rappresentata dall'idea di teatro come luogo cerimoniale, in cui, lontano dai fastigi della regia, ha luogo una sorta di epifania del Sacro. E fin dalle prime pagine si coglie una duplicità nell'intendere questo aspetto. Per molti, infatti, come sarà per Artaud (cfr. Teatro e corpo glorioso), il teatro pare il luogo dove si possono riaggiustare i brandelli sparsi di una ferita, che nel vissuto quotidiano pare insanabile; la ferita della modernità, aperta dal progresso, dai veleni della civilizzazione. E in questo caso, il teatro inteso spesso come cerimoniale di morte e rinascita individuale o collettiva, come festa o Mysterium, vuole anche essere un tentativo per ritrovare il Centro, l'unità perduta. La divina euritmia di Fuchs, la ragione materna di Kokoschka, la scena estatica di Emmel appartengono già a tale dimensione. In Bliimner come in Schreyer o in Kandinsky, la radice del teatro cerimoniale pare non essere più la mancanza, il vuoto, la frattura patita dal soggetto che ha perso la sua unità, l'impossibile unione; ma come abbiamo sottolineato in precedenza essa è da rintracciare in una sorte di febbre messianica. In fondo, come ci dice Bartoli nel suo saggio in appendice («Kandinsky tra apocalisse e astrazione»), l'arte, per Kandinsky, «è la riemersione del veggente dal tuffo nell'inconscio» e coincide con un sentire che è già consapevolezza della fine del Soggetto e della sua eccentricità. Anzi, continua Bartoli «questo stesso ardente sentire che si manifesta, parla, avrebbe detto Kandinsky, nella forma. Qualcosa che sta a metà, un mondo intermedio tra la pelle delle cose e ciò che corre sotto di essa». In questa direzione, pur con le già dichiarate differenze, possiamo anche verificare come l'esperienza di Artaud non sia stata e non resti un'esperienza isolata. Punto di riferimento quasi mitico, che ha giocato e gioca sulle generazioni future un ruolo simile a quello che Rimbaud ha ricoperto in ambito poetico, Artaud rimette in discussione l'idea di teatro postrinascimentale, un'idea già scossa dalle poetiche teatrali di un Fuchs che punta, per contro, all'esigenza di verità del teatro naturalista, ad un teatro puramente «teatrale, costruito sul ritmo, sulla tendenza, vale a dire su cifre organiche, riportabili al corpo dell'attore». Il palcoscenico diventa così «il microcosmo in cui si riflette e concentra il gioco del mondo». Da cui, anche per Fuchs, il carattere di cerimonia solenne dell'evento teatrale «autentico rito di morte e rinascita». Allora, i temi del doppio, della crudeltà, dell'estasi mistica, della possessione, della trance, la ricerca degli stati mistici, l'uso delle maschere, il ricorso al gesto, alla ,, danza, allo spazio circolare anziché frontale, sono protocolli che si rinvengono presenti in ambito espressionista e para-espressionista e che ritroveremo non solo sviluppati nell'esperienza e nel testo artaudiani, ma anche in molte delle manifestazioni teatrali odierne del cosiddetto terzo teatro ( da Barba al Living, dal Bread and Puppet a Grotowski, etc... ). Così il Sacro, in queste forme di teatro, non certo isolate, non certo escrescenze minoritarie in un panorama culturale più ampio, riaffiora - lo si chiami forza vitale, transitus tra i vivi e i morti, mistica comunitaria, energia creativa - e costringe lo spettatore ad essere il centro dell'accadimento teatrale, del reale scenico, «ritrovando un senso alla propria esistenza altrimenti sommersa nelle tenebre dell'insignificanza». L'indagine sulle poetiche del teatro espressionista tedesco, condotta da Il ritmo, la voce, unica nel suo genere, serve, dunque, anche a ricucire dei fili perduti (forse in taluni casi dimenticati per rimozione culturale: non dimentichiamo che Fuchs e Emmel restano ancora autori in odore di nazismo), tra un passato relativamente recente e alcune delle più significative esperienze teatrali odierne. Una operazione, che per altri ambiti, sullo stesso periodo e su alcune delle poetiche citate da Artioli, compie anche lo studio di Claudia Monti. Partendo dalla constatazione che nella letteratura contemporanea è avvenuto uno spostamento decisivo dell'interesse·per il processo di significazione al «più corposo linguaggio-mezzo», cioè al significante, il «linguaggio stesso in tutta la sua materialità sensuosa, immaginosa», Claudia Monti mostra come, in ambito espressionista, la presenza di analoghe modalità estetiche si ritrovi in comportamenti e modelli linguistici «comuni tanto alle avanguardie utopiche/eversive quanto alle avanguardie integrate/consenzienti, tanto alle avanguardie antitecnologiche quanto alle avanguardie tecnologiche. «Si esce dall'io per due sensi, e per due direzioni assai divergenti: da una parte per dissolversinell'anima intatta, originaria del cosmo, dall'altra per disperdersi nell'universo artificiale, simulato dalla macchina». Un mescolamento di serie opposte, di doppi che si alternano, si sovrappongono all'interno delle procedure estetiche delle avanguardie del '900. Ma ciò che pare essere centrale in questa indagine è la constatazione irrinunciabile del sottrarsi graduale delle parole al controllo dell'io; una sottrazione sentita come angosciante da Lord Chandos, ma viceversa vissuta come liberazione e arricchimento dalle avanguardie, quella espressionista ad esempio. La perdita di importanza del significato, il riscatto del significante, ricuce i fili del passato con la modernità, con l'oggi; nella consapevolezza, più volte sottolineata, della primarietà della parola, al tempo luogo epifanico e di cattura; luogo di ritrovamento e di smarrimento; misura imprendibile di un reale impossibile in sé.
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