Alfabeta - anno VII - n. 79 - dicembre 1985

allora questo è ciò che può legare la storia dell'arte alla scienza, alla quale il tentativo di spiegare i fenomeni appartiene principalmente. Allo specialista e al conoscitore d'arte la spiegazione di un fenomeno importa poco. Tanto è vero • che quando ci prova lo fa spesso in modo primitivo, perché in fondo in fondo non pensa che si tratti di un problema serio. A mio avviso, invece, c'è una dimensione teorica dell'arte che non va sottovalutata. Ed è questo che ho sempre cercato di fare, persino nei libri più popolari. Nella mia Storia dell'arte, per esempio, è questo il filo conduttore di tutto il testo. Da un punto di vista maggiormente teorico ho trattato il tema in Arte e illusione, che credo sia uno dei miei libri più noti. Solo che, a distanza di anni, devo ammettere che la formula che stava alla base di quel testo, e cioè che «vedere è sapere», è oggi forse troppo semplicistica. E questo perché quella formula non riesce ad arrivare fino al centro del problema, e cioè non arriva a spiegare pienamente l'idea di sapere. Oggi penso che l'idea generica di sapere vada piuttosto esplorata domandandosi che cosa significhi esattamente il sapere di un artista, ovvero come si realizzi la sua capacità di costruire un'immagine, come si arrivi a farne un modello. Il modello concettuale dell'immagine, infatti, in realtà non esiste prima che l'immagine sia stata realizzata. La costruzione di un'immagine è anche un processo quasi sperimentale, perché spesso è impossibile prevedere l'effetto che successivamente essa avrà. Dopo, quando l'immagine è stata fatta, allora si capisce il suo effetto. In tutto ciò mi sento molto popperiano. La formulazione di Popper del processo scientifico, e cioè l'esperimento «per prova ed errore», vale perfettamente anche per la creazione artistica. Il pittore, lo scultore, il musicista e così via compiono tutti dei procedimenti a feedback: prima fanno, e poi esaminano l'artefatto. Uno slogan per spiegare il processo artistico potrebbe essere questo: schema e correzione, ovvero fare e poi criticare. Non si tratta di un processo presente in tutte le tradizioni culturali. Ma penso che sia fondamentale per l'arte occidentale. D. Soffermiamoci su Poe,per. Effettivamente, riguardando la lista dei grandi pensatori di cui si occupa in Tributes e che sono punti di riferimento culturale per i suoi studi, si potrebbe dire che manca solo Popper. In che cosa è debitore del grande epistemologo inglese? Gombrich. Gli devo sostanzialmente l'idea che studiare l'arte possa seguire la metodologia della scienza. In altri termini, per me fare critica d'arte o filosofia dell'arte non appartiene alle «belle lettere». La tendenza tradizionale della letteratura sull'arte di scrivere in modo quasi poetico non fa per me. Il mio ideale sarebbe che tutto quello che scrivo possa essere verificato razionalmente. Certo: con questo non voglio dire che l'arte sia un fatto puramente razionale, so benissimo che non lo è. Ma quando uno vuol scrivere sull'arte, ebbene questo allora è razionale. Lo scrittore di cose d'arte deve sapere dove vuol giungere una sua proposizione. Ai miei studenti io dico sempre, iniziando i corsi, che una proposizione sull'arte deve essere sempre come un valore in contanti, cioè immediatamente scambiabile. Uno va in banca e sa cosa ottiene. La bella scrittura, che però nasconde un pensiero non chiaro, non è il mio ideale, anche se certamente ammiro alcuni «scrittori» di arte che hanno un bello stile, come il compianto Kenneth Clark. In questa mia scelta trovo una certa familiarità con la metodologia della scienza. Del resto io non faccio mai proposizioni puramente astratte sull'arte, ma le lego sempre a qualche dato concreto, a qualche opera. L'opera costituisce il fatto concreto e la verifica sperimentale di una teoria. l'attualitàdellatradizione Ernst H. Gombrich Custodi della memoria Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 294, lire 50.000 Ernst H. Gombrich Il senso dell'ordine Torino, Einaudi, 1984 pp. 569, 366 ili. + XIII tavole a colori e 98 b.n. fuori testo, lire 65.000 Ernst H. Gombrich L'immagine e l'occhio Torino, Einaudi, 1985 pp. 378, 261 ili., lire 45.000 L a recente traduzione italiana di due libri e l'edizione inglese del settimo volume dei collected essays, offre il pretesto per una nota critica sulla traiettoria intellettuale di Sir Ernest Gombrich, tanto interessante quanto longeva poiché copre lo spettro di almeno tre generazioni di studiosi e gli sviluppi del discorso storicoartistico lungo l'arco di tutto il Novecento. I volumi in questione sono: Il senso del/'ordine, straordinaria ricerca dedicata alle arti decorative e all'ornamento in generale; L'immagine e l'occhio, raccolta di saggi e conferenze che riprende i temi sugli statuti della mimesi rappresentativa già affrontati in Arte e illusione; Custodi della memoria (Milano, Feltrinelli, 1985), libro che assembla undici ritratti di grandi «interpreti», da Lessing a Warburg, da hegel a Kurz. In particolare, proprio quest'ultimo volume offre la possibilità di catturare qualche preda teorica nella vasta riserva dell'erudizione gombrichiana, poiché i ritratti analiticamente raffigurati (generalmente per celebrazione necrologica) vengono assunti come perimetro di una intenzionalità critica dell'autore e molto spesso addirittura a partire dagli anni Trenta. Nel sottotitolo, che risulta alla fine un metasignificato degli scritti, sta il valore attribuito a quegli studiosi che, irrispettosi di frontiere nazionali come di confini disciplinari, hanno attinto dalla cultura sui classici e dall'osservazione storiografica e linguistica uno sguardo genealogico sui fatti umani, privilegiando le forme visive ed artistiche e con un'attenzione insistita per la «disseminazione del senso». Così, in un saggio introduttivo su scienze artistiche e umane, Gom- • brich accattiva con arguzia l'attenzione degli ascoltatori-lettori facendo notare come «il programma che hanno in mano è stampato in caratteri che derivano dai fenici, modificati da greci, romani e in epoca carolingia... i numeri provengono dall'antica India per via araba; la carta ... è invenzione cinese arrivata in Occidente nell'ottavo secolo... mentre il termine friday viene dalla divinità germanica Frigg... ». Esercizio di elegante e piacevoBruno Pedretti le retorica, queste poche righe dichiarano molto su quanto intende Gombrich per «interpreti della nostra tradizione culturale», e pare di essere di fronte all'applicazione di quell'Atlante delle mutazioni iconografiche tentato senza successo da Aby Warburg e continuamente sognato da storici dell'arte, diretto a raccogliere con utopia linguistica una mappa dei fonemi visivi ricostruiti nelle loro genealogie e seguiti in tutte le loro migrazioni geografiche, etniche, culturali, storiche, morali, stilistiche. Ma, in questa eccellente antologia dela tradizione, oltre al progetto Mnemosyne sta anche la consapevolezza di un indirizzo intellettuale che attorno alla storia dell'arte ha chiamato a raccolta più vasti intenti per una scienza umanistica. Oltre al recupero di Lessing e Hegel in qualità di ombre teoriche gettate sulle analisi a noi più vicine, nel «teatro della memoria» di Gombrich troviamo Lord Leverhulme come figura moderna di un mecenatismo alla maniera medicea (mecenatismo che trova riscontro anche nei sostegni della famiglia di banchieri Warburg ai salassi bibliografici e di ricerca del figlio Aby), e troviamo ancora Freud, Huizinga, George Boas, Frances A. Yates, I.A. Richards, Kris e Kurz come esempi di un intelletto che, ricercando il significato per •migrazioni iconografiche, semantiche storiche, psicologie culturali e storia delle idee, non allenta la ricerca sulla soglia delle divisioni disciplinari poiché per esso vale più il senso della relazione che quello della partizione. Istituzionalmente trovano posto l'uno accanto all'altro la biblioteca Warburg di Amburgo (e poi fonginese per la diaspora imposta dal nazismo) e The History of Ideas Club fondato da Boas con Lovejoy a Baltimora nel 1923, mentre teoricamente si intrecciano linguistica, filosofia, scienze religiose e storia dell'arte che poi, tutte insieme, vanno a depositarsi in quella che forse va ritenuta l'ultima grande scuola dell'erudizione e che trova in uomini della statura intellettuale di Burckhardt e Schlosser i propri manifesti. Di quest'ultimo Gombrich è stato allievo, ma è proprio tramite una comparazione con Schlosser che vediamo anche il formarsi delle differenze e la disseminazione delle strade analitiche in cui il pensatore austro-inglese assume una sua propria posizione. D al warburghismo delle prime due generazioni (Warburg e. Saxl-Panofsky) e da Schlosser, Gombrich prende il pensiero genealogico ma riduce il respiro storico; dalla «Scuola. di Vienna» (Riegl in particolare), Gombrich assume gli intenti linguistici ma comprimendo le valutazioni stilistiche. Nell'uno e nell'altro caso, come emerge dalle conferenze ora raccolte in L'immagine e l'occhio, la doppia riduzione degli elementi storici e stilistici si rende necessaria per una più decisa introduzione delle componenti psicologiche e percettive del fatto visivo: scompaiono le distinzioni tra generi espressivi, quelle stesse che lo storicismo in parte crociano di Schlosser riuniva, come già in Burckhardt, sotto l'ombrello di una cultura dell'epoca e che invece in Gombrich tendono a ricomporsi in una sintesi laboratoriale tra retin~ e memoria. Pure scompare, nel nostro autore, quella che nel primo «iconologismo» (anche senza affidarsi alle troppo rigide schematizzazioni panofskyane) era l'idea di una catena del senso rivisitata a partire dal comparativismo tra moduli visivi, rappresentativi, culturali (Wind, Saxl) e anche costruttivi ed architettonici (Wittkover). Con Gombrich il senso come genealogia e infinita traducibilità migratoria si sposta sul versante degli statuti percettivi in cui regnano, a grandi linee, due intenzionalità della forma: quella mimetica, che è anche la lezione classica e rinascimentale dello spettatore come «testimone oculare» e quella concettuale, spesso intesa arcaicisticamente ma psicologicamente anch'essa recuperata nella dicotomia avanzata da Gombrich tra «ri~ conoscimento» e «rievocazione» in cui il primo polo avvicinaall'immagine con volontà «naturalistica» («L'arte come miglioramento

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==