Alfabeta - anno VII - n. 79 - dicembre 1985

' E molto diffuso il luogo comune secondo cui una disciplina è tanto più attendibile quanto più risulti assoggettabile alle regole di una lettura matematica. La storia di questa identificazione riflette quella che si potrebbe definire una «vocazione assiomatica», per cui ogni disciplina appare tanto più credibile, quanto più risulti edificata su assiomi e su processi logici consequenzialmente deduttivi. Nessuna delle scienze cosiddette non esatte, probabilmente, è riuscita a mantenersi immune dal contagio di una tale identificazione. Ad esso, certamente, non si è sottratta la scienza economica. Il metodo assiomatico e la scienza economica: dalla genesi alla crisi Al suo sorgere, è vero, tale disciplina non pagò affatto questo tributo. In effetti, risultava molto più interessata agli aspetti fisici, più che matematici, della nuova scienza, seicentesca e newtoniana. Di lì ad un secolo esatto, tuttavia, anche per l'indubbio sviluppo diffusivo delle matematiche, lo scenario disciplinare mutò rapidamente. Ad opera di personaggi quali L. Walras - al quale è tra gli altri dovuta la cosiddetta rivoluzione marginalista -, l'economia conobbe rigorose formulazioni matematiche; tant'è che si sentì il bisogno di mutare la stessa nomenclatura: non più di economia politica si parlò, bensì di teoria economica pura, desensibilizzata, cioè, dal contesto sociale determinato, tramite la definizione di assiomi matematici che vennero a rappresentare le diverse variabili economiche e i loro astratti nessi funzionali. I contributi teorici successivi - anche i più eretici - non poterono ignorare parti, almeno, dei linguaggi prodotti da questa rivoluzione. Quell'intenzione epistemologica, cioè, rimase, al di là delle pur diverse formulazioni di metodo, generando le basi della disposizione assiomatica in economia. In sostanza, di lì in poi si prese a distinguere gli economisti - lo esplicita bene Siro Lombardini - in puri e non e si determinarono, conseguentemente, quegli habitus che, certamente mutati, persistono tutt'oggi. Piuttosto che limitarsi a ribadire le coordinate di una nota diaspora storico-dottrinale, tuttavia, vale forse la pena,cercare di capire il suo più recente assetto problematico. Sarebbe imperdonabile, in effetti, assumere le attuali «vocazioni assiomatiche» della Scienza economica e le dispute conseguenti quali residui di un passato o quali semplici effetti tecnologici. In realtà, ad essere in causa è pur sempre il mutare del Politico. Sulla base di questa consapevolezza sono perciò decisivi solo i quesiti proiettabili in avanti. È davvero logicamente incontestabile - o, per converso, scontata - l'odierna, manageriale fiducia assiomatica della Scienza economica? E qualora non lo fosse, sarebbe perciò risolutiva una critica - classica- che si limitasse a riproporre il carattere politico dell'economico? In terzo luogo: se così non fosse, non si dovrebbe cercare piuttosto di definire altre strade, metaeconomiche - secondo un 'inMetaeconomia diretta ed ermetica indicazione di G. Bateson? Proviamo a rispondere consecutivamente. L'assioma allo specchio Per quanto possa sembrare strano, al primo quesito è possibile rispondere proprio a partire dalla misurata fiducia che i logici-matematici - alcuni, almeno - nutrono nei confronti dei processi assiomatici. C'è una tappa obbligata, da questo punto di vista, resa accessibile ai non matematici dall'opera ormai classica di Nagel .e Newman. Si tratta dei teoremi di Kurt Godei, matematico viennese, presentò nel 1931e che tutt'oggi stanno alla base della logica-matematica. Costituiscono un contributo molto complesso, certamente, che potremmo però cercare di sintetizzare seguendo la Presentazione di E. Ballo al testo di Nagel e Newman. Complessivamente,· le ricerche di Godei hanno evidenziato due aspetti: 1. L'incompletezza delle teorie formali; 2. L'impossibilità di dimostrare, all'interno delle stesse, la loro coerenza. La prima affermazione indica che ogni teoria formale - naturalmente sotto opportune ipotesi - contiene una proposizione che ri- . suita essere, ad un tempo, né dimostrabile, né refutabile. Ovviamente, è possibile assumere ipotesi aggiuntive che tendano a dimostrare ciò che nella teoria in questione è condizione indimostrata. Senonché, l'effetto non muta: rimane indimostrata l'ipotesi aggiuntiva, comunque e consecutivamente. Da questo punto di vista, Godei impone un limite, per così dire, al concetto di dimostrabilità. Quanto alla seconda affermazione, poi, ancora desumibile dai contributi di Godei, essa consente di notare, premessa la coerenza della teoria formale indagata, l'indimostrabilità di tale coerenza. Infatti, se la teoria in oggetto ,non fosse coerente, ogni proposizione al suo interno sarebbe dimostrabile. Ma se ogni proposizione fosse tale, seguirebbe che una teoria non coerente potrebbe dimostrare la sua coerenza. Dunque, l'esistenza di una dimostrabile proposizione-che esprime la coerenza di una data teoria formale, non implica la coerenza deila teoria. Naturalmente, l'opera di Godei Adelino Zanini è tutt'altro che schematizzabile, ma è essenziale coglierne lo spessore epistemologico interdisciplinare. Evidenziando come proprio nei domini del «matematico» si sprigioni un'energia centripeta, per così dire, a significare la parzialità di ogni definire e di ogni linguaggio che si voglia universalmente definitorio. Un analogo scetticismo sembra mancare in discipline che dell'assiomatizzazione fanno uso: la scienza economica, appunto, in molte delle sue odierne versioni - econometriche, soprattutto. La linea manageriale vincente, osmoticamente fusa con le matematiche, investe molto sul criterio di verità assiomatica: non si tratta solo di una risposta .maturata in semplice contrapposizione alla ben nota crisi disciplinare, quanto di un tentativo, anche, di andare al di là d'essa - ci sono più aspetti, insomma, da considerare. Impolitico, politico, etico Ma perché al di la? Perché le odierne assiomatizzazioni della Scienza economica, se da un lato giocano ancora sul piano strettamente formale della migliore previsione possibile, dall'altro consentono di operare su quello delle simulazioni: veri e propri war games economici messi a punto dalle più prestigiose università e fondazioni di ricerca. E qui, in fondo, sta la possibilità di assorbire il sospetto godeliano e di superare la cns1 disciplinare. Certamente, nemmeno questa esasperazione assiomatica ha in sé criteri di verità - il sospetto epistemologico godeliano permane, dunque. Del resto, essa non si limita a dedurre verità possibili da assiomi necessari; piuttosto, d'essi si serve per immaginare scenari di governo del Politico: ciò che muta l'utilizzabilità del contesto assiomatico. Non vorremmo dare l'impressione di giocare con le parole; ma sembra davvero che tali possibili risposte simulate, più che preoccuparsi della crisi disciplinare e del politico ad essa sottostante (fine anni '60- inizio anni '70), teorizzino esplicitamente un «impolitico» basato non più sul canonico ricorso all'assiomaticità, bensì sulla funzionalità gestionale, sulle ragioni amministrative della simulazione. Alla crisi non rispondono, è certo - ma nemmeno se ne curano. Per questo, si diceva all'inizio, è lecito chiedersi se il semplice ricondurre la disciplina economica al suo carattere sociale possa essere, hic et nunc, risolutivo rispetto alla ormai pretestuosa crisi disciplinare e perciò garante di un rinnovamento effettivo (capace di valorizzare i presupposti ontologici sottostanti l'intento epistemologico - come argomenta Cremaschi). Non è, certo, che si voglia contestare la dimensione sociale del- !' economico; ma la sua semplice, essenziale riaffermazione a fronte della «provocazione assiomatica» è debole per due ragioni: perché non si rende conto che tale assiomatizzazione è lontana dallo spirito e dal codice neoclassici, utilizzando la simulazione e l'inconciliabilità dei linguaggi in funzione del Politico; perché non considera, quindi, che la riproposizione del Politico classico a fronte dell'impolitico assiomatico rischia di degenerare in prepolitico tout court. Insomma, il rischio vero è di non comprendere che, rispetto all'inconciliabilità dei linguaggi disciplinari, o si produce una dimensione anticipatamente post-politica - etica, indica opportunamente Siro Lombardini -, oppure si perpetua un riciclaggio disciplinare che sta sempre e solo dentro la crisi e al di qua, dunque, della «provocazione assiomatica». Da questo punto di vista diventa essenziale articolare, attraverso metaloghi interdisciplinari, un universo di discorso metaeconomico. Metaeconomie: tracce Le indicazioni indirettamente offerte da G. Bateson possono risultare significative e utilizzabili al di là di contrapposizioni rivelatesi sterili. Sinteticamente, possiamo indicarne i momenti propositivi essenziali articolandoli attraverso alcune categorie desunte da Verso un'ecologia della mente dello stesso Bateson. Non c'è disciplina odierna che possa prescindere dall'assunzione consapevole di due aspetti: la regionalità del contesto in cui essa è valida; la complessità di tale contesto. Questi ci sembrano i punti basilari sui quali, a ragione, Bateson insiste. Se ciò è vero, non è più sensato pensare ad una qualsivoglia «Teoria Generale». costruita attorno ad ipotesi anelastiche: siano esse semplicemente assiomatiche o politiche. Viceversa, occorre la consapevolezza che ogni disciplina, ogni teoria opera nel suo contesto, caratterizzato da relazioni complesse. Potrebbe sembrare che ogni singola teoria o disciplina fosse condannata a fissarsi sulla propria sorte singolare. In effetti, è un pericolo insito in una complessità non governata. Può essere tolto, tuttavia, proprio dal grado di flessibilità che la singola teoria o disciplina riesce a produrre dentro la sua complessità contestuale. Riallacciandoci a Bateson, ci sembra, dunque di poter dire che la fondamentale assunzione categoriale per la definizione di percorsi metaeconomici deve riguardare proprio la flessibilità analitica della disciplina. Ovvero, per metaeconomia - dice Bateson - possiamo intendere «un'economia della flessibilità economica», intesa come capacità di adeguamento elastico, non cumulativo, della teoria al contesto e come consapevolezza del dislivello ineliminabile tra rappresentazione e rappresentabile: mappa e territorio. In secondo luogo, essendo tale dislivello significativo - e non scarto negativo - della complessità contestuale esso genererà relazioni critiche (schizoidi) che, se da un lato eliminano il pericolo di fissazione su indicato, implicano, non di meno, il moltiplicarsi di significati interdisciplinari, che debbono poter essere decodificati affinché la complessità non debordi. Significati che, seguendo ancora Bateson, potremo definire doppi vincoli: attriti esistenti tra messaggio contestuale esplicitato dalla comunicazione teorica e metamessaggio critico, transcontestuale, ad essa implicito ma da essa non decodificato. Tali attriti, naturalmente, determineranno lo sviluppo dei comportamenti teorici, disponendosi quali stimoli ai processi di costante apprendimento: apprendimento ad apprendere. In questa condizione terminale di doppio apprendimento si può cogliere lo strutturarsi possibile di percorsi interdisciplinari. In essi non si daranno assiomi costantemente significativi o rapporti sociali già decodificati. Si produrranno, invece (tramite i metamessaggi alla disciplina impliciti e da essa non governabili) sindromi trascontestuali: ovvero, fruttuosi passaggi interdisciplinari alla complessità contestuale - politica, assiomatica, etica.... Cfr. Ernest Nagel, James R. Newman La prova di Godei Torino, Boringhieri, 1974 pp. 108, lire 9.000 Siro Lombardini Il metodo della scienza economica: passato e futuro Torino, Utet, 1983 pp. XVI + 314, lire 34.000 Sergio Cremaschi Il sistema della ricchezza Milano, F. Angeli, 1984 pp. 214, lire 16.000

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