Alfabeta - anno VII - n. 79 - dicembre 1985

<::s Georges Dumézil Gli dèi sovrani degli indoeuropei Milano, Einaudi, 1985 pp. 236, lire 30.000 Il Marcel Granet, che ama- '' va le sintesi ad effetto, diceva che, dalle coste dell'Irlanda alli coste della Manciuria, non esisteva che una civiltà». Georges Dumézil, che nella primavera del 1983 «incontrava» l'evidenza di un principio funzionale comune ai fenomeni teologici fondamentali del mondo indeuropeo, soggiunge che «occorre considerare le cose più da vicino». Di tale accomodamento dello sguardo comparativo, il saggio recentemente tradotto presso Einaudi, Gli dei sovrani degli indoeuropei, offre una testimonianza esemplare. Non si cercherà, in questo esame sinottico delle divinità sovrane, la dimostrazione dell'esistenza della struttura trifunzionale, ma, come il titolo annuncia, l'esposizione dei caratteri propri alle figure in cui s'incarna l'autorità suprema, nei sistemi politeisti ìndoiraniani, romano e germanico. La prima funzione rappresenta come è noto due aspetti antitetici e complementari del potere - dominio e sacralità, repressione e diritto. Essa è dunque strutturalmente doppia e descrittivamente complicata. Nella teologia vedica come nella leggenda romana, il ruolo della regalità originaria non è assunto da un unico personaggio bifronte, ma da una sorta di corte, ideale, in cui due protagonisti sono fiancheggiati da uno stuolo di attori secondari e comparse. In questo modo, tutta la ricchezza dei tratti distintivi che compongono l'idea sintetica di sovranità riceve un supporto divino. Mitra e Varuna La missione di Mitra e di Varunaper cominciare dal caso più antico di ideologia indoeuropea sopravvissuta - è di assicurare «il rispetto dell'ordine (cosmico, rituale, morale) fondato sull'esatto accomodamento delle parti»: il rta. Nella loro azione comune, i due sovrani sono responsabili di tutto ciò che concerne l'organizzazione dell'universo: divisione dello spazio, scansione del tempo, precisione rituale, rispetto dei confini e degli accordi. Tuttavia essi si distinguono l'uno dall'altro sia per la personalità, sia nella maniera di entrare in rapporto con il mond_oumano. Mitra, «l'amico», è un signore benevolo e saggio. Gli uomini ne sollecitano i favori con fiducia, lo invocano perché un conflitto si risolva in un accordo. Associato alla luce del giorno, Mitra apprezza una cucina non violenta e in bianco: riso cresciuto spontaneamente, cottura incruenta al vapore e soprattutto latte. Bollito, ammantato della sua pelle naturale, oppure crudo e in forma di panna separatasi naturalmente, il latte è sacro a Mitra. Nell'offerta in cui -S soma e latte sono mescolati per le ~ ~ due divinità congiunte, Varuqa gradisce il succo eccitante, estratto dal gambo della pianta di soma tri- ~ turato, mentre Mitra preferisce E l'altro ingrediente, pacificamente -~ attinto alla sua fonte bovina. Nel- ~ l'episodio all'origine del sacrificio g: di Soma, Mitra ha infatti tenuto i.i un ruolo ambiguo: in un primo ~ tempo, si è dichiarato ostile all'uc- ;g, cisione di Vftra, ma ha finito poi o::s per partecipare all'assassinio insieGlideisovrani me agli altri dei. VaruI]a, secondo una tipologia simmetrica, è una potenza notturna e, irascibile che agisce più per punire le infrazioni all'ordine cosmico che per propiziare gli accordi. Egli interviene con la forza del nodo e del laccio. Divinità avocazione demiurgica, VaruI]a fa, crea, modifica: il suo «grande strumento» è la mfiya, il potere di realizzare le forme dell'universo sensibile. Caratterizzato da una tendenza a risolvere le situazioni manu militari, egli è profondamente dissimile dal riflessivoMitra e mostra esplicite affinità con Indra, il dio terribile della funzione guerriera. Non ci si soffermerà qui a evocare gli assistenti di Mitra - Aryaman che presiede alle forme principali di rapporto quali il dono, il matrimonio, la libera circolazione; Bhaga che veglia sulla distribuzione delle parti, cieco come Fortuna. Né si priverà il lettore del piacere di esplorare le questioni di simmetria che Dumézil pone e risolve, a proposito dei compagni di VaruI_1a.Si farà invece un breve cenno alla storia della riflessione duméziliana sulla sovranità. Dagli dei sovrani alla prima funzione Dei sovrani è il nome che Abel Bergaigne aveva dato agli Aditya, l'insieme delle figure che, Mitra e Varuqa in testa, sono diventate per Dumézil le interpreti della prima funzione nell'India vedica. Come avvenne tale reinterpretazione? Ricordarne i momenti permette di capire che l'analisi della sovranità non fu semplicemente una disamina a posteriori della prima funzione già definita come tale. Al contrario, l'interesse per gli dei sovrani nella loro bipolarità precedette e in un certo senso favorì la scoperta del modello trifunzionale. A Mitra e VaruI]a Dumézil consacrò una monografia pubblicata nel 1940, al termine di un corso ali' Eco/e des Hautes Etudes, il primo esplicitamente centrato sulla struttura tripartita. Nella prefazione, con dantesca cortesia, DuméGiulia Sissa zii rendeva omaggio a SylvainLévi osservando che «quel grande spirito pieno di benevolenza» aveva sollevato una obiezione decisiva ad un saggio precedente, Ouranos-Varuna (1943), nel quale la divinità vedica era comparata al Cielo esiodeo, potenza fecondante e tenebrosa nella cosmogonia greca. «E Mitra?», aveva chiesto Sylvain Lévi. Mitra-Varuna. Essai sur deux représentations indo-européennes de la souverainité era la risposta: «l'amico», il re giusto veniva a completare il quadro della sovranità nella teologia vedica così come Dius Fidius entrava in quello della religione romana. La messa in luce dell'ideologia delle tre funzioni era recentissima: il terreno sul quale Dumézil la metteva alla prova era proprio la comparazione tra le due coppie di dei sovrani in India e a Roma. Ma Dumézil stesso racconta che «l'incontro» con il fatto trifunzionale era avvenuto durante l'anno accademico 1937-38, in occasione di conferenze dedicate all'articolazione di Mitra e Varuqa. Riflettendo sulla bipartizione della sovranità e in particolare sul binomio rexlflamen Dialis a Roma, egli scorse per la prima volta come un dato evidente «l'esistenza, accanto all'organo doppio che for-. mano il rex e il flamen Dialis, di un altro insieme: la gerarchia, sotto il rex e sopra il ponti/ex maximus, dei tre flamines maiores e quindi degli dei che essi servono, Iupiter, Mars e Quirinus». Tale struttura teologica si rivela parallela alla struttura delle classi sociali in India. Dumézil sottolinea l'àspetto inatteso e folgorante della scoperta, ma indica anche le circostanze di tale istantanea chiarezza. Lo schema trifunzionale fu scoperto come per caso grazie all'approfondimento dell'analisi della sovranità nella sua complessità interna. Abbandonare il confronto termine a termine di divinità vediche e greche o vediche e romane, orientare la comparazione verso il parallelismo tra sistemi·significava, per lo studioso di mitologia comparata, trovarsi in una prospettiva strutturaie. E, accanto alle bipartizioni, ecco apparire, a un tratto, la tripartizione che le ingloba. Non intendo prolungare questo breve cenno alla storia della scoperta duméziliana con un'ipotesi sulle sue ragioni segrete e magari oggettive. Lo storico Arnaldo Momigliano ne fornisce ben tre ai cacciatori di determinazioni in ultima istanza: la suggestione del modello nazista di società gerarchizzata, un sussulto di vago marxismo, l'avventata proiezione della mentalità cristiana nel mondo pagano ... (in Opus, II, 1983, fase. 2, pp. 331, 337, 338). A tale raffica di diagnosi, Dumézil ha risposto nel suo ultimo libro con vero fair-play (L'oubli de l'homme et l'honneur des dieux, Paris, Gallimard, 1985, pp. 299-318). Senza sdegnose smentite, ma al contrario con refutazioni mirate, citando per esteso i passi sulla mitologia germanica incriminati di eccessiva simpatia, per mostrarne la finalità descrittiva e non apologetica (Gli dèi dei Germani, tr. it. Milano, Adelphi, 1974). Su questo terreno minato, come su quello dell'appartenenza all'una o all'altra scuola di pensiero, Dumézil difende la dignità della scienza e l'autonomia di un percorso nel quale gli incontri e le intese intellettuali con maestri e colleghi, insieme alla lettura di grandi libri, sono stati realmente determinanti, al di là delle denominazioni scolastiche e delle affinità politiche. Profondamente razionalista, Dumézil non teme di separare l'ordine delle opinioni e quello della ricerca sui fenomeni. Iupiter, Era Se, come ama ripetere Pierre Legendre, il diritto romano è uno dei fattori costitutivi della civiltà occidentale insieme al cristianesimo e all'industria, Dumézil ha senz'altro riconosciuto allo ius un ruolo centrale tra i valori della religione romana. Iupiter 0.M. appare associato a Dius Fidius e a Fides, personificazioni della libertà, quindi della fiducia contrattuale, principio e fondamento del diritto. Dal punto di vista teologico, Dius Fidius resta una personalità minore accanto alla potenza virulenta e tempestosa di Giove. Non è in una mitologia celeste che l'uno e l'altro aspetto della sovranità si trovano espressi, bensì nella storia romana delle origini, storia leggendaria, o meglio «mitologia terrena» storicizzata. Nella successione di figure troppo emblematiche per non essere state ripensate o immaginate in una prospettiva dotata di senso, Dumézil scorge «l'installazione nell'ordine gerarchico dei grandi meccanismi funzionali». Romolo e Numa rappre- .sentano le due facce della sovranità: l'esercizio violento e varuniano del potere caratterizza il gemello fratricida, mentre una perfetta interpretazione della legalità è propria al re filosofo e moralista. «Non c'è sentimento più elevato, più sacro della fede, sia negli affari degli Stati che nei rapporti tra gli individui; essendosi ben persuaso di questa verità, Numa, il primo tra gli uomini, fondò un santuario della Fides Publica e istituì in suo onore sacrifici altrettanto ufficiali quanto quelli delle altre divinità». Non è Dumézil che interpreta, è Dionigi di Alicarnasso che racconta. Iupiter è un sovrano accentratore. Tra gli dei sovrani degli indoeuropei, egli svolge un ruolo che lo Zeus greco non incarnò di certo. L'omerico padre degli dei e degli uomini non è meno signore di Giove e potrebbe benissimo formare un trio all'indoeuropea, fiancheggiato da Ares o Atena e da Afrodite o Demetra, per esempio. Ma, per Dumézil, sarebbe arbitrario isolare e considerare come una triade a sé stante tre divinità o coppie di divinità che non abbiano rapporti speciali e costanti tra di loro. Lo schema trifunzionale non si incontra in Grecia, non tanto perché ciascuna delle tre funzioni non sia rappresentabile mediante una o più figure. Vi è piuttosto una ragione di coerenza strutturale: Zeus non si trova al centro di un insieme che i Greci percepissero come essenzialmente ternario. Ciò accade invece a sua moglie, Era dalle bianche braccia: in una situazione leggendaria puntuale, ma che è la matrice, il pretesto di tutto il ciclo troiano nell'epos antico. Dumézil ne parla in L'Honneur de l'homme et l'oubli des dieux. Episodio notissimo, tanto simbolico per l'etica e nella pittura quanto la perplessità di Ercole al bivio, il giudizio di Paride è l'archetipo pagano del fatale errore di chi preferisce il desiderio amoroso alla gloria eroica e al prestigio del potere. Al giovane principe in esilio, Era offre la sovranità, Atena le armi, Afrodite gli amori. Paride sceglierà il dono di Afrodite: naturalmente una donna, la più bella, il più bello dei mali. In tale occasione, le tre funzioni si presentano come gli aspetti di un sistemachiuso e completo. Le tre dee esauriscono il campo delle scelte possibili e si pongono in alternativa l'una rispetto all'altra. È il racconto stesso che le riunisce, separandole dal gruppo numeroso e composito degli Olimpi. In questo caso, come in altri ancora assai rari, Dumézil rinuncia al sacrificio che si era imposto ai tempi di Mitra-Varuna, quando si riprometteva di passare davanti ai templi greci senza entrare. Tre donne intorno al cor gli son venute...

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