Narcisis 1moamericano Giovanni Jervis Pubblicazioni sul narcisismo in Quaderni Piacentini, nuova serie, n. 3, 1981 Marisa Fiumanò Edipo e Narciso in Usa in Alfabeta, n. 30, 1981 Christopher Lasch La cultura del narcisismo Milano, Bompiani, 1981 pp. 287, L. 14.000 Loredana Sciolla (a cura di) Identità, percorsi di analisi in sociologia Torino, Rosenberg & Sellier, 1983 pp. 240, L. 19.000 Christopher Lasch L'io minimo La mentalità della sopravvivenza in un'epoca di turbamenti Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 216, L. 26.000 L a traduzione e pubblicazione, nel giro di un anno, dell'ultimo libro di Christopher Lasch, L'io minimo, è il segnale indubbio dell'interesse crescente per la sua opera di storico e saggista contemporaneo. Di formazione marxista, professore di storia all'università di Rochester, Lasch si è occupato negli anni Sessanta delle origini del populismo e del suo rapporto col movimento socialista, mostrando al tempo stesso una notevole sensibilità di documentazione contemporaneista con - studi a caldo sulla nuova sinistra americana: The new Radicalism in America (1965); The Agony of the American Left (1969); The World of Nations (1974). Ma la sua fama è principalmente dovuta a un libro molto discusso, La cultura del narcisismo (1979) tradotto in Italia nel 1981e seguito l'anno dopo dalla pubblicazione di Rifugio in un mondo senza cuore (uscito in Usa nel 1977). La capacità di Lasch di condensare Ìn formule sintetiche ed efficaci alcune caratteristiche della cultura contemporanea, dal narcisismo inteso come cultura collettiva all'immaginario della fine del mondo e all'ideologia della sopravvivenza, spiega come la sua opera costituisca un richiamo obbligato per i dibattiti sociologici sul costume e le ideologie più recenti. Pur padroneggiando da storico il gusto della documentazione e il quadro d'insieme del mutamento culturale, l'opera di Lasch sembra però più simile - per le brillanti descrizioni e un certo implicito ammiccamento - a certa letteratur-a :di costume che a uno studio storico globale. Lo stesso «marxismo» dell'autore, nonostante un impianto non volgare, sembra tradursi quasi in una complessiva filosofia del buon senso contro pretesi eccessi ed estremismi di una cultura della liberazio- .s ne che sa produrre più guasti e ~ buone intenzioni che risultati reali. Mà forse è proprio per questa capacità di intuizione di problemi reali, accompagnata da un approccio che rivela il disagio della stessa cultura di sinistra rispetto ai mutamenti contemporanei, che l'opera di Lasch diviene a suo modo paradigmatica. ~ Si pensi ad esempio al tema 1 stesso del narcisismo. Già nel ~ 1981, in un articolo sui Quadernz Piacentini, Giovanni Jervis segnalava l'equivoco successo del tema del narcisismo nel dibattito culturale contemporaneo. L'accezione comune del termine, il suo richiamo all'amore di sé favorisce una sua identificazione generica col concetto di egoismo; e in tempi contrassegnati dalla crisi della politica e dal privato, il dibattito mass-mediologico accelera questa identificazione. Non è difficile accomunare sotto il segno della personalità narcisistica comportamenti molteplici: il passaggio dai temi sociali alle micro-politiche, il culto del corpo, il salutismo, il naturalismo ecologico ecc. (fino al più recente «edonismo reganiano»). A ltro e più complesso, come è noto, è il significato del termine narcisismo nel dibattito psicanalitico, come rilevava appunto Marisa Fiumanò nel suo intervento sul n. 30 di Alfabeta. Già al livello della sua stessa definizione, anche se in Freud il significato del t~rQiine proviene dal vecchio modo di denominare una perversione sessuale, il narcisismo non ha nulla a che fare con le categorie morali. In quanto investimento libidico del sé, il narcisismo presiede in un certo guai senso alla costituzione stessa dell'identità. In quanto investiinento libidico del sé, il narcisismo presiede in un .certo qual senso alla costituzione stessa dell'identità. L'ulteriore revisione della teoria freudiana (da Federn a Kohut e a Kernberg) ha finito col ribaltare ulteriormente ogni concezione tradizionale del narcisismo come perversione egoistica. Osserva Jervis: «Il narcisista non è una persona che si ama, ma qualcuno che, nel fondo, si detesta. Se Narciso si specchia con tanta insistenza non è perché si piace o si compiace, ma perché cerca con ansiosa ripugnanza nella propria immagine qualcosa che ha perduto, o che non ha mai posseduto». E quando si parla di disturbi narcisisti della personalità la terapia prevede la ricostituzione dell'amore di sé non conseguito, il narcisismo appare cioè come un investimento necessario all'equilibrio dell'autostima primaria. Fra le recenti pubblicazioni sul narcisismo Jervis citava, come esempio di contributo rilevante al facile equivoco interpretativo e come modello di critica sociale moralistica proprio il libro di Christopher Lasch, Cultura del narcisismo. Se Lasch avesse fatto riferimento generico al concetto di narcisismo per definire alcune tendenze privatistiche dell'uomo americano contemporaneo, nessuno avrebbe potuto rimproverargli l'uso disinvolto e generico del termine stesso. Ma egli, in realtà, dichiarando in partenza l'ottima intenzione di evitare il ricorso a facili schemi divulgativi alla Fromm, cerca di analizzare e citare l'intero dibattito psicanalitico sul narcisismo, in modo ben poco appropriato. Ciò che gli interessa è trovare infine una definizione approssimativa di narcisismo che gli consenta di inquadrare, col termine stesso, alcuni aspetti della cultura contemporanea, fino a denunciare la malattia sociale che attraversa gli Usa. Nel suo parlare di tutto e di tutti - osservava impietosamente Jervis Attilio Mangano - Lasch arriva a un punto in cui è difficile affermare che abbia torto per il semplice fatto che è impossibile provare che ha ragione. «Se si potesse evitare di chiamare narcisismo tutto quell'insieme di debolezze, vanità umane, storture sociali e miserie culturali, su cu· Lasch si sofferma, si riuscirebbe anche meglio a cogliere il senso e la dignità del suo libro». 11 successo del libro ha spinto Lasch a proseguire su questa strada con un nuovo saggio, L'io minimo, che esamina ancora una volta i nuovi comportamenti narcisistici allargando il campo di analisi. Il suo riferimento principale è infatti la mentalità cosiddetta della sopravvivenza, quell'insieme di comportamenti e ideologie che traducono l'incubo per la morte atomica e la crisi delle risorse ambientali in una forma di autodifesa personale nei confronti del mondo ostile, fino alla riduzione appunto dell'io ai suoi tratti minimali, quasi di mimetizzazione con l'ambiente. Si pensi ai miti del rifugio inattaccabile e della vita individuale post-atomica, con le loro istanze di preparazione psicologica e di adattamento spirituale alla catastrofe prossima ventura. Ma in Lasch il bisogno di assimilazione è così forte da far rientrare nel mucchio delle narcisistiche ideologie di sopravvivenza un po' tutte quelle culture che pretenderebbero di fronteggiare le minacce di un ambiente ostile con la riduzione dell'io ai suoi tratti minimali: così è minimalista il pacifismo, nel suo dichiarare che in fondo non c'è nulla per cui valga la pena di morire, come è minimalista la cultura ecologica che descrive l'esaurimento delle risorse e favorisce uno spostamento di interessi verso il privato che si basa appunto su una visione debole dell'io. Lasch tende inoltre a identificare le radici teoriche di questa concezione dell'io minimale nelle teorie sociologiche dell'identità, in particolare nell'interazionismo simbolico di Berger o di Goffmann, in cui compare l'immagine di un io multiplo e proteiforme. Così facendo, Lasch sembra quasi ripercorrere inconsapevole le orme del Lukacs della Distruzione della ragione, alla ricerca di un io forte, perduto dall'estremo soggettivismo dominante, in un misto di critica sociale e di scomunica ideologica. Per certi versi, invece, laddove descrive incubi e miserie di un immaginario sociale fortemente proiettato sull'evento-catastrofe, Lasch fa opera meritoria di introspezione sociale di psicosi collettive e di rinascenti escatologie. Nelle sue pagine migliori il libro di Lasch può essere ricollegato alla tradizionale letteratura sociologica sulle personalità eterodirette, viste in questo caso come fenomeno collettivo e come immaginario. Ma il tono moralistico e la genericità concettuale accomunano il suo lavoro a quella letteratura sulla crisi di identità dell'uomo contemporaneo, a metà strada fra mal du siècle e alienazione, che coglie il problema reale dello spostamento di confine dell'identità, la difficoltà crescente di una sua definizione in termini oggettivi, la sua soggettivazione (Gehlen). E se proviamo davvero a confrontare un'opera come questa con l'insieme del dibattito sociologico contemporaneo sull'identità per ciò che riguarda il tema della destrutturazione sull'identità come problema, possiamo sì scoprire una comune diagnosi per ciò che riguarda il tema della destrutturazione e crisi dell'io, ma all'interno di una difficoltà profonda di Lasch a misurarsi teoricamente con le ragioni strutturali del costituirsi di identità multiple nella sodetà contemporanea. Si veda in proposito la documentazione esemplare del dibattito sull'identità. curata da Lorena Sciolla, che ha raccolto in volume testi fondamentali di Parsons, Turner, Pizzorno, Touraine, Luckmann etc. La crisi dell'identità forte è anzitutto crisi di una nozione stessa di identità poggiante su criteri di appartenenza (classe, ruolo, famiglia), quando essa tende invece a ri-negoziarsi dentro una serie di interazioni che si configurano come mobili e trasversali. In questo senso il dibattito stesso sull'identità sembra voler aprire una sfida, rompendo coi vecchi paradigmi funzionalisti e con quelli idealistici, per interrogarsi sulla «dialettica fra ciò che è unico e individuale, non riducibile ai condizionamenti dell'ambiente sociale e delle aspettative altrui, e ciò che è sociale». Certo, anche la Sciolla sottolinea il pericolo implicito in certi studi di sociologia fenomenologicadi passare da un concetto di identità chè spiega i comportamenti a un suo uso puramente descrittivo. E, a proposito delle maschere di Goffmann, ricorda il giudizio aspro di Gouldner: in Goffmann la definizione che l'individuo dà di sé sembra essere il fine stesso dell'agire individuale, in un susseguirsi appunto di maschere che rende inutile cercare il vero volto dell'attore. Ma ciò che caratterizza la posizione stessa della Sciolla è proprio lo sforzo di superare il ricorso generico alla formula della crisi d'identità leggendone le forme sociali e comunicative. «Lo stesso processo che moltiplica i codici e le risorse simboliche dell'individuo e indebolisce l'integrità e la plausibilità del suo 'mondo familiare', dilata anche enormemente il campo delle possibilità percepite dai soggetti. L'orizzonte di scelta degli individui diventa sempre più aperto e fluido e l'individuo si può immaginare 'protagonista di diverse biografie', indipendentemente spesso dalla stessa capacità di realizzarle». Ecco dunque che l'io minimale di Lasch, anziché presentarsi come risultato ulteriormente degenerativo di una cultura narcisista, si rivela chiave di lettura più adeguata di una crisi delle stesse categorie forti del pensiero sociologico. E lo slittamento 9ello statuto teorico-epistemologico della categoria di identità si ricollega a sua volta alle connessioni che pensiero forte e pensiero debole instaurano con la categoria di modernità. I n Lasch non esiste quasi neppure la percezione di smuovere detriti e certezze inerenti lo statuto del pensiero forte, il suo intreccio di calvinismo e di pragmatismo si ricollega alla tradizione dell'individualismo democratico e si conclude tuttavia in una condanna dell'universo delle contro-culture che finisce col tradire il limite di fondo di certe culture politiche della sinistra. Questo è infatti il lato più inquietante ed emblematico, dal momento che lo stesso Lasch non esita a passare in rassegna le diverse concezioni del rapporto fra politica e soggettività identificandole come correnti: così vengono chiamati .in causa rispettivamente il partito del super io ( cioè i teorici della costituzione del disordine contemporaneo con una rinascita del senso di colpa e di un'etica fortemente interiorizzata), il partito liberale (con la tendenza a identificare l'io con la parte razionale, che si presuppone armoniosamente libera da conflitti) e il partito del narcisismo e della rivoluzione culturale. Qui Lasch include uno per volta i capisaldi della sinistra freudiana (Marcuse e Brown), le femministe, gli ecologi, fino allo stesso Bateson, colpevole di criticare la concezione occidentale dell'individuo in nome di una interazione cosmica fra individuo e natura. I fautori del momento ludico ed estetico, Marcuse compreso, sono rimproverati alla stessa stregua di coloro che colgono nel lato maschile della cultura l'impulso al dominio. Emergerebbe infatti nella cultura narcisista e nel partito della rivoluzione culturale lo stesso errore di fondo, la condanna generale di ogni attività rivolta allo scopo, la non comprensione che ogni attività (compreso il gioco) serve ad affermare il lato attivo e positivo della volontà intenzionata allo scopo. Nella cultura individualistica dell'Occidente non c'è solo lo strumentalismo acquisitivo, l'egoismo capitalistico, c'è anche un individualismo volitivo ed operoso, realistico, che discende appunto da quell'Io stabile che è stato messo in crisi. Qui occorre dire che, col suo ricorso ad assimilazioni sbrigative, Lasch affronta in modo quasi involontario i temi decisivi dell'attuale dibattito della sinistra e della sua crisi di identità. In qualche modo ripropone un duello non risolto: la sinistra dell'io stabile e la sinistra dell'io minimo, la sinistra delle «magnifiche sorti e progressive» e la sinistra della rivoluzione culturale, la sinistra del prometeismo tecnologico e la sinistra ecologica, la sinistra razionalista e quella irrazionalista, la sinistra della politica al primo posto e quella controculturale, vengono chiamate in causa nella loro progettualità di fondo. Si tratta di ridefinire appunto il rapporto stesso individuo-società e uomo-natura, probabilmente rovesciando le implicazioni forti della tradizione che· Lasch esprime e m9strando come forse, proprio dentro quel preteso narcisismo che allude a sua volta ad altro, affiorino percorsi di liberazione.
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