Alfabeta - anno VII - n. 79 - dicembre 1985

Bachelard, un'epistem!ltgiadebole Revue International de Philosophie XXXVIII, n. 150, 1984 (dedicata a Bachelard) Gaston Bachelard. Bilancio critico di una epistemologia (a cura di Mario Castellana) ne Il Protagora, XXIV, n. 5, genn.-giugno 1984, pp. 241, lire 10.000 Mario Castellana Epistemologia debole. Bachelard, Desanti, Raymond Verona, Bertani, 1985 pp. 156, lire 12.000 B achelard dimenticato. Poche altre iniziative (tra le quali, pregevole il fascicolo monografico della Revue de Littérature Comparée, LVIII, n. 2, avril-juin 1984), oltre a quelle qui segnalate, hanno scandito la ricorrenza di un centenario. Questo réveur de mots, irregolare e doppio nella sua formazione intellettuale, si vendica ancor oggi di tassonomie e celebrazioni. Non ha lasciato una scuola o una tradizione, soltanto concetti, e frasi pregnanti, a partire dai titoli dei suoi libri (connaissance approchée, intuition de l'instant, nouvel esprit scientifique, dialectique de la durée, philosophie du non, poétique de la réverie, droit de réver... ). E la storiografia si è impegnata - e si impegna tuttora (cfr. i saggi di J. Starobinski, «La double légitimité», e di F. Dagognet, «Le problème de l'unité», nella Revue Int. de Phil.) - a discernere il luogo privilegiato della sua produzione e i rapporti tra il versante notturno della réverie e quello diurno dell'epistemologia (secondo la celebre metafora di D. Lecourt, peraltro già presente ne Le Matérialisme rationnel). La stessa permanente indecidibilità sul primato delle sue ricerche epistemologiche o letterarie non aiuta il consolidarsi di una tradizione. Al di là dei riconoscimenti di circostanza, i filosofi tendono a sospettare di un pensatore che ha denunciato nella filosofia un «ostacolo epistemologico» pericoloso per il cammino delle teorie scientifiche (fisico-matematiche, in specie) del '900, inaugurando un radicalismo anti-filosofico che - ricorda Castellana nel suo libro - risulta ancora vivo nell'epistemologia francese (con J.T. Desanti, P. Raymond e lo stesso G. Canguilhem); gli epistemologi, soprattutto se di formazione anglosassone e neopositivista, preferiscono ignorare un collega troppo dedito alla poesia e poco, o punto, alla logica, troppo attento a psicanalizzare le teorie scientifiche e a tracciare gli schizzi di una epistemologia storica alla quale molti epigoni t---- dell'empirismo logico tuttavia si ~ convertiranno (penso ad es. a T.S. .s Kuhn); i critici letterari (dalla ~ Nouvelle Critique a Barthes e ai ~ comparatisti) hanno abbandonato ~ da tempo una prassi di lettura ~ troppo succube della psicanalisi E- (soprattutto junghiana) e, in se- ~ guito, della prospettiva fenomeno- ~ logica, addensata in un comparati- ~ smo onirico ma poco propensa al- ~ l'adozione di un qualche metodo ~ critico (cfr. M. Mansuy, «Pour l une étude comparée de la réverie», ~ nella Revue de Litt. Comp., cit., p. 146). Una scrittura interrotta, che non ha trovato lo spazio di una trasmissione disciplinare. C. Ramnoux ( « Bachelard à sa table d'écriture», nella Revue Int. de Phil.) avrà ottimi motivi per ricordare che la vita e la formazione di Bachelard, segnate anche drammaticamente dalle rotture, condussero a un'arte della scrittura indistinta dalla consuetudine di una lettura sperimentale: «Leggere e scrivere diventano allora il mezzo non di produrre un testo in più ma di ri-afferrare dal vivo l'emergenza del testo, nel momento privilegiato della giusta metafora» (p. 229). La centralità, senza dubbio etica, della scrittura è forse il punctum differenziale di una ricerca non orientata da partizioni disciplinari. «La lettura, il libro, la scrittura, il tavolo, e anche la stilografica, questo è l'ambito di Bachelard - ci dice Dagognet, nel saggio citato -, il suo Laboratorio sensibile, da un capo all'altro, che sia epistemologo o critico letterario, fisico, sperimentatore, scritturista» (p. 249). E nel suo ben noto profilo della maturazione teoretica del pensatore champenois (pubblicato già nel 1974 su Nuova Corrente e ora ristampato nella Revue Int. de Phil.) G.-G. Granger tiene a sottolineare il rilievo del momento discorsivo, l'asintoticità di uno stile che attraversa tendenzialmente l'inequivocabile bipolarità della produzione bachelardiana. Uno stile che emerge come risultato purificato di una «sorveglianza intellettuale di sé» maturata nell'esercizio, anche ascetico (cfr. l'elaborazione della ritmanalisi presente in quel libro decisivo PGT la comprensione della «filosofia temporale» di Bachelard che è La dialectique de la durée, 1936), dell'ortopsichismo. Su tale pratica di sublimazione intellettuale (peraltro già stigmatizzata da M. Serres nel saggio «La réforme et /es sept péchés», ora in Hermès Il. L'interférence, Paris, Éd. de Minuit, 1972) si sofferma J.-T. Desanti, che ne valorizza l'esito epistemologico nella dinamica dell'affinamento dell'attenzione alle variazioni, il precipitato pedagogico sintetizzabile nella figura dell 'apprendre à découvrir, e la rilevanza filosofica viva in un super-io intellettuale attivo che rende efficace il rationalisme appliqué ( cfr. «Gaston Bachelard ou 'la surveillance intellectuelle de soi' », nella Revue Int. de Phil. ). U na valorizzazione, questa, schiettamente razionalista, che motiva anche il breve saggio di G. Canguilhem, «Gaston Bachelard, psychanalyste dans la cité scientifique?»_, posto in apertura del fascicolo monografico de Il Protagora. Canguilhem mette a fuoco la distanza di Bachelard dall'ortodossia freudiana e il contagio del surrealismo, ma tiene a sottolineare come la psicanalisi della co.,. noscenza oggettiva rimanga ancora - pur nella sua componente ascetica - una spia che segnala le minacce tuttora diffuse nei confronti dei membri della «città scientifica». Tuttavia il ·fascicolo de Il Protagora si segnala soprattutto per la presenza di sondaggi circostanziati su aspetti significativi della produzione epistemologica bachelardiana, oltre che di contestualizzazioni dell'opera all'interno di altre prospettive teoriche e di testimonianze dirette. Viene così soddisfatta l'esigenza di un bilancio, parziale, sull'attenzione di studiosi, in larga parte italiani, all'attualità dell'epistemologo di Bar-sur-Aube. Nello spazio di una recensione sono costretto a sorvolare su ricerche valide, ma - per questa sede - troppo circoscritte, quali quelle di Castellana sull'epistemologia dello spazio e del tempo (che ricorderò più avanti, nell'ambito del suo libro), di F. Nuzzaci sul concetto di ostacolo in Bachelard e in Cl. Bernard, di M. Quaranta sulla classificazione delle scienze in Bachelard e in Comte, di L. Valdré, che si impegna in una lettura parallela (già intrapresa, in Italia, da G. Sertoli, M. Pera, F. Lo Piparo, L. Geymonat e P. Redondi) di Popper e Bachelard, di C. Vinti sulle tematiche della soggettività; come pure non mi è possibile esaminare le interessanti interpretazioni linguistico-semantiche di C. Caputo e di R. Galassi e la lettura pedagogica ,r di A. Piromallo Gambardella. Le stesse testimonianze, peraltro preziose, di G. Gohau, che fornisce utili tasselli per la ricostruzione del rapporto con il marxismo e con l'Unione Rationaliste, e di V. Tonini, fisico dal notevole senso storico ed epistemologico, non possono essere oggetto dell'attenzione dovuta. Mi limiterò quindi ad accennare ai saggi di M. Loi ( « Bachelard et /es mathématiques») e di R. Cavaillès ( « Vépistémologie de Gaston Bachelard et la 'révolution cybernétique' »), che ·'permettono di cogliere lo spessore di un'epistemologia che resiste a forme di sapere più aderenti all'attuale disincanto. Loi ritorna su un luogo ricorrente negli interpreti: la pervasività della riflessione matematica in Bachelard che - da l'Essai sur la connaissance approchée (1927) a Le rationalisme appliqué (1949) - genera un universo semantico orientato verso i concetti di mobilità, approssimazione, ret- 1 tificazione, intuizione discorsiva, i catarsi intellettuale. Nelle matematiche, sempre disgiunte da as~ sfomatizzazioni e formalismi, Bachelard ritrovava l'immagine di quel rigore che solo può condurre a soggiogare razionalmente le dinamiche complesse dei fenomeni, di quella difficoltà che segna irreversibilmente le scienze contemporanee; «bisogna diffidare delle semplificazioni e spesso dialettizzare la semplicità. Il superamento di una difficoltà e la gioia di comprendere ripagano da tutte le pene» (p. 57). Il nocciolo dell'inattualità epistemologica di Bachelard risiede per l'appunto in questo ideale di difficile, ascetica razionalizzazione. Ce lo dimostra, come in una cartina di tornasole, Cavaillès. La «rivoluzione cibernetica», che trova nell'ordine tramite fluttuazioni di I. Prigogine e nella complessità tramite rumore di H. Atlan due fortunate sintesi, rivela l'affermazione di un paradigma non bachelardiano, scardina la meccanica di un impegno precipuamente razionalista, di un «kantismo aperto» che non può prescindere dalla presenza attiva, costruttiva, del soggetto conoscente. Nonostante Cavaillès insista nella riaffermazione di un'attualità sorretta, oltre che dalla presenza - se pure tutta da scoprire - dei temi del nuovo paradigma, dalla capacità di resistenza del razionalismo bachelardiano dinanzi agli slittamenti, sospetti di irrazionalismo, della nuova «epistemologia della complessità», traspare evidente il senso, paradossale, di impotenza di una ricerca che aveva fatto dell'esaltazione delle rivoluzioni scientifiche ·contemporanee il suo punto di forza e che si trova ad essere interpretata, di fronte a mutamenti scientifici parimenti decisivi, come un fattore di resistçnza, come un ostacolo epistemologico. Non è soltanto la sordità degli epistemologi di lingua inglese, allora, a motivare un silenzio comunque ingiusto: il confronto e la verifica vanno posti sul piano delle svolte epocali delle forme di sapere, sul terreno del rapporto tra scienze, epistemologia e filosofie che ha subìto - dagli ultimi decenni dell'800 ad oggi - mutamenti profondi.

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