Alfabeta - anno VII - n. 79 - dicembre 1985

Politica~:Menzogna Hannah Arendt Politicae menzogna a cura di P. Flores d'Arcais Milano, Sugarco, 1985 pp. 285, lire 25.000 I tre scritti che pubblichiamo qui di seguito sono, ad eccezione del primo, rielaborazioni delle rela- . zioni presentate dagli autori al seminario di studi «Il pensiero politico di 'Hannah Arendt» organizzato a Napoli il 26-27 settembre 1985 dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Fondazione Gramsci. Gli atti saranno pubbli 7 cati dall'editore Bibliopolfy per cura di Roberto Esposito. • I Forse anche più importan, te dei testi raccolti, in par- • te già noti agli specialisti (il pamphlet sulla vi9lenza era già uscito presso Mondadori nel '71, mentre quello sulla disobbedienza civile è stato appena presentato da Giuffrè a cura di T. Serra) è l'ampio contribute> interpretativo di P~olo Flores d'Arcais che introdu-' cé, e illumina, l'intera raccolta di saggi di Hannah Arendt pubblicata da Sugarco con il titolo di Poli-. tica e menzogna. Il punto da cui muove, e inte>rnoa cui ruota, tutto il·saggiodi Flores è la contrapposizione esistenziale tra politica e natura: «Solo nella sfera politica l'uomo attinge la propria 'natura', si sottrae e contrappone cioè alla natura» (p. 7). La politica è appunto la sporgenza che st;rappa la • natura artificiale dell'uonio •alla natura naturale di ciò che non è umano: vale a dire la differenza tra i singoli uomini. .•Ciò non vuol dire che alla politi, ca non sia essenziale una dimensione collettiva, plurale; ina tale pluralità resta politiq solo a condizione di salvaguardare, e anzi esaltare, la differenza specifica tra gli individJi che la compon·gono. Da questa dopP,ìacpntrapposizione - politica/natura, individuali- . tà/organicità - la Arendt trae le più rilevanti conseguenze sia sul piano concettualé sia sul_piano filosofico-politico. E cioè da un lato la ben nota tripartiiione della vita activa in lavoro, fabbricazione e azione: dove al primo corrisponde l'esigenza di riproduzione e sviluppo del corpo umano, alla seconda l'ambito di costruzione degli artefatti, e alla terza l'attività propriame~te politica secondo là caratterizzazione suindicata. Dall'altro una posizione di assoluta originalità nei confronti sia del marxismo sia del liberalismo. Entrambi, si potrebbe dire, schematizzando la éomplessa argomentazione della Arendt, ricostruìta in dettaglio da Flores, pervengono, sia pure da lati opposti, ad un destino di progressiva spoliticizzazione, e dunque, tenendo ferma la bipolarità iniziale, di progressiva rinaturalizzazione del rapporto umano. °' Il primo, cioè il marxismo, at- ";; traverso il progetto (e la previsio- .5 ne) di riassorbimento de) «cielo» ~ della politica nella concretezza ~ della società civile. Il secondo, il ~ liberalismo, attraverso il privile- ~ giamento dell'homo oeconomicus É rispetto a tutte le altre modalità di -~ esistenza. Il risultato, in entrambi ~ i casi, è una progressiva riduzione R: della politica in quanto sfera della i:! differenza, annegata, dal marxi- ~ smo, nell'organicità della futura Ì società civile liberata dal conflitto, ~ e dal liberalismo nell'astrazione di un modello umano identificato a se stesso dalla ripetizione del circuito naturale bisogno-soddisfazione-bisogno. Che questo sia l'esito delle più influenti culture politiche ottocentesche è, d'altra parte, ·provato dallo stato patologico in cui,'secondo la Arendt (ma è un parere largamente condivisibile), versano sia i regimi totalitari dell'Est sia quelli a democrazia rappresentativa dell'Ovest. Professionalizzazione della politica, monopolio dei partiti, impoverimento della sfera pubblica costituiscono i sintomi di un processo, già in larga parte previsto dalla grande sociologia politica primonovecentesca, ormai avviato a pieno compimento. 2 Ma se questo, nelle grandi linee, è il quadro criti- • camente profilato dalla Arendt, quali sono, e che credibilità hanno, i rimedi, o i possibili corret,tivi, da lei implicitamente affacciati? Si conoscono i suoi riferimenti positivi, in buona parte Flores è che «inapplicabile strictu senso, l'indicazione va però accolta sotto il profilo metodologico» (p. 44). Ciò significa - e qui mi pare si possa ampiamente concordare con Flores - che il discorso della Arendt va assunto nella radicalità della sua dimensione critica, in quanto sensibilissimasonda sulla patologi<\della politica moderna e contemporanea: come indicazione, in ultima analisi, su ciò che essa non può più essere. In questo senso quella della Arendt è ricerca sull'origine della politica come investigazione dei suoi presupposti impensati, e non filosofia politica in senso propositivo-costruttivo. In fon<;loalla sua ipotesi interpretativa ·c'è anzi la consapevolezza dell'improponibilità della filosofia politica come fondazione della politica da parte della filosofia. Il mondo è ancora pieno delle ferite lasciate dai grandi progetti politici modellati sulle necessità di determinate filosofie per potere insistere ancora su questa strada. .È questo il vero motivo per il quacoincidenti con i momenti di auto- le non ha senso accusare la Arendt gestione collettiva nati, e subito di utopia: non il fatto che i suoi soff9cati, con i grandi scoppi rivo- referenti positivi - la polis greca, luzionari degli ultimi due secoli, innanzitutto, con tutti i suoi caratdalla Comune francese ai consigli teri di pluralità, di partecipazione, ungheresi del '56. Ma possono, di dialogo - non siano di per sé questi eventi, nella loro fragilità utopici se trasposti nella realtà strutturale, costituire referenti po- contemporanea; quanto il fatto sitivi per una possibile ripoliticiz- che la Arendt non pensa neanche zazione del mondo contempora- lontanamente a una trasposizione neo? ~ del genere, ad una rifondazione Qui mi pare che la risposta di filosofica del politico su quel moFlores tenda a divergere legger- dello. È in questo senso, più radimente dal_lamia. Intanto, giusta- cale, mi pare, di quanto non intenmente, Flores comincia col sottoli- da Flores, che il suo discorso è neare i molti elementi di contrad- inattuale. E dunque, perché fordizione interna presenti nell'opera zarlo ad una coincidenza con ipodella Arendt: a partire dalla di- tesi politiche, magari di per sé stinzione, quanto mai problemati- condivisibili, ma che linguisticaca, tra oggetti d'uso e oggetti di mente non gli appartengono, coconsumo sottesa alla distinzione me ad esempio la prospettiva rilavoro/fabbricazione, alla caratte- formista della migliore tradizione rizzazione naturale di bisogni fin socialista? Perché ridurlo - e in un dall'inizio carichi di una dimensio- certo senso indebolirlo - dentro la ne culturale, fino al presupposto semantica un po' stantia delle pur di fondo di una rigorosa delimita- rispettabilissime «regole del giozione della sfera politica rispetto a co»? Credo che nessun'espressioqliella economico-sociale. Come ne avrebbe più di questa suscitato tenere drasticamente separati am- l'antipatia istintiva della Arendt, biti di vita irresolubilmente intrec- sempre tesa a cogliere la dimenciati e sovrapposti? La risposta di sione eventuale, eccezionale, straordinaria ( cioè anti-nomica) del politico; abituata a individuare già nel momento immediatamente successivo all'incipit rivoluzionario i primi segni di un'inarrestabile decadenza. La rivoluzione produce politica fin quando resta sregolata, fin quando assume, e protegge, la sola regola del continuo mutamento delle proprie regole. 3 Qui, evidentemente, la preannunciata divergenza e dal saggio di Flores, che non ne mette tuttavia in discussione le fondamentali acquisizioni.· Ad esse - ma un saggio non può certo contenere i desiderata di tutti i suoi lettori - personalmente avrei aggiunto due specifici punti che danno poi ragione della differenza di veduta. Il primo riguarda una più approfondita scansione interna dell'opera della Arendt, distesa, come è noto, su una cronologia assai ampia. Lo dico non per amore di pura filologia: ma per il motivo specifico che essa, aldilà delle tante variazioni tematiche, è attraversata da una fenditura interna, databile alla fine degli anni Sessanta, che nemodifica in modo rilevante alcune categorie costitutive. Non ho qui lo spazio per dilungarmi quanto dovrei su,Il'argomento: ma è certo .che l'an~olo di visuale da cui la Arendt guarda al rapporto tra facoltà attive e facoltà mentali all'epoca del suo ultimo lavoro, The Life of the Mind, muta di alcuni grndi rispetto a quello con cui guardava allo stesso rapporto al tempo di Vita activa. Per dirla in breve, mentre in quest'ultima l'attenzione era tutta concentrata a rovesciare il tradizionale predominio della «vita contemplativa» sulla «vita attiva», e perciò stesso ad esaltare la seconda a scapito de.,!a prima, in The Life of the Mina il problema non è più quello di rivendicare primati, ma quello di marcare la distanza, la necessità della distanza, tra questi due ambiti. Come dire: è vero che tale separazione, funzionalizzata da Platone al predominio della vita contemplativa, è stata fatale alla sorte della politica moderna. Ma è anche vero che, una volta rifiutato tale predominio, ogni ricucitura strumentale della scissione - vale a dire ogni pretesa di rifondazione filosofica della politica, o peggio, di politicizzazione immediata della filosofia - porterebbe a danni assai peggiori di quelli à cui si vorrebbe ovviare. È da questo punto di vista che va intesa la sua recente rivalutazione del ruolo del pensiero come luogo della presa di distanza nei confronti del reale, o anche l'idea, espressa appunto nell'ultima opera, che nelle fasi critiche (come quella che viviamo) la tenuta di tale distanza, il rifiuto di ogni coinvolgimento diretto, ~ l'unico atto politico positivamente possibile. E ancora a tale punto di vista si lega la critica della volontà-deci- •.; sione (leggibile come trasparente polemica nei confronti del decisionismo schmittiano) e la conseguente rivendicazione•della sfera del giudizio individuale come unico riferimento in grado di fondare a posteriori (non filosoficamente, dunque) l'evento politico. Quest'ultimo punto - il ruolo del giudizio - richiama il secondo correttivo interno che proporrei alla lettura di Flores: e cioè la ricerca - certo cauta e problematica quanto mai, vista la delicatezza e là complessità del tema - della matrice culturale ebraica. Un argomento affrontato in termini di formazione biografica dalla Ritter Santini, ma mai esteso alla tessitura concettuale dell'intera opera della Arendt. Lo stesso Flores insiste nelle ultime pagine del saggio sull'opposizione della Arendt a qualsiasi forma di filosofia della storia, sia di tipo idealistico sia di tipo materialistico. In entrambe le versioni la filosofia della storia (e del progresso) è ciò che rende impossibile il giudizio individuale, che lo subordina, annientandolo, alla identità di Significatoe Destino riconoscibile solo alla sua fine perennemente rimandata. È proprio a questa filosofia' - alla sua valenza intrinsecamente totalitaria - che si oppone la dimensione del giudizio individuai~, la capacità di bloccare il corso degli eventi in un punto preciso da cui fermarsi a giudicare il passato; a condannarlo, se il caso, o anche a redimerlo, a recuperarne frammenti dimenticati. A spezzare la successione , omo,genea del tempo - la sua trar: dizicllie - a favore del singolo fatto. Ripeto: questo della radice ebraica è un tema di tale problematicità da richiedere ben altri riscontri. Ma come non sentire risuonare negli ultimi testi della Arendt gli echi delle parole dedicate dà Lévinas alla memoria di Franz Rosenzweig? «(... ) volere essere ebrei ai nostri giorni, significa, prima di credere a Mosé e ai profeti, rivendicare questo diritto a giudicare la storia, vale a dire rivendicare la posizione di una coscienza che si pone incondizionatamente (... ) L'eternità di Israele è dunque la sua indipenf:lenzanei confronti della Storia e1 1Ìasua capacità di riconoscere gli uqmini ad ogni istante pronti per il giudizio, senza attendere che la fine della storia ci liberi il loro senso pretesamente ultimo. E Israele, l'Israele carnale, ingloba tutti coloro che si rifiutano al verdetto puramente autoritario della Storia»

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