Alfabeta - anno VII - n. 78 - novembre 1985

tano affatto la falsa resurrezione del Battista, perché ai loro occhi essa non si distingue a sufficienza da quella dello stesso Gesù: se non c'è ragione di credere alla resurrezione di Giovanni, non ce ne sono di più di credere in quella di Gesù. Per i vangeli la differenza è evidente. Il tipo di resurrezione che abbiamo qui si impone ai persecutori mistificati dalla loro stessa persecuzione. Il Cristo al contrario resuscita liberandoci da tutte queste illusioni e queste superstizioni. La resurrezione pasquale trionfa veramente solo sulle rovine di tutte le religioni fondate sull'assassinio collettivo. È rovina di Satana, cioè dello spirito di accusa sacrificale, inseparabile dallo spirito religioso antico, erede di un altro spirito, il Paracleto, che si fa difensore, letteralmente l'avvocato di tutte queste vittime ingiustamente sacrificate, di tutti i profeti assassinati, a cominciare, o meglio a finire, dallo stesso Giovanni Battista. Questa difesa consiste nel fare ciò che fa il nostro testo nel rivelare l'innocenza della vittima e la sua umanità, smascherando la natura mimetica dell'unanimità sacrificale, l'assenza di ogni causa razionale nella messa a morte collettiva. Per ritrovare nel testo di Marco il desiderio mimetico, la crisi sacrificale e l'assassinio fondatore, bisogna ricondurre tutto al mimetismo, che dissolve tutte le istituzioni e sopprime tutte le differenze. Non si tratta di minimizzare la lotta di potere tra il re e la regina, il complotto di Erodiade, la manipolazione efficace degli aspetti istituzionali e culturali evocati dal nostro testo, a cominciare dalla stessa danza, che in questo caso si riconduce allo stesso mimetismo di tutto il resto e perde ogni specificità. È vero che per raggiungere i suoi scopi Erodiade mette in gioco certe istituzioni. Erode non vuole cederle, ma, come un ragno acquattato nella sua tela, lei attende l'occasione favorevole: «E venne un giorno propizio, quando Erode per l'anniversario della propria nascita offrì un banchetto ai grandi della sua corte ... ». Il compleanno di Erode, la riunione dei notabili, il banchetto, la stessa danza, rappresentano in effetti delle istituzioni che Erodiade riesce a utilizzare contro Giovanni. Dietro questo potere c'è un sapere che lo rende possibile, un sapere sull'efficacia rituale. n giorno propizio, l'anniversario della nascita di Erode, ha un carattere nettamente rituale: è una festa che cade tutti gli anni a una data fissa, in occasione della quale si svolgono attività festive, cioè a loro volta rituali. La comunità si raccoglie intorno a un banchetto, partecipa o assiste a uno spettacolo di danza. Tutte queste attività si ritrovano nei riti propriamente detti, e culminano generalmente nell'immolazione rituale di una vittima. La decollazione di Giovanni occupa nel nostro testo il luogo e il momento del sacrificio. Tutti gli elementi del testo possono essere letti in chiave rituale e sacrificale, ma questa lettura non ha alcun valore esplicativo. Una certa scuola etnologica, fino a poco tempo fa, credeva di chiarire i testi come il nostro e i vangeli nel loro insieme, segnalan- • do le.loro analogie con i riti. In realtà non faceva che ispessire ancora il mistero, perché non aveva nessuna chiarezza sulla natura dei riti e sulla loro ragion d'essere. Nelle scienze umane capita spesso che un dato molto opaco, come il rito, sembri dotato di un valore esplicativo per la sua stessa opacità: non offrendo nessuna presa al ricercatore, si presenta come un blocco compatto, oppone al dubbio una resistenza inattaccabile, e la sua stessa oscurità lo fa prendere per un'idea chiara. Lungi dal perdere gli aspetti rituali e istituzionali del nostro testo, interpretandolo da un capo all'altro secondo il desiderio mimetico, io lavoro con l'unico strumento che possa davvero render conto dei riti e della loro potenza, che Erodiade mette al servizio delle proprie intenzioni criminali. Tra il rito e gli stadi supremi della crisi mimetica, risolta spontaneamente dal meccanismo sacrificale, nel nostro testo non c'è una semplice, per quanto stretta, somiglianza, ma c'è combaciamento perfetto, indistinzione pura e semle, della crisi mimetica. Lungi dal frenare o interrompere il gioco mimetico dei desideri l'attività rituale cerca di favorirlo e di accelerarlo, di trascinarlo verso determinate vittime. Ogni volta che si sentono minacciati di discordia mimetica reale, i fedeli vi si impegnano volontariamente: mimano i loro conflitti ed impiegano ogni sorta di ricetta per favorire la risoluzione sacrificale che li.rimetterà d'accordo a spese della vittima. La nostra lettura ne esce confermata: il rito, e l'arte che ne scaturisce, sono di natura mimetica, agiscono mimeticamente: non hanno specificità essenziali. Sarebbe come dire che sono esattaquesto che nell'evoluzione diacronica dei riti i disordini che precedono e condizionano l'immolazione sacrificale tendono a attenuarsi sempre di più mentre l'aspetto festivo e conviviale prende sempre maggior importanza. Ma le istituzioni rituali, anche le più diluite, le più edulcorate, restano propizie all'immolazione sacrificale. Una folla oberata di cibo, di bevande e di spettacoli eccitanti aspira a qualcosa di straordinario, e per una folla lo straordinario è sempre l'uccisione di una vittima. Erodiade possiede un sapere sufficiente sul rito per risvegliarne la potenza e indirizzarla a favore del suo disegno omicida. Essa inverte e perverte la funzione ER\C~N\ ~\\J\ R1\C\ oEt.\..E C\..~ GRUPPO EDITORIALE FABBRI, BOMPIANI, SONZOGNO, ETAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... ·.·.· • ·.·.·.·.. ·.· ·.·.·.··.·.··.··.·.·.· .................................. . plice. O _iltesto si sbaglia o il rito in quanto tale fa tutt'uno con gli stadi supremi del desiderio mimetico, meccanismo sacrificale compres·o. E perché sia così bisogna definire il rito come ripetizione mimetica di una crisi originaria. Se la dimensione rituale si iscrive senza rotture nella storia del desiderio che racconta il nostro testo è perché non comporta niente di originale: è essa stessa mimesis, imitazione, ripetizione scrupolosa di questa crisi: tutto ciò che abbiamo, lo suggerisce. Il rito non porta nessuna soluzione propria, non fa che riprodurre, imitare la soluzione che interviene spontaneamente. Dunque non c'è differenza strutturale tra il rito propriamente detto e il corso spontaneo, naturamente la stessa cosa della crisi spontanea o della manovra complicata di Erodiade, che ci riporta in fin dei conti alla crisi reale e all'assassinio collettivo originario? Assolutamente no. I veri riti differiscono dal vero disordine in virtù dell'unanimità che si è formata in extremis contro la vittima e che si perpetua sotto l'egida di questa vittima miticamente resuscitata e sacralizzata, come suggerisce il preambolo del nostro testo. Il rito è la ripresa mimetica delle crisi mimetiche in uno spirito di collaborazione religiosa e sociale, cioè nel progetto di riattivare il meccanismo sacrificale a vantaggio della società tutta intera, più ancora che a detrimento della vittima finalmente immolata. È per rituale perché le interessa solo la morte della vittima, e non la riconciliazione della comunità. I simboli dell'autentica funzione rituale rimangono presenti nel nostro testo, come ho appena mostrato, ma sotto forma di pure vestigia. E rodiade mobilizza le forze del rito e le incanala scientemente contro la vittima del suo odio. Pervertendo il rito, essa restituisce la mimesis alla sua virulenza primaria, riconduce il sacrificio alle sue origini omicide: essa svela lo scandalo che sta al cuore di ogni fondamento religioso sacrificale. Erodiade non è importante in sé. È solo uno strumento della rivelazione evangelica di cui fa riemergere il carattere paradossale utilizzando il rito contro la rivelazione dello stesso desiderio mimetico. È l'opposizione di Giovanni al suo matrimonio con Erode, come si ricorderà - non ti è permesso avere la donna di tuo fratello - che erge Erodiade •contro il profeta. Ma la mistificazione sacrificale e rituale nel suo principio stesso non è mai altro che un occultamento del desiderio mimetico, che esige di essere occultato per fare degli uomini i propri balocchi. Personaggi come il grande sacerdote Caifa, o più ancora Erodiade, costituiscono insomma una sorta di allegorie viventi del rito, costretto a pervertirsi e a diventare più persecutorio che mai sotto l'effetto di una rivelazione che lo stana dai suoi nascondigli sacrificali. Se i riti si radicano tutti in crisi di rivalità mimetiche finalmente risolte dal meccanismo sacrificale, mimetico a sua volta, lo stesso vale per la danza. Penso che si debba cercare l'origine comune di tutte le arti nei riti ancora poco differenziati di cui ci offre esempi la letteratura etnologica. Il combattimento corpo a corpo, le gesticolazioni, le suppliche, le vociferazioni, le imprecazioni tendono a poco a poco a ritmarsi, a ordinarsi e letteralmente a contrarsi sulla vittima sàcrificale. È la convergenza sulla vittima che· fa del disordine una potenzialità d'ordine. Perché la danza appaia in senso proprio bisogna che gli aspetti corporei e gestuali di questa imitazione siano distinti dagli altri aspetti che definiscono ad esempio il dramma, il poema o il canto. Ma tutte le arti tradizionali restano iscritte in uno spazio determinato a causa della loro fondazione sacrificale: sono preparazioni al sacrificio. Se esse dapprima sposano il disordine delle coincidenze mimetiche, in fin dei conti è sempre per far convergere i desideri su una vittima le cui prove e la cui morte riflettono un ordine cui gli uomini devono sottomettersi perché è decretato dagli dei. L'arte primitiva è orientata verso il sacrificio, cioè verso l'assassinio sacralizzato, insomma verso tutt'altro che la meditazione stoica sulla morte e sulle altre belle cose di cui ci caricano i filosofi. È questo orientamento •che il nostro testo denuncia con forza incupendo l'arte della danza, o meglio restituendole la virulenza di cui la privano da secoli tutte le nostre pietose menzogne estetiche e teoriche, queste varianti intellettuali della menzogna sacrificale. Per il fatto stesso che il nostro testo fa tutt'uno con i giochi del desiderio, nel loro cammino verso lo scioglimento sacrificale, esso fa tutt'uno con la danza: anche prima del banchetto c'è qualcosa di danzante, che ripercorre tutti gli effetti mimetici, va, viene e ritorna da un personaggio all'altro, assomiglia sempre a una specie di balletto, ddve ogni ballerino occupa di volta in volta il primo piano della scena per poi raggiungere gli altri e fare la sua parte nell'apoteosi finale. Dato che le arti della parola, e in particolare la tragedia, già presso i greci e poi certamente nei moderni si rivoltano contro la loro • funzione sacrificale sotto l'influenza biblica ed evangelica, qualcosa di analogo deve prodursi per la danza: devono esistere forme di danza che si ribellano contro la loro propria essenza sacrificale. Ma a dire il vero non ne so nulla, perché posso parlare solo delle arti del linguaggio, posso parlare solo a partire da parole precedenti, mimeticamente. Sono i ballerini che devono uscire dal cerchio della loro arte per dirci cosa ne sia. (Traduzione di Isabella Pezzini)

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