Alfabeta - anno VII - n. 78 - novembre 1985

tà santa. È il luogo della nostra nascita, si chiama Alba la bianca. Per essere degni di pensare, per saper calcolare, per comporre musica o preghiera o poema, per essere investiti di linguaggio, per essere degni di danzare, bisogna aver fatto il proprio pellegrinaggio verso Alba la Bianca. Quando Zola risale, nel Reve, a un libro tutto bianco, in cui si perdono i nomi propri, in cui si cancellano le tracce dei corpi, dove sono cancellati i segni degli errori sotto il cotone immacolato, sotto l'unguento dell'estrema unzione, quando Melville, per tutti i mari, rincorre a morte la balena bianca, bianca di terrore, bianca d'estasi, quando il baleniere muore per incontrarla, quando Musil costruisce uno spazio e un essere senza qualità, quando io evoco il ballo d'Alba, siamo tutti alla ricerca di ciò che Platone chiama la chora, spazio liscio e bianco di prima del segno: è il corpo del danzatore ed è la pagina bianca, vergine cera, in cui il coreografo scrive. Non scrivemai altro che una variante di questo ballo d'Alba. Corpo insegnante Ora non sono altro che la mano che evoca. Sono colui che nel ballerino riconosce suo fratello, il suo simile, me stesso. Egli si è rotto a non essere più niente per far vedere tutto il possibile, tutto il possibile temporale tramite il ritmo, tutto il possibile assente e presente nello spazio. Così il pensatore non è più nessuno per non essere più che un'attenzione ad ogni novità, per non essere che un'attenzione e un'attesa ad ogni venuta. Chi pensa è nudo e chi danza non è nessuno. Tutti e due un po' al di qua del senso, tutti e due un po' al di qua del linguaggio, nelle vicinanze del rumore e della musica. Io testimonio che c'è un rumore del pensiero. Chi pensa non porta mai l'attenzione su se stesso, chi danza non attira gli sguardi su di sé. Essi evocano. Forse suppliscono. Allo stesso modo, chi insegna non riconduce a sé i pensieri che ascoltano. Che cosa sarebbe il corpo che insegna se si facesse vedere? Non sarebbe che esibizione, presentazione stupida e sciocca di singolarità così comuni. Il corpo insegnante, come il corpo danzante e il soggetto pensante, evoca sempre, invoca sempre, chiama un altro centro, diverso da lui. Così nudo, così bianco, così vuoto, così assente che fa venire una presenza. Vestito di probità candida e di una blusa bianca. Vestito di una lievità, o di un'alba bianca. Se, alla fine della danza o della conferenza, se alla fine di un pensiero attento e fervente, una persona prima assente adesso - Natale! - non è sopravvenuta, in ispecie, qui la filosofia, in ispecie là dio o la stessa bellezza, e ad ogni modo, forse noi, se questo fantasma vero non ha solcato la porta del teatro o dell'anfiteatro, allora il corpo danzante o il corpo insegnante hanno fallito nel loro esercizio di segno. Cosa credete che faccia il matematico con il suo gesso bianco sulla lavagna nera? Fa discendere una presenza assente. Fa vedere, fa esistere delle idealità senza esistenza. Alla lettera, ci fa credere loro. È per questo che la sua scienza porta il nome di insegnamento. Qui il corpo si cancella per evocare un altro corpo, qui il corpo si annienta e diventa un mucchietto di cenere perché si levi l'esistenza di altri corpi. La legione immensa di angeli dell'assenza. Sì, il ballerino è un arcangelo. Comanda agli angeli, inizia la loro epifania. Magia C'è magia anche là. Sì, lo confesso, magia. Rassicuratevi, è solo magia bianca. I maghi danzano, i maghi significano, i maghi calcolano, insegnano. Puttane, politici, pensatori. Il ballerino, nel corpo di ballo di Alba, ne è peraltro il solo eroe. Ci voleva un calcolatore, e il calcolatore è entrato nella danza. Ci voleva un finanziere, ci voleva un re, ci voleva un musicista, e tutti hanno fatto la loro entrata, ho persino creduto per un momento che la musica qui fosse prima o ultima. Sì, quando il ballerino danza da solo, danza ancora e sempre con lei. È ineliminabile, in questo duetto, apparente assolo? Il ballerino è l'unico eroe, resta quando gli altri se ne sono andati, quando la musica si ritira dallo spazio. È il solo eroe, perché è senza soccorso. Il suo corpo è senza soccorso, il suo gesto e il segno che egli tenta non sono soccorritori. La danza è senza ricorso. È sola, ed è prima. Gli altri corpi hanno tutti delle protesi, anche nello spazio bianco. Questo si copre di crema, quello si copre di denaro, questo si copre di lingua, quello si copre di senso, hanno tutti un oggetto, hanno tutti un punto d'appoggio, una canna, un bastone, voglio dire una memoria, voglio dire un'immagine, una specie di facoltà, un bastoncino di gesso, un quadro un foglio uno stock. Almeno, della scrittura. Cioè simbolo, pagina scritta. Il corpo che danza è nudo, nudo veramente e senza barare, niente nelle mani e niente tasche, la colomba. Il ballerino è il più nudo degli uomini e il più bianco dei ballerini di Alba. È totalmente asti-atto, senza esistenza e senza aiuto. Il suo corpo, sempre, grida aiuto. La danza è una richiesta di sostegno mai marcata. . Gli altri hanno dell'oro, hanno una lingua, hanno un suono, hanno, all'esterno del corpo, qualcosa, per quanto tenue o addirittura immateriale che sia, cui appoggiare il proprio corpo. Hanno una memoria scritta in un luogo dato. Il danzatore non ha niente, non è niente. È primo, è ultimo. Stella Sul quadro controverso del vecchio pazzo di genio, Balzac ci fa vedere la traccia di un piede. Marca sul quadro, non è di danza, perché la danza non ha memoJia, non è impressa da nessuna parte. La danzatrice viene avanti. Non ha piede. Non imprime tracce nello spazio. Non è niente, nemmeno un ricordo abbandonato. Alza il piede, eccola sulle punte, Leggiera, assente, inesistente. Non lascia niente sulla pagina della mia scrittura. La punta è uno stile bianco. Chi non è niente, chi non ha niente, passa e cede il passo. Davanti a una forza, davanti a ogni forza, davanti a qualche cosa, davanti a ogni decisione, davanti a ogni determinazione, la danzatrice, la danza cedono il passo. Il passo è cedere il passo. Così nasce il movimento, così nasce la grazia. La grazia non è nulla, non è altro che cedere il passo. Non toccare il suolo con la propria forza, non lasciare tracce della propria pesantezza, non segnare nulla, non lasciare niente, cedere, lasciare il passo. La danzatrice cede il passo. La danza lascia il posto, cede il posto a ogni altro. La danza è Alba stessa, è la sua piazza bianca. Danzare non è altro che cedere il passo e il posto. Lasciare infine la pagina bianca. (Traduzione di Isabella Pezzini) Ladanzacomesemiurgia Q Qando Michel Serres mi ha chiesto di partecipare a questo conyegno sulla danza, la proposta sulle prime mi ha sconcertato ... Poi, grazie alla riflessione, se non alla pratica, mi sono reso conto che comprendere la danza esigeva di risalire alla stessa origine di ogni teoria della significazione, che si poteva trovare nella danza la genesi - in statu nascendi - delle strutture più fondamentali del segno, forse anche, come si vedrà alla fine, fondare su di essa un'estetica. Di fatto questa riflessione non mi ha assolutamente fatto deviare dalla linea di pensiero che avevo sviluppato circa due anni fa e che avevo abbozzato nel mio articolo «Lo spazio e i segni» (Semiotica 29, 3/4, 1980, pp. 193-208,Mouton). Allo scopo di rendere questo testo indipendente da ogni riferimento, mi permetto di ripetere qui alcuni dei concetti fondamentali che allora ho avanzato. Che cosa fa sì che una forma colpisca lo spirito? Una forma sensoriale può avere un impatto sull'organismo per due tipi di ragioni: 1) Per una ragione puramente fisica, cioè per il carattere non codificato, discontinuo, dello stimolo sensoriale: un flash luminoso, uno squillo di campanello hanno sulle nostre attività neurofisiologiche ripercussioni immediate che si possono d'altronde commisurare alle perturbazioni che provocano nell'Eeg. In conformità all'uso sempre più diffuso dei fisiologi, chiamerò salienza ( equivalente italiano del francese sai/lance, a sua volta coniato sull'inglese saliency) il carattere abrupto di questo stimolo. Benché queste forme salienti si iscrivano nella memoria a breve termine, di per se stesse hanno ben poco effetto sul comportamento a lungo termine del soggetto. 2) All'opposto delle forme salienti, certe forme hanno una significazione biologica importante per il soggetto: per esempio, negli animali, le forme delle prede, dei predatori, dei partner sessuali ecc. Queste forme suscitano reazioni immediate e di lunga durata: reazioni motrici di attrazione o di repulsione (di evitamento), legate a modificazioni spesso profonde e durevoli dello stato ormonale e affettivo del soggetto (per esempio la paura, la rabbia, l'aggressività). Chiamo «forme pregnanti» simili forme provviste di senso biologico. La pregnanza evidentemente è legata ai grandi meccanismi regolatori della fisiologia come la predazione o la sessualità. L'esperienza del cane di Pavlov mostra che ogni forma saliente (come uno squillo di campanello) tende a circondarsi di pregnanza per associazione con le forme pregnanti dell'ambiente. La pregnanza si comporta dunque come un fluido erosivo che invade il campo fenomenico delle forme salienti secondo i due modi della contiguità e della similarità. Dopo questi richiami, veniamo alla danza propriamente detta. Ogni teoria semiologica della danza deve prendere in considerazione due livelli di organizzazione morfologica: anzitutto il livello individuale del ballerino, che percepisce certe forme sonore e le trascrive in gesti corporei; poi il livello globale del balletto, del gruppo dei ballerini le cui evoluzioni nel loro· insieme riflettono la forma musicale secondo la quale danzano. L'articolazione tra questi due livelli d'osservazione pone un problema teorico essenziale per una teoria morfologica: e cioè quello dei livelli gerarchici di organizzazione, già noti in linguistica, in biologia e in ogni scienza sperimentale. Ne proporrò qui una spiegazione in termini di «campo generatore», metafora ispirata alla teoria dei campi in fisica. A) La danza a livello individuale. Consideriamo una forma sonora allo stato puro: una semplice cellµla ritmica, come il tic-tac di un orologio. Se questa forma è ripetuta in modo periodico e regolare, l'effetto di salienza della cellula iniziale si sfuma, ma l'attesa, per estrapolazione del ritmo sentito, si esaspera, al punto che uno scarto imprevedibile rispetto al ritmo anteriore produce grossi effetti sull'Eeg (effetto detto P.300). Così il mugnaio addormentato si sveglia quando il suo mulino si ferma. Dal momento in cui una simile cellula sonora è percepita come una Gestalt autonoma, essa ha tendenza a incorporarsi nell'organismo, suscitandovi movimenti sincroni. Si può considerare questa disponibilità dell'organismo rispetto la forma sonora come dovuta a una sorta di pregnanza gestaltica. (Gli incantatori indiani di serpenti ottengono questo effetto anche su uno psichismo a priori assai rudimentale come quello del cobra). Bisogna considerare questa invasione della motricità da parte della forma come una manifestazione del desiderio di appropriarsi della forma tramite una sorta di predazione, predazione evidentemente reversibile e terribilmente ambigua, perché non si sa bene se è il soggetto che «possiede» la forma che realizza o se al contrario la forma domina il soggetto che l'esegue: ambiguità che si ritroverà nel carattere deponente del verbo latino imitari. Si noterà d'altro canto che il ca-· rattere di forma ritmica è legato alla nostra percezione quantitativa del tempo. C'è «Gestalt» solo se può essere trovata una determinata correlazione temporale tra i diversi elementi che compongono la forma. È necessaria - qui come altrove - una geometria soggiacente per definire forme uguali o simili. Non mi stupirei se i movimenti periodici presentati in patologia, per. esempio nei malati del morbo di Parkinson, potessero venire in effetti considerati come fantasmi (sonori) della motricità: il semplice tic ad ogni modo giustifica questa analogia con la sua etimologia: il tic è la metà di un tictac ... Qui d'altronde si pone un problema spinoso, e cioè di sapere - data una forma sonora - quali siano i movimenti che essa suggerirà. Nella danza classica, i movimenti sono repertoriati in figure, in modo peraltro vago e qualitativo, ma non esiste alcuna notazione effettiva della totalità dei movimenti realizzabili. Secondo quanto mi hanno detto alcuni anatomisti, il numero dei gradi di libertà del corpo umano eccede il valore di 200, di modo che una descrizione esaustiva dei movimenti del corpo necessiterebbe di uno spazio di dimensione superiore a 200. Si capisce che i coreografi abbiano perciò rinunciato a una notazione effettiva dei movimenti che si esigono dai ballerini. In tutti i casi sembra proprio che in questo ambito esista una situazione piuttosto simile a quella della linguistica: c'è «l'arbitrarietà del segno», ma in una danza socialmente ritualizzata e codificata l'arbitrario lasciato al ballerino è piuttosto ridotto, limitato com'è, nell'esecuzione di ciascun movimento, da conven·zioni culturali ereditate dal passato. Ma anche in questo caso, un certo «cratilismo» è possibile, nel senso che certi movimenti (in particolare quelli del viso) sono naturalmente legati all'espressione delle emozioni. Esistono anche danze fortemente imitative, come nei rituali di caccia o nei riti agresti così frequenti neqe società primitive. Come dire che in questo caso i gesti sono portatori di una «pregnanza» (per esempio alimentare) che cercano di propagare. Lo stesso vale per le grandi emozioni umane espresse in modo più o meno suggestivo tramite i gesti e le posizioni del corpo. Il fatto che i tèntativi di creare una danza senza musica non abbiano portato a nulla è probabilmente legato all'ipotesi implicita che ogni movimento ritmato del corpo - senza supporto sonoro - ci sembra creato da un «fantasma motore» di carattere patologico. Del resto forse non c'è poi un così

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==