Edizioni Intrapresa via Caposile 2 20137 Milano Sommario Luciano Berlo La danza del cinese Michel Serres Il balletto d'Alba René Thom La danza come semiurgia Maurice Béjart Danzare, come dire vivere Réné Girard La danza di Salomé P arigi 1907. Impressioni di viaggio. Reminiscenze degli spettacoli di balletto all'Opéra e al Théatre du Chatelet: « ... Le danze degli europei sono agitate e si eseguono con rapido moto dei piedi; da noi invece le danze si fanno tanto con i piedi quanto con le mani, il ritmo è lento e l'azione è misurata, senza alcuna precipitazione. Gli europei giudicano il nostro modo di danzare strano e ridicolo... Ma per noi siamesi è anzi detestabile e scandaloso il loro modo di fare: si mettono dei vestiti cortissimi, li alzano con la mano, li aprono, ballano e saltano come scimmie abbracciate. È proprio una vergogna per le donne essere obbligate a danzare così. Qui dicono che non c'è nulla di grossolano in questo spettacolo, ma in Siam ci sembrerebbe del tutto immorale; le donne portano dei coSupplemento ad Alfabeta n. 78 • Novembre 1985 Filosofia delladanza stumi attillati di seta, che sembrano nude». (A. Bausani, Le letterature del Sud Est asiatico, Sansoni/Accademia, Milano 1970, p. 149). A fornire questa deliziosa, fulminante controlettura di uno spettacolo di Balletto classico belle époque (una Giselle o un Lago dei Cigni in teatri di lì a poco destinati all'incontro fatale con i Ballets Russes di Diaghilev), è, in una serie_di lettere a una sua figlia, nientemeno che Rama V Chulalongkorn, Re del Siam dal 1868 al 1910, successore di quel re Rama IV Mongkut approdato - grazie alle memorie della sua baby-sitter - al ruolo di protagonista di The King and I. Da buoni europei liberati, confessiamo di resistere solo a fatica al fascino che si sprigiona dalla augusta prosa thai, e a questa visione altra di una Giselle che·alza le sottane con le mani e abbraccia il suo Principe saltando come una bertuccia. Assaporiamo tutte le squisitezze del Relativo, ossia della Convenzione che si sbriciola davanti agli occhi di chi non la conosce o non la rispetta. En passant, notiamo e indichiamo al lettore paziente i possenti filtri iconografici di Sua Maestà, che approda allo Chatelet passando per certi templi indù gremiti, appunto, di sottane sollevate e scimmie che saltano. Ci arrestiamo però in cinque minuti di circostanziale silenzio davanti alla gigantesca ironia storica della cosa: proprio nel momento in cui l'Europa incominciava a buttare lo sguardo (per il balletto) oltre i propri confini, e iniziava ad apprezzare il «ritmo lento» e «l'azione misurata» delle danze orientali (o del teatro orientale, che è in larga misura la stessa identica cosa), ecco arrivare Rama V e dire che proprio no, non è cosa. Tuttavia, se nelle riflessioni di vario genere condotte sulla danza in questi ultimi decenni è dato trovare un influsso, questo è proba0 bi/mente, anzi certamente, quello delle filosofie orientali o orientaleggianti (platonismo in testa). In ogni coreografo e in ogni esegeta importante (non sono molti) del balletto, l'immagine della Danza di Shiva, attorno a cui crollano gli universi, sembra verosimilmente la più profonda e accreditata, il punto di riferimento cosmologico d'obbligo. Ma, si diceva, gli esegeti importanti di ballettosono pochi, le occasioni per parlarne seriamente ridottissime (come ognun sa leggendo quotidiani e riviste, anche speciaI precedentisupplementi. di Alfabeta: Alfabeta n. 31 (Dicembre 1981) Piccolo lessico dell'erotismo Alfabeta n. 38/39 (Luglio-Agosto 1982) Cacopedia L'insonnia della ragione genera mostri Alfabeta n. 50/51 (Luglio-Agosto 1983) Supplemento letterario. l Alfabeta n. 56 (Gennaio 1984) Supplemento letterario. 2 Alfabeta n. 62/63 (Luglio-Agosto 1984) Supplemento letterario. 3 Il senso della letteratura Alfabeta n. 69 (Febbraio 1985) Supplemento letterario. 4 Le tendenze di ricerca: tutto il dibattito di Palermo '84 Alfabeta n. 72 (Maggio 1985) Giovani per forza Alfabeta n. 74n5 (Luglio-Agosto 1985) Supplemento letterario. 5 li fondoschiena di Venere Alfabeta n. 76 (Settembre 1985) lizzate). Il materiale che qui di seguito viene pubblicato, e che è inedito per l'Italia, riveste perciò un'importanza documentaria e culturale di eccezione: si tratta di cinque contributi (non rivisti dagli autori) scritti per un convegno tenuto in forma privata e mecenatistica nel 1983. In ognuno di loro è indelebile la personalità e il pensiero del/'autore, sia che si tratti di un compositore venuto spesso. a contatto con il balletto come Luciano Berio, sia che si tratti di un coreografo particolarmente filosofico come Béjart, sia infine che si tratti di tre figure ben note ai lettori di Alfabeta come Serres, Girard e Thom. Con il contributo di quest'ultimo, viene alla luce un termine bellissimo - semiurgo - a cui siamo certi spetterà una notevole fortuna d'uso. Carlo Majer Ladanzadelcinese N el 1974 il cineasta italiano Michelangelo Antoniani si recò nella Repubblica popolare cinese con una troupe di tecnici e operatori della televisione italiana e con la facoltà di filmare tutto (o quasi) quello che voleva. Ne tornò con dodici ore di scene di vita cinese - di grande interesse e bellezza ed ammirevolmente filmate - che vennero poi avvilite dalle immancabili «esigenze» di programmazione della televisione italiana e della Abc americana che ridussero le dodici ore a quattro. Antoniani mi aveva chiesto di aiutarlo per alcuni problemi di sonorizzazione e di musica ed ebbi quindi la fortuna di vedere tutto il filmato originale. Una scena mi colpì in modo particolare. Si vedevano degli operai di Canton che prima di andare in fabbrica, appoggiata la bicicletta al muro, si immergevano a occhi chiusi in meditazioni danzate che richiamavano alla memoria, nelle movenze generali, le antiche danze della corte imperiale cinese. Il mio apporto musicale fu, naturalmente, molto limitato: cercai di dare maggiore consistenza a quei fantasmi di dAnza imperiale sincronizzando lievi e sporadici tocchi di gong (che emergevano appena dall'oLuciano Berio .. ceano di campanelli di biciclette che a quell'ora del mattino inondano le città cinesi) ai gesti preziosi degli operai in tuta, appartati in un angolo relativamente tranquillo della strada. Mi rendo conto che la scena potrebbe essere analizzata sotto diversi angoli: quello dell'antropologia culturale, della topologia cinetica, della psicologia sociale e del lavoro, dell'economia, della morfologia e della tipologia della danza, dell'economia, della musica, della religione, della nevrosi ... E non è escluso che qualcuno l'abbia già fatto. Io, invece, che non sono portato a questo tipo d'analisi, sono rimasto ingenuamente affascinato dal fatto che il gesto della danza potesse essere assimilato, sia pure per un momento, al lavoro in fabbrica e che potesse costituirsi una contiguità fra l'organizzazione interiore del tempo e del movimento, da parte di un gruppo di operai cinesi immersi nel singolare vacarme del traffico mattutino di una città cinese all'alba, e l'organizzazione imminente (e immanente) del lavoro in fabbrica. Per un momento quella scena mi apparve come il segnale tangibile di una possibile continuità e armonia fra i diversi comportamenti di un cittadino. La danza, per l'operaio cinese, appariva come qualco- • sa da fare e da vivere e non, come per noi, qualcosa da vedere dà lontano, a teatro, o come una delle tante cose difficili che si vedono fare dagli altri in televisione ma non facciamo noi stessi. Non è peraltro escluso che il nostro operaio cinese non disponga neppure di un vocabolo che gli permetta di isolare il concetto di danza; così come in molte culture, soprattutto in Africa, non esiste il concetto di musica ma solo la nozione del soffiare, di usare la voce in una certa maniera e per un certo scopo, di battere con le mani in una certa maniera certi strumenti o di batte-
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