Alfabeta - anno VII - n. 78 - novembre 1985

Lanuovacor~1gra6iataliana .I.I Concretezza», immedia- '' tezza e una relativa «facilità» di linguaggio di danza e gestuale sembrano essere le caratteristiche di spicco della-nuova coreografia italiana. Si identificano in questa area di ricerca pochi gruppi, coreografi e danzatori, tanto è vero che sarebbe inesatto o comunque prematuro parlare di una corrente di nuova danza italiana o anche solo dell'esplosione di un fenomeno consistente. Eppure, nonostante le difficoltà di crescita quantitativa che non si devono esclusivamente • alle carenze di strutture e di mezzi, questa danza comincia a distinguersi. Si distingue dall'ultima coreografia olandese che proprio in questi ultimi anni ha cercato un indirizzo originale a cavallo tra le nitide geometrie postmoderne di ispirazione americana (come spunto di movimento e di costruzione, per lo più ripetitiva della danza) e le nitidissime geometrie architettoniche olandesi di ieri e di oggi che diventano supporti visivio contenitori o sostegni alla danza stessa. E si distingue dall'ultima danza francese, così vicina geograficamente, eppure così lontana nelle scelte, negli obiettivi (nonostante siano tra loro diversissimi e di tendenze quasi contraddittorie). Per sembrare inconciliabile con la più recente coreografia belga e con quella inglese dove da una parte emergono con forza le influenze neoespressioniste e del teatrodanza di Pina Bausch e dall'altra le mode, i comportamenti di strada entrano a portare scompiglio, a movimentare nello spirito una coreografia (inglese) che vuole mantenere, per contrasto e ironia, una certa misura e costruzio~ ne classica. Le tensioni della nuova danza in Europa sono molte. E nei casi migliori esprimono caratteri «nazionali» anche dove sono più forti le influenze delle due maggiori correnti di pensiero e di elaborazione dei nostri tempi e cioè la new dance americana e i suoi sviluppi e il_ neoespressionismo tedesco. Anzi, una maggiore o minore autonomia rispetto a questi due enormi, imprescindibili punti di riferimento, misurano, in genere, la profondità dell'impegno e la sincerità delle. scelte. Ma esistono anche dei caratteri comuni. C'è una tendenza a filtrare le esperienze americane e tedesche, a congelare il loro insegnamento, a rivalutare i generi della danza (concertante, narrativa, piccola e grande coreografia) e a riflettere sulle sue formule (il passo a due nella storia), quindi a recuperare il passato e la danza accademica. Questa, nel mondo, è un fase di ricerca molto «fredda», di citazioni, di metalinguaggio, di rimescolii interni. Del resto, siamo alla fine di un secolo che ha scompaginato gli orizzonti della coreografia, che ha ridotto il movimento costruito e impostato della danza a movimento spontaneo, che ha affermato la totalità della danza (Cunningham) e via via ha tentato di liberarla da qualsiasi predeterminazione tecnica (il postmoderno) fino a dubitare della sua autonomia e a ricercare delle nuove occasioni emotive, fantastiche, rigeneranti con il supporto della parola, del dramma (il neorealismo, il nuovo espressionismo), della poesia. Il percorso che abbiamo schematizzato è traumatico, inibitorio. Si intuiscono le motivazioni dell'impasse di molti artisti e si percepisce la delicatezza di questo periodo di ritorni, di riflessioni in cui non sembra emergere un tratto veramente impulsivo e forte nel linguaggiodella danza dopo Tina Bausch. Eppure, la complessità dei percorsi, l'intreccio delle tendenze, la sovrapposizione delle tecniche, l'impoverimento di quelle certezze assolute secondo le quali ad esempio solo certi materiali di partenza, certi modelli di azione, potevano essere definiti «di per sé» nuovi (la tecnica Cunningham, ad esempio) possono tramutarsi in grandi conquiste. I coreografi sperimentatori più interessanti oggi sono degli eruditi, hanno una competenza nella danza che supera di gran lunga la conoscenza di una tecnica specifica di movimento, dimostrano un'attenzione ai posizionamenti dell'arte in generale e in questo modo garantiscono interesse, vivacità e energia anche in questa fase di elaborazioni «fredde». Il filtro analitico contribuisce ad allungare, ad esempio, le distanze che separano certi ultimi coreografi francesi (Jean-Claude Gallotta, Régine Chopinot, Daniel Larrieu, Odile Duboc, soprattutto) da quella specie di moto continuo e ormai <<ingenuo»alla Cunningham, ma anche dal linguaggio-verità di Pina Bausch. Molti progetti della nuova danza francesi sono stesi a tavolino e sono come verificati in un secondo tempo in sala-prove. Sono esercizi di stile, oppure elaboratissimi doppi giochi di danza e letteratura della danza come Daphnis et Chloé di Gallotta: un passo a tre che ripercorre in un baleno la tradizione di questo celebre balletto del passato per polverizzarla con una manciata di movimenti bruschi, straniati. Teoricamente queste creazioni avrebbero un corrispettivo italiano quasi diretto nel lavoro analitico di Valeria Magli (le sue riflessioni sul ·tip tap, sul movimento sospeso) se la solista non si fosse dedicata soprattutto all'assemblaggio di collage multimediali. G li ultimi coreografi-ricercatori italiani sono invece per lo più al lavoro per darsi una fisionomia specifica, per rimettere a punto un linguaggio originale in sala-prove. Non partecipano troppo o non ancora alle operazioni di riflessione, al clima «freddo» che è penetrato un po' in ogni paese. Forse per questo c'è molta attesa in Europa per quelli che saranno gli sviluppi futuri della nostra danza. Questa ricerca pe- . rò sconta oggi, soprattutto dal punto di vista culturale, un grande vuoto che corre dalla fine dell'esperienza futurista sino a metà degli anni Settanta. In questo vuoto hanno inciso incastrandosi con diversa importanza e a diversi livelli alcune personalità (idealmente da Bella Hutter a Torino a Elsa Piperno a Roma), e non è del tutto sorprendente che la nascente coreografia sperimentale abbia trovato il coraggio di esprimersi e anche di prodursi attorno all'area del teatro di ricerca. Questo crocevia di incontri creava, crea tuttora, delle occasioni maggiori di inserimento e di riconoscimento che non il settore della danza che in Italia è ancora piuttosto bloccato, mentre dal punto di vista artistico affascinava (affascina?) l'energia, la carica di novità, la turbolenza. Il segno «concreto», l'immediatezza, la riconoscibilità, ma anche la semplicità e talvolta proprio la povertà linguistica dell'ultima coreografia italiana è dunque il frutto di un confronto più serrato con la scena, tra l'altro molto diversificata, del nuovo teatro che non con la scena della danza. Ma si sono manifestati segnali di disagio molto proficui, è indicativo il percorso di alcuni artisti come Enzo Cosimi che oggi dimostra di essersi definitivamente staccato da legami importanti, ma sterili per quanto riguarda tecnicamente il lavoro della danza. Il percorso di Enzo Cosimi incomincia con Calore (1981) e termina, per ora, con Vicinissimi alle tracce (Capitolo 1), un duetto che rinnova la sua collaborazione con l'americano Tere O'Connor. • Calore è una pièce fatta anche con non danzatori: era una bella miccia esplosa al momento giusto, che non amalgamava, semplicemente giustapponeva movimenti di danza, movimenti di gioco infantile e statiche apparizioni teatrali; Vicinissimi alle tracce è invece una creazione che rivela senza equivoci quanto la coreografia di Cosimi si sia arricchita. Come sia diventata un tessuto finalmente autonomo, capace di inglobare il senso della costruzione, il peso della struttura e la levità del racconto, espresso soprattutto per quanto riguarda Cosimi-danzatore con quella carica forte, attorale, molto italiana che era sin dalPinizio la caratteristica di questo artista, ma che solo adesso sembra aver trovato un giusto equilibrio. Si nota ahcora in Vicinissimi alle tracce che la «drammaturgia» danzata finalmente si elabora per valori e poli che non sono più meramente rappresentativi (come le figurine ingenùamente esposte di Calore), ma simbolici: il duetto è un dialoga tra forze, l'una attiva e creativa, l'altra passiva e ripetitiva. Dentro lo spettatore può trovare e completare infiniti racconti, mentre Cosimi ora deve soprattutto lavorare di bisturi e asciugare sempre di più i suoi discorsi danzati: il rischio, qualche volta, è la ridondanza. 11 percorso del gruppo Sosta Palmizi, molto premiato con lo spettacolo Il Cortile, è apparentemente quasi agli antipodi rispetto a quello di Cosimi. Cresciuti alla scuola di Carolyn Carlson - che non è affatto una scuola di grande ricchezza di materiali, ma trasmette soprattutto certi concetti fondamentali di Alwin Nikolais tipo la disarticolazione totale del corpo, molto trasformati e pesonalizzati dall'autrice, questi danzatori hanno soprattutto assimilato la libertà di approccio al movimento e di improvvisazione nella danza che sono senza dubbio i meriti principali della loro formazione. In più ognuno si è ritagliato delle esperienze personali di lavoro con altri gruppi e sta cercando di metterle a fuoco. Lo si vede nel terrigno Cortile, una suggestiva coreografia collettiva che si regge proprio sulla frammentarietà e sul raccordo ben calibrato di tessere molte diverse. Il Cortile ha un ritmo teatrale e tanti piccoli contenuti di danza: non si può ancora sapere se gli autori approfondiranno questa cifra stilistica o se tenteranno la strada di una più stretta omogeneità. Personalmente non crediamo molto alle aspirazioni italiane al teatro-danza: non ci sono solidi riferimenti storici come in Germania. Ci pare semmai che al di là delle reali suggestioniche il teatro è in grado di offrire e ha già offerto (in termini soprattutto di drammaturgia e di regia), teatro danza sia soprattutto, ed è qui il suo grande valore, una fase di lavoro, un cantiere di sperimentazione dove vengono messe in campo esperienze che saranno inevitabilmente approfondite e smistate. Così il Gruppo (teatrale) Imprevisto di Modena mette già in scena Le serve da Genet con molte, apprezzabili intuizioni di danza, e Gustavo Frigerio passa da assoli di danza al teatro (un Woyzeck che ricorda vagamente il segno di Pier'alli: un regista che non a caso ha sempre elaborato una sua precisa filosofia di movimento, qualche volta di danza). Così si affrontano dei testi (VirginiaWoolf per Silvana Barbarini e Ian Sutton), si inseguono tracce poetiche (gli assolo di Marianna Troise) e l'espressività immediata, teatrale, quella carica di gestualità un po' alla Commedia dell'Arte, inequivocabilmente italiana, penetra nel tessuto della danza (Cosimi, ma anche Michele Abbondanza). Le fluttuazioni e le ambiguità sono importanti: ma da un punto di vista critico-analitico teatro-danza non è più un concetto vago (vedi Alfabeta n. 71), certo come definizione è un passepartoutinutile.Non serve desiderare che tutto quello che si muove danzi o che le distinzioni siano esercizi di lettura sterili, vizi occidentali. Nella pratica di oggi le distinzioni esistono - lo dimostra Valeria Magli, una pioniera nel campo dell'interdisciplinarietà - o si punta sull'utopia e sullo smembramento o si va necessariamente a un approfondimento specifico e settoriale (che nella danza significa conoscenza della materia e padronanza almeno teorica di molti linguaggi) senza dimenticare le pulsioni che esistono e circolano in tutti gli ambiti della ricerca artistica contemporanea. In questo senso non crediamo che l'ultima coreografia italiana sia giovane e immatura, ma piuttosto che rischi·ancora troppo poco nel mettere in campo proprio le sue conoscenze specifiche, tecniche per elaborare un teatro-danza veramente originale, nel caso sia ~ questa la sua scelta di tendenza ~ ,5 per il futuro. Oggi con sorpresa si g,o assiste anche alla nascita di gruppi c:i.. come l'Efesto di Catania che alla ~ °' ..... ~ -c:i ~ ;:,,. o s:: ~ chetichella compongono una piccola, organica fantasia (Il pozzo degli angeli): un flash semplice, d'indefinibile danza, ma sufficientemente «caldo» per trovare consensi in Francia (il gruppo ha vinto il primo premio in un concorso per la nuova danza a Bagnolet), pro- ~ -c:i prio nel paese dove la ricerca oggi ~ è più «fredda». ~

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