L'homoacademicus «L'einsegnement au tournant» in La Quinzaine littéraire, numéro spécial n. 445, 1-31 agosto 1985 Pierre Bourdieu Homo academicus Paris, Minuit, 1984 L a svolta, il tournant, la Kehre c'è già stata. Essa risale - se- . condo la Quinzaine littéraire che le dedica un numero speciale particolarmente significativo - al 1982. Intorno a quell'anno- scrive Robert Bonnaud nell'articolo introduttivo - si sarebbe esaurita nella società .e nella scuola l'influenza del Sessantotto. La polemica contro l'autoritarismo nell'università e nella fabbrica avrebbe lasciato il posto ad un nuovo modo di considerare l'istruzione e il la- 'voro: il rigore sarebbe tornato «di rigore». Ora vivremmo all'interno di questo processo che è ben lungi dall'essersi compiuto. Il «grande anti-Sessantotto» pare che debba ancora venire: Bonnaud lo preconizza per gli anni Novanta. Quanto ai suoi caratteri, al di là di una generica rivalutazi<;medelle competenze, dell'élite, del professorato, così duramente colpite nel corso degli anni Settanta dal dilagante «culto della debilità», dal «disprezzo dello sforzo» e dalla demagogia, molto di più non è detto. Quello che sembra certo è il ritorno dell'importanza dell'insegnamento e della razionalità. La scuola non è semplicemente uno specchio: per il posto che occupa nella vita intellettuale e nella vita politica - conclude Bonnaud - essa sembra decidere di tutto. Segue una intervista a Pierre Bourdieu, redattore di un rapporto sull'insegnamento dell'avvenire sollecitato da Mitterrand al Collège de France ed autore di una ampia indagine sociologica sulla condizione del docente q del ricercatore universitario, brillantemente intitolata Homo academicus. Chi è oggi l'homo academicus? È il detentore istituzionale di un capitale culturale. Questo tipo di capitale è una «specie dominata di capitale»: esso si oppone perciò essenzialmente al capitale economico. Dall'analisi di Bourdieu la condizione sociale dei possessori di capitali culturali risulta irta di contraddizioni interne. Innanzitutto gli intellettuali possono dividersi in professori da un lato e scrittori ed artisti dall'altro, per quanto questa divisione sia sempre più relativa. All'interno di queste c~tegorie sono poi ovviamente individuabili tutta una serie di distinzioni ulteriori di carattere oggettivo e soggettivo, tra professori di diverse discipline (esiste una gerarchia delle facoltà, all'interno della quale la filosofia continua ad occupare - come già diceva Kant - il banco dell'opposizione), tra professori che esercitano la libera professione e professori fulltime, tra poeti ed artisti, tra giornalisti ed editoriali... Tuttavia, contrariamente al punto di vista corporativistico che contrappone tra loro le singole frazioni della classe degli intellettuali, l'aspetto più importante dello studio di Bourdieu è l'analisi delle varie componenti in cui si articola il capitale culturale visto nella sua differenza dal capitale economico. Bourdieu individua sei dimensioni fondamentali (e rispettivi indicatori) sulla base delle quali è possibile misurare oggettivamente il successo di un intellettuale. Esse sono: 1. capitale ereditato o acquisito (residenza, professione del padre, religione, citazione nel Chi è?... ); 2. capitale scolastico (studi secondari, universitari, laurea ... ); 3. capitale di potere istituzionale specifico (Bourdieu dice «universitario», perché limita la sua indagine a quest'ambito); 4. capitale di prestigio scientifico (libri, conferenze, partecipazione a convegni, traduzioni in lingue straniere ... ); 5. capitale di notorietà intellettuale (articoli in riviste e quotidiani, presenza nelle trasmissioni televisive, radiofoniche ... ); 6. capitale di potere politico (partecipazione a organismi pubblici, a commissioni governative ... ). Per quanto criticabili siano queste misurazioni non solo nei loro aspetti specifici ma altresì nella loro pretesa di demistificare quantificando ciò che una volta era av- .volto nell'aura della stima e della gloria, esse hanno il merito di sottolineare la crescente importanza del capitale culturale nel corso degli ultimi anni. Si può discutere se questa crescita sia dovuta al passaggio dall'età industriale all'età Mario Pernio/ post-industriale (come sostiene Daniel Beli), oppure costituisca un fenomeno complementare alla generale semantizzazione delle merci (come si può dedurre dalle opere di Baudrillard), oppure sia in rapporto con gli strumenti di comunicazione di massa (come più o meno tutti sembrano disposti ad ammettere). In ogni caso è particolarmente significativo il fatto che si possa parlare di una contraddizione essenziale tra capitale culturale e capitale economico e di una opposizione strutturale tra la classe (non ceto) degli intellettuali e la classe che gestisce il potere economico (come sostenevano già negli anni Settanta Gyorgy Konràd e Ivàn Szelényi nel loro famoso volume Gli intellettuali sul cammino della lotta di classe). Perfino la diffusione del fenomeno del ciarlatanismo culturale, nonché le isteriche reazioni anti-intellettualistiche (talora burocraticamente dissimulate), sono segni interessanti che confermano le dimensioni e la forza del fenomeno. Q uale istituzione sarà in grado di gestire la valorizzazione del capitale culturale in un rapporto di presa diretta con la società post-industriale? Secondo il rapporto al presidente della Repubblica francese redatto da Bourdieu, questo compito dovrebbe essere svolto dallo stato, mediante la moltiplicazione delle forme di eccellenza culturale socialmente riconosciute, l'introduzione nel programma d'insegnamento delle nuove acquisizioni scientifiche, l'unificazione dei saperi trasmessi sotto l'egida della storia, la rivalutazione della competenza e della funzione professorale, l'associazione alle istituzioni scolastiche e universitarie di persone esterne al mondo dell'insegnamento ... Ma questo compito potrebbe anche essere svolto dall'editoria. Per esempio, il progetto diretto da Dominique Lecourt di una Nouvelle Encyclopédie in duecento volumi, che è in corso di avanzata realizzazione presso Fayard (i primi venticinque volumi dovrebbero uscire entro l'anno prossimo) si propone appunto di registrare e sostenere la mutazione culturale in corso. Tale mutazione sembra caratterizzata dalla estensione della cultura a ciò che è stato finora sentito come non-culturale e dall'aspirazione della comunità scientifica a non farsi più rinchiudere in ghetti. In questo progetto non è la storia, ma la filosofia a costituire il punto di riferimento unificatore: Naturalmente essa è vista non alla maniera idealistica, come sistema totale delle conoscenze, ma come strategia di transito attraverso le scienze umane e di organizzazione dei materiali conservati nelle banche-dati informatiche. Infine questo compito potrebbe essere svolto dall'università stessa, vista però non sotto l'aspetto locale e nazionale, ma nella sua dimensione internazionale. È in questa direzione che il libro di Bourdieu offre gli spunti più interessanti. L'homo academicus può sottrarsi al declassamento che ha caratterizzato la sua posizione nel corso degli anni Settanta ed invertire la tendenza di quel decennio, proprio sviluppando ed accen~ tuando il significato internazionale della sua attività. Egli è solo accessoriamente un impiegato del ministero della pubblica istruzione; essenzialmente è un membro della comunità scientifica mondiale. Le condizioni in cui si esercita attualmente tale condizione - quelle che Heidegger definiva «l'orizzonte dinamico del suo lavoro», cioè l'essere sempre in transito, il deliberare in riunioni, l'informarsi in congressi ... - per quanto aberranti ,possano sembrare se paragonate al modello statico dell'erudizione ottocentesca, ricostituiscono sotto certi aspetti l'idea medioevale dell'università come associazione di maestri e di allievi in movimento per il mondo. Da questo punto di Colloquio francese italiano sulla ricerca letteraria, Roma. 13-15 dicembre 1985 vista il libro di Bourdieu si inserisce nel filone degli studi storico-sociologici su quella che è, dopo la chiesa, la più antica istituzione europea (cfr. per esempio L'università nella società, a cura di Lawrence Stone, Bologna, Il Mulino, 1980). S i aprono così una serie di interrogativi sui modi della trasmissione delle conoscenze e sul rapporto tra sapere e potere cui non è facile dare risposte definitive. Certo è che molto dipende dalla valutazione di quellò che Bourdieu definisce il «momento critico» della vita universitaria di questo secolo, il Sessantotto. Solo riflettendo sull'aspetto paradossale di questa rivolta contro il professorato in quanto tale - ma non contro il sapere, anzi in nome del sapere - è forse possibile azzardare ipotesi che vanno iv. una direzione diversa da quelle espresse sulla Quinzaine littéraire. Forse il Sessantotto è stato il primo momento di un fenomeno di lunga durata, il cui significato essenziale è l'affermazione del primato del capitale culturale sul capitale economico: in fondo, ciò che gli studenti contestavano ai professori era la loro «arcaicità culturale», il fatto di non voler capire che si aprivano alla cultura spazi immensi da gestire in modo nuovo e che tali possibilità non potevano essere costrette nei limiti angusti della concezione ottocentesca dell'università. Sotto questo aspetto il Sessantotto segnerebbe la fine del modello moderno dell'università, che si era imposto tra il 1808 e il 1810 con le riforme napoleoniche e con la fondazione dell'università di Berlino. Credere che il rapporto di presa diretta tra sapere e società fosse realizzabile attraverso il ritorno di tutte le utopie politiche degli ultimi due secoli è stato probabilmente il suo errore: questa fase utopico-politica si è conclusa. Qui la Quinzaine ha ragione: l'inizio degli anni Ottanta segna un crinale. Ma ciò non significa affatto l'impossibile restaurazione di quel che il Sessantotto ha messo in moto. In realtà ciò che la Quinzaine annuncia è più un Sessantotto dei professori, che un anti-Sessantotto. «loparlodiuncertomiolibro» «Jeparied'undemeslivres» «In tutti i campi di ricerca intellettuale si formano gruppi: scuole storiche, sociologiche, e letterarie, e anche movimenti complessivi come l'espressionismo, il surrealismo, o lo strutturalismo. La ricerca che essi conducono viene definita precisamente, più o meno. Le avanguardie organizzate del Novecento anteriore o di oggi - la Pléiade o il futurismo - hanno reso esplicito nei manifesti e nei testi teorici il modo in cui lavoravano e come, a loro giudizio, si dovrebbe operare. Attualmente non ci sono avanguardie letterarie organizzate ma talvoltagruppi connessi a una rivista o gruppi che mantengono un'affinità di amicizia o di sodalizio intellettuale. Oggi questi gruppi conducono ricerche in comune, hanno un riscontro comune delle loro ricerche individuali? Non accade piuttosto che da qualche tempo ogni scrittore compie la ricercasua propria con un procedimento peculiare, che egli espone in un suo libro o in vari scritti (così Roussel, Gadda, Vittorini, Ponge e altri) senza proporlo come modello? È questo il tema delle tregiornate di incontro. Si può intervenire in termini critici o in termini teorici personali. È anzitutto interessante che ciascuno esponga o indichi il viaggio o il problema della sua ricerca, in senso generale o relativamente a un libro. Si discuteràpoi in un dibattito libero e complessivo, con partecipazione anche di altri invitati (nel pomeriggio di sabato) se si può pàrlare di una o più tendenze comuni o condivise, provenienti dal periodo anteriore o nuovamente orientate; e ancora se oggi vi è una compatibilitàfra la ricerca nella letteraturae quella nell'arte e negli altri campi. Poiché il punto d'incrocio è oggi costituito sostanzialmente dalle riviste, in conseguenza di ciò questo convegno viene promosso dai due giornali La Quinzaine littéraire e Alfabeta: e nella mattina finale del convegno, il 15, per cura dei due giornali, gli scrittori interessati risponderanno alle domande del pubblico». Roma, 13-15 dicembre 1985 Scrittori francesi e italiani invitati per gli interventi e il dibattito: Arbasino, Balestrini, Bertolucci, Camon, Camus, Corti, de la Genardier, Derrida, Eco, Fauchereau, Fortini, Frabotta, Frenaud, Fusco, Gargani, Giudici, Giuliani, Goux, Jabés, Leonetti, Luzi, Macchia, Macé, Malerba, Manganelli, Moravia, Nadeau, Pagliaranì, Pontiggia, Porta, Raboni, Risset, Rosselli, Roversi, Sallenave, Sanguineti, Sarraute, Sciascia, Spinella, Tabucchi, Thibaudeau, Volponi, Zanzotto. La direzione di Alfabeta invita anche a partecipare al dibattito del sabato 14 dicembre, avendo seguito i lavori, alcuni critici di letteratura: Stefano Agosti, Giancarlo Ferretti, Nadia Fusini, Angelo Guglielmi, Romano Luperini; inoltre invita i collaboratori romani di Alfabeta ad essere presenti particolarmente anche nella mattinata di domenica 15. N9ta bene·. Ciascun autore che accetta di essere presente e intervenire porterà un appunto di due-tre pagine, adatto alla pubblicazione, che sarà subito fotocopiato e messo a disposizione del pubblico; e su questo appunto parlerà per non più di 15-20 minuti (non ci sarà traduzione in sala). Verrà costituita una presidenza per il dibattito del 14, pomeriggio e sera, al quale potranno via via iscriversi gli scrittori e i critici invitati (con registrazione e pubblicazione prevista); la presidenza curerà via via un breve riassunto bilingue del dibattito in corso.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==