Alfabeta - anno VII - n. 78 - novembre 1985

Concerteoil!!frpretazione Il Chiamo simbolo ogni '' ~trut11;1rdai signifi~ione m cm un senso duetto, primario, letterale, designa per sovrappiù un altro senso indiretto, secondario, figurato, che può essere appreso soltanto attraverso il primo. Questa delimitazione delle espressioni a duplice senso costituisce propriamente il campo ermeneutico... C'è interpretazione là dove c'è senso molteplice, ed è nell'interpretazione che la pluralità dei sensi è resa manifesta.» Questa citazione da Esistenza e ermeneutica di Paul Ricoeur mi pare i~troduca efficacemente il discorso sull'interpretazione musicale, perché la musica è sicuramente, secondo la definizione di Ricoeur, una struttura simbolica, anche se si presenta con caratteristiche particolari rispetto alla poesia e alla letteratura in genere. L'interprete è qui, direi per statuto, parte integrante del testo musicale: la pagina può anche comprendere nei suoi segni tutte le possibili interpretazioni, ma è compiuta solo quando i segni sono tradotti in suoni, ordinati secondo leggi proprie di logica interna, di gusto, di espressività, quando cioè hanno subito un ripensamento che è si ripercorrere la trama compositiva ma anche capacità di utilizzare gli strumenti secondo una poetica che non è solo dell'autore ma, appunto, anche dell'interprete. Curiosamente il problema dell'interpretazione musicale è sparito dalle discussioni teoriche su e intorno alla musica, dopo le appassionate dissertazioni bergsoniane di Gisèle Brelet e quelle idealistiche di ascendenza crociana di Torrefranca, Parente e altri. Curiosamente perché, se è vero che in quest'epoca priva di certezze l'interpretazione è quasi «l'ultima spiaggia», la musica nel suo aspetto interpretativo può suscitare riflessioni che vanno ben oltre il campo specifico e offrirsi come modello per altri contesti. L'interesse invece pare ora più spostato sul testo musicale nel quale le tracce del percorso storico sono ravvisabili più univocamente che attraverso le diverse interpretazioni in concerto, per forza di cose mutevoli e perciò più aleatorie. Mentre l'interpretazione musicale continua ad essere affrontata, invero da pochi, per lo più all'interno di un discorso tecnico che registra e riflette sul variare del «gusto», quindi dei modelli interpretativi, delle tecniche di esecuzione, e via dicendo. Eppure gli studi della semiologia, della semantica e più in generale della linguistica offrono non poche occasioni per una lettura più attuale del fatto musicale inteso nella sua globalità (testo, interprete, pubblico), ma anche per un suo inserimento in un discorso non più meramente tecnico, ma connesso con altri campi del sapere. Ad esempio, quando Maria Corti parla della lettura «interpretativa» del testo, prefigurando due ipotesi, una dell'opera «chiusa», quando ci si limita a ricostruire il contesto storico-culturale in cui l'opera è nata e dove ha emesso un certo messaggio, l'altra dell'opera «aperta» quando essa non è considerata solo come oggetto della lettura, ma come significato per noi, per il nostro tempo, il legame con la musica è strettissimo. Lo è ancor più se si considera che all'opera aperta è correlata la concezione del leggere come ri-scrivere e· del lettore non più come consumatore, ma come produttore che collabora alla vita polisemica del testo stesso. Ma in musica, come abbiamo detto, il lettore in quanto produttore di senso è una figura a sé, che non può mai essere confusa con il «consumatore», perché vive di uno statuto speciale e particolarissimo, non assimilabile ad altri se non forse.a quello dell'attore, ma anche qui con molte specificazioni, non foss'altro per l'uso di un linguaggiodiverso da quello parlato. Il lettore in musica compie ciò che Emilio Betti definisce «l'interpretazione in funzione strumentale» in quanto «l'intendere è univocamente preordinato al riesprimere». Se confrontiamo queste considerazioni con le parole di un pianista tra i maggiori viventi, Alfred Brendel, constatiamo come nei fatti e per vie diverse si pervenga alle medesime conclusioni. Dice Brendel: «Ai miei occhi, l'interprete dovrebbe adempiere tre funzioni: quelle di conservatore di museo, di esecutore testamentario e di ostetrico». Dove la figura del conservatore di rnuseo sarebbe il lettore dell'opera «come oggetto» (o se si vuole della lettura filologicamente corretta), mentre l'esecutore testamentario sarebbe il ricostruttore del messaggio originario in quanto capace di far «risalire il corso dei tempi e di far risorgere l'aspetto di novità che l'opera aveva in origine»; infine l'ostetricÒ, colui che illumina il significatodell'opera per il nostro tempo la cui funzione Brendel definisce «missione magica». Infatti «egli veglia a che l'esecuzione non diventi un prodotto finito completamente irrigidito, e ci fa risalire alle fonti della musica: sembra così che l'opera nasca sotto le dita dell'interprete». e onvieJ?eforse ricordare anco-. ra che la musica è anzitutto processualità, la sua caratteristica è di trovare completezza nei due momenti successivi:la composizione del testo e la sua sonorizzazione sugli strumenti musicali; ed è questo che la differenzia sostanzialmente dall'opera teatrale, che può essere letta senza essere necessariamente preordinata al riesprimere. La musica è il testo con i suoi segni che testimoniano si la volontà dell'autore, ma che per se stessi non hanno vita, attendono di essere trasformati in suoni con le loro caratteristiche timbriche, di altezza, di ritmo, ecc. L'interprete è perciò colui che conosce i segni, li colloca correttamente nel loro contesto culturale, li ridefinisce secondo un senso che è peculiare alla «sua» cultura, al «suo» mondo e li porge ad un pubblico che a sua volta ha una «sua» cultura e un «suo» mondo. L'interprete musicale è dunque un mediatore tra la pagina e il pubblico, in una posizione delicatissima perché in quanto lettore deve considerare il testo come fondamento di una ricogmz1one ermenutica che, pur tenendo presente quella irrinunciabile filologica, deve misurarsi da un lato con il pensiero dell'autore e dall'altro con tutte le successive interpretazioni, cioè con la «tradizione interpretativa» . così massicciamente presente perfino a chi affronta anche solo a livello dilettantesco la pagina musicale. Inoltre il presentatore - se così si può dire - del testo al pubblico deve aver chiare anche le modalità di ricezione di questo per farsi comprendere, nel senso, ovviamente, non di indulgere verso le sue debolezze o le sue abitudini, ma di operare in modo che quanto c'è di nuovo nella propria interpretazione sia recepito nel senso giusto: cioè di nuova lettura di un testo aperto. È chiaro che chi scrive si schiera con quanti non considerano esaustiva, ai fini di un'interpretazione intesa sia come apertura di nuovi sensi sia come penetrazione del nucleo essenzialedell'opera, la notazione musicale; e ciò non solo perché, come dice Adorno, «letteralmente infinite sono le possibilità di approccio a ogni opera d'arte e all'interpretazione di ciascuna di esse», ma anche per vere e proprie carenze specifiche. Se, ad esempio, prendiamo in esame i segni dinamici di una partitura o di uno spartito riferiti all'intensità sonora, cioè il mezzoforte (mf), il pia~ nissimo (pp), il forte (/) e via dicendo, possiamo constatare come . essi non siano che delle indicazioni di massima, perché non hanno alcuna relazione con la misura dell'intensità del suono ma varieran-• no in maniera anche considerevole a seconda del significato generale che si è voluto dare all'opera. Per non dire delle indicazioni usate a descrivere il senso di un passaggio - amabile, dolente, con anima, lusingando, con fuoco, brioso, ecc. - o addirittura di un brJlnO: come ad esempio quello usato da Beethoven all'inizio del secondo tempo dell'op. 102 N. 2 per violoncello e pianoforte «Adagio con molto sentimento d'affetto». Le espressioni con le quali si cerca di puntualizzare il «come» devono essere trattati un inciso, una frase o tutto il brano, fanno senz'altro leva sulla psicologia dell'esecutore, ma di fatto vengono realizzate secondo una.prassi esecutiva che si è consolidata nel tempo e che è direttamente connessa a una data cultura, a una data civiltà. In occidente questa prassi, a partire dall'800 perché diversa era la situazione sociale della musica e statutaria del musicista nell'epoca precedente, si sviluppa nel concerto pubblico, in luoghi fisici che hanno ben altre caratteristiche ed esigenze del salotto, della chiesa o della festa barocchi. Ma soprattutto, ed è ciò che interessa questo discorso, se fino a tutto il '700 la figura del compositore e dell'interprete non erano facilmente distinguibili (Bach componeva ed eseguiva la sua musica) e più semplice e immediata la comunicazione con il pubblico, con l'avvento dell'epoca borghese i tre elementi, compositore, interprete, pubblico, si differenziano completamente. Non è il caso di analizzare qui le ragiont di questo mutamento, del resto abbastanza intuibili se rapportate ai rivolgimenti culturali, sociali e politici di quel periodo, ma interessa piuttosto vedere che cosa è stato in concreto il concerto da allora in poi. S i è accennato prima alla musica come processualità, come divenire del testo fino al suo completamento .nei suoni. Il concerto è dunque il luogo in cui il pensiero dell'autore viene comunicato al pubblico in un gesto unico e irripetibile che accomuna i tre elementi e èostituisce, per usare l'espressione di Walter Benjamin, il momento auratico della musica; poiché il testo, a differenza del quadro o della scultura, non ha di per sé un'aura subito, per così dire, respirabile e l'interprete deve la sua esistenza al testo, ma essa è anzitutto comunicazione (altro è suonare per se stessi, altro suonare per gli altri) e perciò inscindibilmente legata al pubblico. Fruizione, interpretazione, composizione sono dunque momenti divisi ma convergenti verso quel breve spazio di tempo in cui si realizza il fatto musicale: il concerto, che proprio per quella certa aleatorietà legata all'emozione del momento unico e irripetibile, a quel nascere dell'opera «sotto le dita dell'interprete», costituisce quell' hic et nunc, che per Benjamin è l'essenza stessa dell'aura. Boulez in uno scritto del 1979, mutando l'angolazione, afferma in termini più attuali e più radicali, ma non certo in contraddizione con quanto esposto: «La comunicazione ha un ruolo ancora più importante in musica che negli altri mezzi d'espressione perché è irreversibile nel tempo. Parleremo dunque dell'estetica del concerto e dell'audizione, accerchiando il problema abbastanza da vicino, arriveremo a questo nocciolo duro, infrantumabile: la giustificazione collettiva del progetto estetico individuale». Dunque musica sì, ma se ne deve parlare con la piena coscienza ch~\è un evento la cui totalità è l'insieme di tre elementi abbastanza etero'g~nei che ne costituiscono l'essenza e ne determinano il carattere di irripetibilità, di unicità. Se è vero che ogni argomento può essere affrontato da diversi punti di vista, il fatto musicale si può dire che incorpora in sé ogni punto di vista, non si tratta di una questione di approccio ma di esistenza. La sociologia della musica di Adorno non ha affrontato solo il modo di essere della musica nella società, ma, per esempio, analizzando il comportamento del pubblico e le sue varianti, ha puntato il dito su una delle componenti del concerto, indicando contraddizioni, carenze e distorsioni. Gli interrogativi sollevati da Benjamin ne L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, se rapportati puntualmente alla musica e alle dichiarazioni dei grandi concertisti di oggi, ne sconvolgono totalmente il quadro di riferimento, per la funzione di rottura che il mezzo tecnico ha svolto e svolge soprattutto per l'interprete e il pubblico. Il discorso sarebbe lunghissimo e non può rientrare in questo bre- ~ ve approccio a una delle arti più c:::s .s «consumata» e certo meno cono- eo <:::I sciuta nelle sue articolazioni inter- Cl. ne; come se lo stimolo sonoro a :G °' cui difficilmente ci si sottrae per- ....., ché colpisce l'orecchio senza alcun ~ ..C) suo intervento attivo, non abbiso- ~ gnasse di un ripensamento critico. ~ Concluderemo allora con le parole s:: di Busoni quando dice che «il pub- ~ blico non sa e non vuol sapere che i::: se vuol accogliere in sé un'opera ~ deve fare egli stesso metà del lavo- l ro». ~

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