Il Ogni amore rende felici. '' Persino quello infelice.» All'analisi di questo luogo comune Lou Andreas Salomé dedica una parte del suo saggio Riflessioni sul problema dell'amore, (contenuto nella raccolta La materia erotica), osservando come in realtà tale modo di dire si riferisca alla felicità in sé e per sé di amare, quella felicità che «nella sua eccitazione festosa illumina, per così dire, con centomila candele il nostro intimo essere fin nell'angolo più nascosto, e offusca con il suo splendore tufte le cose reali del mondo esterno». È ciò che Agnes Heller, nel contesto della sua tematizzazione teorica dei sentimenti, preferisce chiamare «senso della vita», «grande momento» in cui due soggetti si identificano. Ma cosa c'è dietro questo grande momento? Cosa è che permette il realizzarsi di un evento sempre uguale e sempre diverso? Cosa è amare l'altro? Si ama l'altro o solo una proiezione di se stessi? L'a- • more appare, dunque, come un travestimento del narcisismo, una pura illusione, illusione di ricomposizione, di identità, di fusione. Ma non è forse inesplorabile l'amore in quanto oppone al bisogno di comprensione un suo «inespugnabile nucleo di oscurità», come dice Breton? Se è Freud a incrinare e sovvertire la concezione occidentale dell'amore svelando le strutture latenti che stanno dietro ciò che appare, ad analizzare l'illusione amorosa riconoscendone però tutte le forti potenzialità creative e di crescita, a rimetterne in gioco le sue innumerevoli dimensioni, l'eros, la passione, il desiderio, introducendo nuovi concetti interpretativi, è Freud stesso ad imbattersi nel femminile, nel «grande enigma», nel «continente nero» che è il sesso della donna, ad arrestarsi sulla soglia del «fondo roccioso» contro cui cozza ogni investigazione. Tuttavia, mentre Freud non dissimula il suo disagio, non nasconde gli effetti inquietanti che l'esplorazione del femminile produce in lui, Lacan riapre la questione per enunciare la sua «verità»: che non vi è possibilità di riconoscimento per il desiderio e il godimento della donna giacché, se ogni realtà si fonda e si definisce in un discorso, il femminile risulta inscritto nel linguaggio solo in quanto mancanza, vuoto, ed entra nel discorso solo in quanto causa del desiderio maschile. All'interno di questo campo di riferimenti freudiani e lacaniani si snoda il discorso che, per vie diverse, da molti anni vanno conducendo Luce Irigaray e Julia Kristeva ora di nuovo presenti con due testi sull'amore: Storie d'amore (Julia Kristeva), Etica della diffelezioni-sull'amore renza sessuale (Luce Irigaray). Due discorsi diversi ma per alcuni versi simili, l'uno volto ad attraversare le tappe del pensiero occidentale sull'amore al confronto éon la concezione amorosa in psicoanalisi, l'altro più spostato sul filo della differenza dei sessi (come è sua tradizione), più rivolto alla ricerca della specificità del femminile. Ma similiper il loro interrogarsi sul senso e le possibilità dell'amore oggi, simili perché non enunciano ma interrogano, domandano, ricercano. T utto il percorso di pensiero di Luce Irigaray fino a questo momento è volto a svelare, attraverso una rigorosa e precisa analisi-smontaggio dei testi freudiani e lacaniani i propositi in essi contenuti di riduzione ed esclusione del femminile •dal campo del linguaggio, giacché ogni discorso sull'amore e sul sesso è stato sempre condotto entro l'ordine maschile. È questo il motivo per cui Luce Irigaray ha condotto un lavoro lungo e costante di rivendicazione del femminile negato, cancellato dal discorso maschile e condannato, perciò, a stazionare al di qua del senso, muto e chiuso. Un femminile che mai come ora non si pone di certo come il punto di vista delle donne, ma come l'essenza della diversità, della differenza, che attende ancora di esprimere la sua «inaudita fecondità». In questo ultimo libro in cui sono raccolte le lezioni da lei tenute nel 1982 presso l'Università Erasmus da Rotterdam, la Irigaray sposta più innanzi i temi delle sue precedenti riflessioni, da Speculum (1975), ad Amante marina (1981), a Passioni elementari (1983), insistendo sugli aspetti più audacemente politici della sua ricerca e Fiorangela Di Lisa che riguardano la sostanziale revisione teorica del ruolo storicamente assegnato alla donna e male interpretato come un destino biologico. Per queste ragioni Luce Irigaray attraversa questa volta alcuni grandi temi filosofici, il Simposio di Platone, Le passioni de/I'a- • nima di Cartesio, l'Etica di Spinoza, Totalità ed infinito di Lévinas, per rileggere i punti chiave sui quali si sono costruite l'etica maschile e le idee sulla donna e sull'amore. La sua parola, perciò, rivolta al tempo della memoria e dell'evocazione, tenta il disvelamento delle trame e dell'ordito sui quali si è tessuto il parlar maschile sulla donna, giacché tutte le donne da Diotima ad Antigone, l'antidonna per eccellenza, sono state parlate dagli uomini. Eppure, dice Luce Irigaray, tutte le costruzioni del discorso maschile si ricollegano alla mancanza originaria, alla separazione iniziale dal corpo della madre. Ma l'uomo tende a dimenticare questo evento, tende a non riconoscere «il suo debito mai pagato» nei confronti del materno-femminile. Si tratterebbe allora di ripensare all'evento terribile di essere stati <~gettatinel mondo» dopo l'improvvisa perdita del nido intrauterino, di ripensare cioè a quel lutto mai finito e fonte di eterna nostalgia che l'uomo «tenterà invano di colmare con le sue opere di costruttore di mondi, di cose, di linguaggio». Si tratterebbe perciò di ripensare a un modo nuovo di intendere la relazione uomo-uomo, uomo-mondo, uomo-donna, a partire da questo riconoscimento, dal riconoscimento del lutto originario, e di individuare nuove condizioni di pensabilità dell'amore, del desiderio, del sesso, dell'etica, in cui l'amore trovi l'autonomia del proprio linguaggio, venga chiamato con il suo nome e si ponga come occasione di crescita per sé e per l'altro. Perché proprio di questo in definitiva si tratta: dei modi di intendere il rapporto d'amore, come Omologazione a sé, cattura dell'altro, o come riconoscimento dell'altro come altro da sé, oggetto d'amore. ' E Julia Kristeva a seguire più specificamente questa via che ripercorre inevitabilmente la storia della concezione dell'amore in occidente al confronto con il modo in cui la psicoanalisi ha concepito la vita affettiva, la sua evoluzione, il suo destino. Se l'amore è il tempo delle trasformazioni psichiche, il luogo della rinascita, esso è anche uno stato misterioso, un enigma insoluto, condizione di sospensione tra realtà e illusione, evento in cui . «l'Io si concede il diritto di essere straordinario», come dice Julia Kristeva. Ciò che le interessa è esplorare questo stadio e mostrare come la psicoanalisi possa essere intesa quale filosofia amorosa giacché l'esperienza analitica, fondata sul transfert, si pone come condizione emblematica di una ricerca e rinascita di sé attraverso un vissuto d'amore. Una esperienza amorosa però specifica e peculiare che non si costituisce come stabilità, non si pone come fissazione, ma si configura come transito per la conquista dell'autonomia, della differenziazione, della capacità di amare l'altro in quanto altro da sé. Sta in questo il senso filosofico della psicoanalisi, nei modi indicati da Julia Kristeva, giacché l'analista accompagna il paziente fino alla soglia dello sviluppo delle sue capacità di riconoscere il caos dell'amore-fusione e di evolvere in direzione di un amore-espansione in grado di accettare l'esistenza dell'altro. Per individuare il rapporto tra la concezione psicoanalitica dell'amore e la cultura occidentale la Kristeva percorre alcuni tragitti obbligati, rivisita alcune figure dell'amore in occidente, l'Eros greco, l'Ahav ebraico, l'Agape cristiano e le dinamiche ricche e diversificate •tra i protagonisti amorosi della storia, Narciso, Don Giovanni, Romeo e Giulietta, la madre e il bambino che ha come prototipo cristiano la Vergine, ecc. Inteso dunque come traccia per costruire una storia della soggettività, l'amore, che imprime il suo marchio al linguaggio, richiede di essere riletto a partire da un ripensamento critico dell'ordine simbolico. E qui la Kristeva, con coraggio e insolenza demistificante, intreccia alle teorie e ai miti amorosi dell'occidente le storie di analizzandi di oggi, non per stabilire paralleli tra mondi culturali e drammi individuali, ma per tentare, con «allusioni a distanza», di mostrare le complessità inesplorate del mondo dell'amore. Ma quali sono all'interno di questo affresco, ella si chiede, le condizioni di possibilità dell'amore per 1:1nadonna, oggi? Si ripropongono ancora una volta, qui, le difficoltà nelle quali già altrove ella si è imbattuta (Eretica dell'amore, Ed. La Rosa, Torino, 1979), e che riguardano il superamento dell'etica maschile e la fondazione di una nuova etica. Perché è di questo che si tratta, ed è questo il punto che accomuna due ·percorsi così diversi tra loro, quello di Luce Irigaray e di Julia Kristeva. Si tratta cioè di riformulare una nuova etica, che per la Kristeva rappresenti, però, non la differenza ma la differenziazione, il punto di convergenza tra il maschile e il femminile, che consenta il superamento di una dualità infeconda, di una duplicità di discorsi, perché, alla soglia di un •modo nuovo di intendere l'amore, si ricomponga la fondamentale unicità espressiva entro cui inventare e scoprire nuove possibilità creative. Cfr. Luce Irigaray Etica della differenza sessuale Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 164, lire 23.000 Julia Kristeva iStorie d'amore Roma, Editori Riuniti, 1985 pp. 394, lire 28.000 Mario Spinella «L'etica amorosa» in Alfabeta n. 58
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