Mio caro Russo ... Andate piano con la rivista che disegnate, perché né è facile trovare forze di collaboratori né ambiente propizio, almeno per qualche anno. Anche mi permetto di sconsigliarvi un titolo troppo chiassoso, sia pure con riferimento machiavelliano. Ma soprattutto vi sconsiglio di unire al contenuto letterario-critico parti politiche, che non possono essere se non di partito politico. Su ciò mi sono già espresso in un breve scritto, pubblicato nella «Città libera», e che ricomparirà nel 1 ° quaderno della «Critica». Come volete che un uomo di studi dia il suo contributo a una rivista letteraria nella quale si leggono articoli politici contrari ai suoi convincimenti? La politica deve farsi nei giornali e nelle riviste politiche. Benedetto Croce (lettera inedita del 26 marzo 1945, da Napoli) B elfagor, la rivistafondata da Luigi Russo nel 1946, compie i suoi quarant'anni. Per non pochi intellettuali nati nel dopoguerra è stata uno strumento importante, già durante i primi anni Sessanta: proprio quando, da più parti, veniva avvertito il bisogno di uscire dall'impostazione idealistica di cui erano stati nutriti i nostri studi; proprio quando, cercando di sottrarsi all'egemonia crociana, ci si proiettava verso uno stretto rapporto tra cultura e vita civile: senza aderire alle politiche culturali dei partiti, ed al tempo stesso sforzandosi di utilizzare criticamente la tradizione storicistica. Su tale strada, alcuni di noi, in quegli anni, si incontrarono con la lezione marxiana e, nelle forme più diverse, con il movimento comunista e con il pensiero di Gramsci, oppure, su un versante parallelo, con le filosofie del!' «impegno» e del soggetto: il Sartre della Critica della ragione dialettica, o il Paci di Funzione delle scienze e significato dell'uomo. In quell'epoca di passaggio, incubatrice di nuovi fermenti sociali, non v'è dubbio che Belfagor riuscì molto spesso ad esercitare una funzione critica insostituibile, rappresentando un momento di cerniera: un ponte tra l'educaziomente. Del resto anche la teoria galenica degli umori contribuisce ancora alla definizione del quadro clinico, ma non assurge più a spiegazione universale della patologia psicosomatica e si integra con l'osservazione e la pratica medica. La malinconia esce così dall'eremo linguistico di Burton e diventa un malanno fra gli altri anche se il suo nero umore continua sempre ad accompagnare i percorsi dell'arte e delle lettere. M elancholia, atrabile, umore nero. Strano destino quello di questa parola che nel Novecento, diventando humour nero, non cambia il senso che le è stato affidato ... Jacques ~ Rigaut, malinconico dandy la cui c::s storia è stata raccontata da Drieu -S La Rochelle in Fuoco fatuo, scris- ~ ~ se cht lo humour nero «è il senso ~ °' ...... della tragica inutilità del tutto», concludendo la sua vita a trent'an- ~ ni mal sopportando la noia dell'esi- -c:i E stenza. Distacco dalla vita, da se ~ stessi, dalle cose, tale è la malinco- o ~ nia immaginata dal Diirer e da ~ Raffaello nella sua raffigurazione di Michelangelo ne La scuola di ~ Atene. Sguardo obliquo perso, -c:i sintomo di un male che l'odierna ~ ~ società medicalizzata ha sostituito Il diavoloquarantenne Mario Galzigna ne storicistica e la necessità di un pensiero forte, capace di esercitare una presa diretta sullo scenario sociale. Mi è capitato, di recente, di rileggere il Proemio alla rivista, messo in circolazione da Luigi Russo già nel settembre del 1945. Sono rimasto sorpreso per almeno due buone ragioni: la fedeltà di Belfagor alle linee programmatiche del suo ideatore, ed insieme l'attualità di molti dei problemi sollevati in quel Proemio, nonostante l'evidente diversità delle situazioni storiche. Vediamo. Dopo aver osservato che durante il ventennio mussoliniano una cultura sommersa, profondamente contraria al regime, era riuscita a svilupparsi con tenacia, assegnandosi come «termine segreto» la «liberazione dalla schiavitù fascista», Luigi Russo presentò il suo progetto di mettere in cantiere un nuovo strumento, radicalmente anticonfessionale: una rivista di cultura, che fosse «anche una rivista di politica, di etica della politica»; una rivista laica, egli affermava, che non chiede «a nessuno la tessera del suo partito», che esige soprattutto «serietà di lavoro e spregiudicatezza di orientamento critico». Il titolo, Belfagor, «assunto per antica dimestichezza con l'opera di Machiavelli», piaceva a Russo già nel 1939, «per una certa aria ereticale che da esso spirava in mezzo a tanto dilagante conformismo; «ma ci piace ancor oggi - leggiamo sempre nel Proemio - perché il conformismo, quasi costituzionale ali'anima italiana per atavica educazione che risale perlomeno a una proverbiale e molto proverbiata pedagogia tanto in onore nel nostro lontano Seicento, oggi si è tra',!estito,e rinasce sotto nuove forme. Però l'Italia, anche nel campo degli studi, ha sempre bisogno di eretici». Contro «tutte le mode effimere», contro «il consueto mimetismo degli accademici, che, per passivi-. tà mentale e forse anche per un ingenuo calcolo, assumono il colore del tempo», la rivista si dichiarava aperta a «tutti gli studiosi di buona volontà, dai liberali ai comunisti», e si proponeva di irrobustire un «orientamento critico» che nasce «da tutta la tradizione storicistica» della prima metà con il termine «depressione» che non spiega, non rimanda a null'altro da sé. Lo sguardo malinconico rimanda sempre altrove, ad un mondo che non c'è ancora o non c'è mai stato. Ramazzini comunque consiglia agli studiosi malinconici di sorseggiare un po' di vino d'Ungheria o di malvasia e di stare più tempo possibile all'aria aperta se il tempo è sereno e senza vento. Consiglia anche di studiare di giorno e non di notte quando l'aria è greve. L'aria diventa così una terapia liberatoria, del resto· ha inizio nel Settedel novecento: una tradizione «in perpetuo sviluppo, e 'di cui non possiamo e non vogliamo segnare i limiti delle esperienze e prevedere gli sviluppi». Immagino • che qualche lettore potrebbe immediatamente insorgere contro il contenuto e soprattutto contro la pretesa attualità di queste citazioni. In realtà, sono. convinto che, per riconoscere l'attualità del Proemio, non sia necessario aderire alle peculiari caratteristiche - ovviamente datate ~ dello storicismo di Luigi Russo: uno storicismo che implicò una originale ed innegabile fuoriuscita dal- !'alveo crociano e gentiliano, in un rapporto di intensa e proble- . matica continuità con una linea di pensiero che va da Vico a De Sanctis, fino ad Antonio Gramsci. Sono convinto, in altre parole, che l'attualità delle pagine prima citate debba consistere non tanto in un puntuale riferimento alle coordinate culturali da cui emergono, quanto piuttosto in una valorizzazione dello stile di lavoro a cui esplicitamente rimandano: uno stile più che mai attuale, proprio perché troppo spesso disatteso. Uno stile scandito da quattro atteggiamenti fondamentali, che caratterizzano tuttora la presenza di Belfagor nel panorama culturale italiano: il gusto per la polemica e per l' «eresia», la passione etica, applicata al lavoro intellettuale come alla politica, il coraggio dell'indipendenza critica, nei confronti dei partiti e del potere accademico, ed infine l'ostilità per le mode culturali, troppo spesso foriere di nuovo conformismo e di passività mentale. Mi è sembrato opportuno svolgere queste brevi considerazioni proprio in una rivista come Alfabeta, che da sempre ha fatto suoi questi quattro atteggiamenti fondamentali, stante la diversità delle sue origini e la molteplicità delle sue matrici teoriche. Ma proprio in una rivista come Alfabeta, sempre attenta a discutere ed a registrare ciò che di nuovo emerge nel pensiero contemporaneo, non è inutile insistere sull'ultimo atteggiamento prima citato: sul nuovo tipo di conformismo che può emergere dal!'accettazione acritica delle mode culturali dominanti. Si tratta, io credo, di un problema cento quel grande programma di risanamento pubblico che cerca di distogliere contagi e putredini aprendo case e città alla libera ctrcolazione dell'elemento volatile (A. Corbin, Storia sociale degli odori, Mondadori, Milano 1984). L'aria che tanta importanza avrà nella strategia sanitaria, è la cura più semplice per il corpo afflitto del letterato. Attendere agli studi in luoghi invasi dal fumo della lucerna o in locali eccessivamente riscaldati danneggia la salute e mette in pericolo il corpo minacciato dagli squilibri della mente. L'eccessiva attenzione che il lavoro intellettuale richiede danneggia la macchina umana che si gonfia di umori molesti e viene attraversata dai venti intestinali. L'ennesima e invereconda malattia dei letterati è così la flatulenza e non a caso esiste una particolare flatulenza malinconica nella trattatistica medica del Cinquecento. Una specie di crudele condanna allo studioso che rivolge i propri spiriti vitali solo all'intelletto, per cui cibandosi di aria è poi costretto a digerirla. Per questo il corpo del dotto va «liberato» con rimedi come la polvere del Cornacchini o il calice emetico, per far sì che lo squilibrio umorale si ricomponga. Purghe e cruciale di etica del lavoro intellettuale, che mette in gioco la possibilità stessa, per tutti noi, di conquistare un ruolo attivo e promotore - non subordinato, non acquiescente - nei confronti del mercato della carta stampata. Vorrei citare un esempio, forse sufficièntemente chiaro ed illuminante. Durante gli anni Sessanta, soprattutto per merito di Enzo Paci, si tradusse e si studiò. Husserl, scoprendo, al tempo stesso, l'enorme fertilità della fenomenologia trascendentale e la grande varietà delle sue possibili declinazioni teoriche e storico-sociali. Negli anni successivi, alcuni filosofi, che avevano efficacemente lavorato attorno ad Enzo Paci, impegnandosi a fondo in questa impresa teorica, mutarono posizioni, orientamenti, punti di riferimento. I passaggi furono talvolta repentini, non motivati. L' eclissi della fenomenologia, in Italia, avvenne quasi insensibilmente, attraverso una rimozione delle prof onde ragioni che avevano reso possibile la sua larga diffusione. Altri pensatori divennero la cifra della nostra condizione umana, della nostra sit~azione storica, della nostra modernità: non di rado a detrimento di una continuità e di una originalità della ricerca e delle problematiche, ma soprattutto a vantaggio di uno stile del lavoro intellettuale tutto giocato sul- !'esegesi, sul commento, sul tentativo di veder riflesse in un autore le geografia del nostro presente o la prefigurazione del nostro avvenire. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, sia in relazione a singoli autori, sia rispetto a tematiche di carattere generale: penso ali'oblio di Sartre, alla diffusa liquidazione della lezione marxiana, oppure alle speculazioni sulla fine della storia o sulla morte del!'esperienza: posizioni e liquidazioni non prive di una legittimità teorica, ma troppo spesso costruite attraverso una rimozione di tutto ciò che, magari nella forma della contrapposizione o della disgiunzione, le ha rese possibili. Rispetto a questo atteggiamento intellettuale - sul quale varrebbe la pena discutere approfonditamente - non credo di sbagliare dicendo che Belfagor rappresenta tuttora una sede atipica e controcorrente. vomitivi costituiscono la terapia mentre i salassi sono da evitare in corpi già debilitati e infiacchiti dalle veglie di studio. In tal modo, e senza ironia, la scrittura medica restituisce il corpo del letterato ad una realtà greve: la nobiltà qegli acciacchi malinconici si dissolve in un flatus ani molesto e offensivo, in un tempo in cui l'uomo di lettere è costretto a dar voce al silenzio del corpo. Resta però aperta la questione contraria e cioè resta ancora da stabilire la relazione fra i malanni fisici degli scrittori e la loro opera. La scelta interdisciplinare, il senso della storia, la passione per la ricerca erudita ed il rigore filologico si sposano _con l'antiaccademismo, con il gusto per la polemica, con la battagliaper una diversa e rinnovata eticità degli studi e dell'agire politico.' È merito di Carlo Ferdinando Russo - attuale direttore, grecista ed intellettuale versatile - l'aver mantenuto in vita una sintesi, tanto felice quanto rara, di elementi così eterogenei e difficilmente armonizzabili: capita così di ritrovare; in uno stesso numero, una presa di posizione di carattere garantista, un articolo sulla «Repubblica» di Platone, un intervento di Toni Negri sulla filosofia italiana contemporanea, un saggio di Cesare Musatti sul sogno. . Capita anche di leggere invettive personali accanto a polemiche pacate ed urbane; o addirittura - cosa rara nel nostro panorama culturale - accorate e documentate denunce del malcostume accademico o di vessazioni concorsuali. «Andate piano con la rivista che disegnate», scriveva Benedetto Croce, in una lettera indirizzata a Luigi Russo nel marzo del 1945. L'autorevole consiglio non venne ascoltato. La «malattia del conformismo» ha trovato un avversario tenace e rigoroso proprio in questa rivista, scritta molto spesso da accademici, ma al tempo stesso contraria al!'accademismo ed alla sua sclerosi «disciplinare». La «lotta tra conformisti ed eretici - scriveva Luigi Russo nel '46 - si farà sempre più acuta» (N. 1, p. 123). Se questa profezia si è in parte avverata, se essa riguarda ancora il nostro presente ed il nostro prossimo avvenire, lo dobbiamo anche alla presenza ed alla vitalità di Belfagor. Cfr. Aa.Vv .. Lo storicismo di Luigi Russo: lezioni e sviluppi, Firenze, Vallecchi, 1983 Belfagor Firenze, Vallecchi Editore n. 1, 15 gennaio 1946 Belfagor n. 6, novembre dicembre 1961 (numero dedicato a Luigi Russo) L'epilessia di Dostoevskij, l'etilismo di Dylan Thomas, di Poe, di Joseph Roth, perfino lo strabismo di Sartre e la gobba del Leopardi hanno influenzato la loro scrittura? Ma non c'è più tempo per cercare una risposta a questa domanda e probabilmente non ce n'è neppure la voglia. Il determinismo fisiologico è privo d'interesse nella relazione fra la letteratura e il male ed è comprensibile che la domanda di Huxley circa la possibilità di ricercare nell'albumina di Cartesio i segni del genio, sia rimasta senza una risposta. Cft. Bernardino Ramazzini Le malattie dei lavoratori (De morbiis artificum diatriba) Roma, La Nuova Italia, 1982 Attilio Brilli (a cura di) La melanconia nel Medio Evo e nel Rinascimento Urbino, Quattroventi, 1982 Robert Burton Anatomia della malinconia Venezia, Marsilio, 1983
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