l'esecuziondeelcavallo Magazzini Criminali Genet a Tangeri versione ridotta dello spettacolo presentata per una sola sera 19 luglio 1985 al Mattatoio Comunale di Riccione nell'ambito della «Trilogia d'Estate» di Santarcangelo di Romagna Stampa periodica italiana 23 luglio - 31 agosto 1985 I n una sera di questa piovosissima estate, i lettori del giornale locale di alcune cittadine del Nord Europa potevano scandalizzarsi e divertirsi leggendo un curioso trafiletto: «Assassinio di cavalli - Gli zoofili italiani sono in tumulto dopo che un gruppo di teatro d'avanguardia ha scannato un cavallo durante uno spettacolo, gli ha squarciato il ventre e ha scagliato le interiora contro il muro. Il cavallo era destinato al macello, tuttavia gli zoofili hanno espresso il loro raccapriccio e auspicano che il teatro, in futuro, faccia uso di un cavallo di legno» (Dagbladet, Holstebro-Struer-herning, 31 luglio 1985). Questa notizia grottesca sintetizzava correttamente i falsi operati sulla stampa italiana ai danni di Magazzini Criminali, un gruppo teatrale che si è conquistato prestigio, in Italia e all'estero, nell'ambito della «ricerca», che ha quasi quindici anni di lavoro e di spettacoli alle spalle, e che è stato trattato come una combriccola di cretini da togliere di mezzo, dediti a infantile ferocia. Per alcuni giorni, a fine luglio, il teatro è comparso così sulle prime pagine dei giornali; un'importanza che di rado gli è attribuita,- e che questa volta è stata guadagnata in maniera derisoria, per disinformazione. La campagna stampa che ha rischiato di sommergere Magazzini Criminali e che, nei tempi brevi, li ha irrimediabilmente danneggiati, è sorta certo per leggerezza e piccole vendette, ma si è nutrita per la licenza e l'incuria di coloro che scrivono di teatro nei confronti di coloro che lo fanno; N ella terza decade di luglio fu inaugurata a Venezia, in una ventina di stanze del- /' appartamento del doge a Palazzo ducale, la mostra di paleoantropologia Homo, che rimarrà aperta fino al termine dell'anno. Garantita scientificamente da grandi nomi - soprattutto francesi - di quella disciplina, è tolta dal- /' effimero per merito di un agguerrito catalogo per iniziati (Marsilio) e di un opuscolino voluto dallo sponsor Agip (anche il petrolio e il metano sono fossili) e distribuito gratuitamente ai visitatori, che vi possono trovare in sintesi le ragioni della mostra, il percorso da compiervi. Si tratta, grosso modo, di quel paio di milioni di anni, o anche più, che abbiamo da quando i nostri antichi, piuttosto dissimili da noi, fecero la Lorocomparsa, con la matriarcaLucy, in Africa; degli utensili che abbiamo ricavato con varia manifattura dalle pietre; del- /' evoluzione dell'ambiente in cui per il prepararsi di un'ampia battuta contro i teatri anomali; per lo stravolgimento della nozione di critica militante. Non si spiegherebbe altrimenti come mai, nel giro di un giorno, nella polemica sorta attorno a uno spettacolo, siano state ridotte al silenzio le voci di tutti quei critici che vi avevano assistito e la parola sia stata assunta da coloro che dello spettacolo e di quella sua particolare rappresentazione sapevano poco o nulla. Non si tratta qui di difendere l'una o l'altra forma di teatro. Si tratta di reagire contro la censura sulle forme, contro il tentativo di annullare l'esistenza dei teatri che all'uno o all'altro di volta in volta non piacciono. C'è un diaframma sottile, ma decisivo, che distingue l'uso della recensione per esprimere dissenso o riprovazione e il suo uso, invece, per invitare chi di dovere a tagliare i fondi. Sono queste scelte d'azione, non le parole alate, che differenziano chi ha a cuore la vita del teatro nel suo com- .plesso da chi ha a cuore soltanto se stesso, le proprie visioni e i propri sempre possibili abbagli. 11 19 luglio scorso, Magazzini Criminali decide di recitare Genet a Tangeri nel mattatoio comunale di Riccione. Lo decide sormontando la propria stessa paura, come un rischio responsabilmente accettato, da correre assieme a spettatori consapevoli. Non c'è alcuna provocazione, né violenza. C'è qualcosa di più complesso e inquietante: durante la seconda delle sei azioni in cui lo spettacolo è concentrato, i tecnici del mattatoio, gli operai addetti all'igiene dell'ambiente e della carne, il veterinario di turno svolgono, con il ritardo di qualche ora, una parte del loro lavoro in quel pubblico servizio, e macellano un animale, un cavallo, destinato a cibo. Ciò a cui si assiste non è, nella nostra società, un male (sia pure necessario), ma un bene pubblico, non tollerato, ma voluto, non circondato da alcun vero tabù. Ma i Ferdinando Taviani modi ovvi con cui ci si procaccia il cibo non possono non apparire, ora, agli spettatori e agli attori che recitano concentrati e impalliditi, come il freddo materializzarsi della morte. Lo spettacolo si svolge senza interferire nel lavoro del mattatoio, in uno spazio contiguo. La metafora teatrale sulla violenza si svolge accanto a una pratica che reputiamo benefica, e che protesteremmo in massa se non ci fosse. Certo, tutto cambia perché «si vede». Ma anche nulla cambia di quel che «si sa»... Attori e spettatori escono all'aperto. Accoccolati ai piedi di un muro, gli attori dicono le parole di Genet su Sabra e Chatila. Alla fine, accompagnando gli spettatori fuori dai cancelli un attore riproduce il discorso di Artaud Pour en finir avec le jujement de Dieu: «J'ai appris hier. .. ». Parla di bambini americani cui viene tolta, per esaminarla, la liqueur séminale. È il discorso registrato dall'attore-poeta poco prima di morire, nel '47, una trasmissione radiofonica proibita, di cui circolava il nastro quasi clandestino negli anni Sessanta. Cose vecchie, diranno quelli che concepiscono la cultura e l'arte come una staffetta. Il 23 luglio compaiono le recensioni dei giornalisti presenti alla rappresentazione del 19: Ugo Volli (La Repubblica), Sergio Colomba (Il Resto del Carlino), Maria Grazia Gregori (l'Unità), Gianni Manzella, Oliviero Ponte di Pino e Gianfranco Capitta (il manifesto), Carlo Infante (Reporter). La recensione di Volli è dura. Le altre sono scritte, con sfumature diverse, come reazioni dirette d'uno spettatore. Il manifesto, con tre articoli, apre un dibattito serio, che sarà subito sommerso dal clamore. Nessuno dei critici presenti allo spettacolo, né Volli né altri, ha colto nella situazione elementi che giustifichino parole di condanna, di esecrazione, di scandalo. Saranno redarguiti, per questo, da alcuni loro colleghi, assenti ma convinti d'aver capito di più e meglio. Intanto, presso alcuni giornali, dopo aver letto gli articoli dei loro inviati, si decide di lavorare sulla notizia. Il Resto del Carlino si limita a aggiungere, in prima pagina, un nuovo pezzo di Colomba dedicato interamente a Magazzini Criminali e alla rappresentazione di Riccione. La Nazione, invece, scarta il pezzo del suo critico e fa intervenire in prima pagina Laura Griffo, che fa una cronaca abbastanza ampia dell'avvenimento cui non ha assistito. Commenta anche l'atteggiamento degli spettatori. Il titolo («Teatro toscano: cavallo ammazzato e squartato in scena») prdude alle successive falsificazioni e soprattutto alla campagna per sottrarre e destinare a altri i parchi finanziamenti e gli umili spazi che Magazzini Criminali s'era guadagnato in questi anni in Toscana. Anche Reporter decide di ricostruire la notizia: schiaccia l'articolo di Carlo Infante sotto titoli che nulla hanno a che vedere con il testo e che lo contraddicono. In prima pagina: «Un gruppo di teatro uccide un cavallo in palcoscenico». In seconda e terza: «Magazzini criminali davvero!», «Ucciso per fare spettacolo ( ... ) Poco scandalo». Mario Fortunato commenta l'avvenimento «a caldo»: poiché non c'era e non gli sta bene quel che scrivono coloro che c'erano, si inventa un gruppo di attori che trascinano un cavallo al centro del proprio spettacolo e gli sparano in bocca. Lancia strali satirici contro gli spettatori, di cui giudica l'atteggiamento confrontandolo con i fatti così com'egli stesso se li è fabbricati. Con i titoli in prima e con due pagine dedicate all'avvenimento, Reporter riesce a trasformare un fatto complesso in una notizia falsa ma chiarissima: hanno ammazzato un cavallo in scena per rappresentare la morte; hanno sostituito la violenza reale alla metafora del teatro. S u questa notizia nuova, che a livello nazionale fa quel che La Nazione aveva cercato di fare a livello locale, si apre ia corl' «Homov»eneziano vivemmo fino alle soglie del neolitico; delle nostre antichissime ossa, delle nostre più antiche prove d'arte e di religione; delle vestigia di altri animali, compagni, nemici o cibo. Per le sale sono disposti calcolatori elettronici dell'lbm, l'altro sponsor, che a domanda rispondono con programmini un po' petulanti e assai ben disegnati. All'ingresso crepita (ci sono anche i lampi) una wagneriana macchina lignea composta di più dischi massicci e giganteschi che ruotando diversamente ma sul medesimo asse portano a spasso per la circonferenza due o tre date molto minacciose. Al mezzo del cammino è la discarica paleolitica (e ultra) di Isernia, il più antico monumento della presenza umana in Europa (dunque l'Italia non ha solo Paestum e Raffaello); impressior1;ante, è illustrata da un delizioso piccolo diorama, come un presepio. In concreto: vetrine paleomuGiorgio S. Luso seali dove un'illuminazione coeva permette di apprezzare, in successione cronologica o di rubriche (flora, fauna, caccia... ), sempre simili ossi, ossicini, denti, ciottoli più o meno rozzamente modificati, schegge polite, pietre, stele, un gran palco di corna antichissime e italiane. Porta chiarezza nel contesto un sistema di minididascalie che, probabilmente in omaggio al look italiano, hanno le misure e la concisione dei biglietti con i prezzi nelle vetrine de~'alta moda ma pronta. Una mostra così era necessaria perché si ponessero con didascalica evidenza alcune domande cui conviene dare seria risposta se vogliamo davvero utilizzare il chiapparello delle mostre per persuadere all'istruzione le masse renitenti ali'osservazione e allo studio, la maggioranza silenziosa e masturbata ormai dal narcisismo fino all'incoscienza. Cosa hanno da dirci, le ornate stanze di una reggiae le antichissime carie? Si può proporre al pubblico frì Venìs, come una meraviglia, un pezzetto di cranio messo lì come per caso, e che Alboino non avrebbe preso in considerazione, al quale neppure Ruggero Ruggeri avrebbe chiesto chi era? Siamo già, come i nostri nonni alla scrittura automatica, alla mo-· stra automatica? Ci facciamo una mostra, come uno sciampo? Una mostra ha un valore in sé, come gidiano atto gratuito? E allora, chi ha buttato giù dal treno in corsa per Venezia quegli intellettuali specializzati che avrebbero dovuto scegliere la sede adeguata per Homo, le vetrine adatte, le luci comunicative, l'ordine comprensibile, le didascalie appropriate? E infine, dal momento che l'antichissima Lucy poi a Venezia non è arrivata, neanche un ossicino, un astragalo, né ha mandato i suoi replicanti, chi l'ha imboscata? È stata lottizzata? È colpa del Sud Africa? Il paese doveva essere informato sa ai commenti e alle condanne. Da questo punto in poi (Io lamenterà la Gregori sull'Unità del 25 luglio, ribadendo che si trattò di una rappresentazione dura, fuori dal normale, ma anche fuori «dall'idea di un teatro che voglia essere patologico, violento e perfino mortuario»), la parola passa in toto a coloro che giudicano senza l'impaccio d'aver visto i fatti. Il 24 luglio, con quattro giorni di ritardo sui fatti ma solo un giorno dopo l'invenzione della notizia, se ne parla ai giornali radio della mattina, ne scrivono Alfredo Todisco (Il Resto del Carlino, prima pagina), Franco Cordelli (Paese Sera), ancora Reporter. La prima pagina del Corriere della Sera inalbera un articolo violentissimo di Roberto De Monticelli, mentre nella pagina degli spettacoli viene inquadrata un'esercitazione ironica di Manganelli accanto a un tentativo di Palazzi di indagare la realtà della notizia. Ma le voci di coloro che cercano di ricordare i fatti, per la sproporzione con l'enormità dell'invenzione giornalistica, sono quasi ridicolizzate. L'invenzione giornalistica ormai funziona autonomamente. La calunnia non ha più remore. Fortunato (Reporter del 25 luglio) scrive di un mondo «che non solo permette, tollera, provoca il delitto. Ma addirittura lo spettacolarizza. E con tanto di finanziamento statale». Rilette oggi, frasi come questa e altre simili non onorano chi le ha scritte. Ma al momento, fidando sul carattere effimero dei fogli quotidiani, creano opinione. Nella stessa pagina di Reporter compaiono una serie di opinioni raccolte fra intellettuali e artisti, tutti chiamati a prendere posizione di fronte alla notizia nuova (gli attori che uccidono in scena un cavallo per rappresentare la morte). Alcuni si limitano a sottolineare con serietà il carattere metaforico del teatro; due o tre sentono odore di montatura e di falso; la maggioranza si lascia andare senza ritegno all'insulto: «artisti dalla fantasia disseccata» (Augias), «Piccoma attende una risposta. D'altronde, anche la signorina Cadillac, grande esperta del settore, diceva che non tutto si deve mostrare. Per contrasto, ricordo una mostra che si può vedere a casa verso le 8 sulla prima rete Rai, non tutte le sere, nel quotidiano Almanacco. Con alle spalle delle belle librerie, indicando qualche pagina di un libro ampiamente illustrato, un grande studioso che in questi anni vuole sciogliere il suo debito di maestro anche verso chi non varca le soglie della Sapienza, racconta in italiano ragionato e elegante, semplice, cosa vuol dire la statua della Sfinge, le stele della Lunigiana (presente a Homo, inspiegata), un rudere della villa di ~ Tivoli. Con lui e per poca spesa ...,. «le pietre raccontano», affabil- l mente, prima di cena. • g e Homo Venezia, Palazzo ducale Luglio 1985
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