Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

Materia e tempo della fotografia Convegno a cura dell'ass. alfa Cultura, Prato Archivio Fotografico Toscano (Prato, Teatro Metastasio, 4 maggio 1985) Italo Zannier Paolo Costantini Cultura fotografica in Italia Milano, F. Angeli, 1985 pp. 360, lire 29.000 AFT rivista semestrale dell'Archivio Fotografico Toscano n. 1, maggio 1985 pp.64, lire 10.000 Fotologia Quaderno di storia della fotografia n. 3, luglio 1985 Firenze, Frat. Alinari, 1985 pp. 112, lire 15.000 T ra i paesi industrializzati, il nostro rimane uno dei pochi in cui la ricerca storica sulla fotografia è affidata quasi per intero a mani inesperte o a qualche «volontario» benemerito. Più volte, e sempre inutilmente, è stato proposto di istituire cattedre universitarie di Storia della fotografia, come punto di partenza per una indagine sistematica, ancora da allestire, sugli Studi fotografici italiani. I metodi di ricerca storica e scientifica che fanno uso, oltre che dei documenti scritti, di quelli fotografici e cinematografici, hanno intanto conosciuto uno sviluppo impetuoso, sicché la «storia con la fotografia» ha rapidamente invaso il campo della «storia dell(l fotografia» (tecnica, ideologica, semiologica). Ma il mondo accademico non mostra ancora vero interesse. È insomma ormai chiara a tutti la necessità di una storia della fotografia italiana più attendibile, una 'grande storia' filtrata dalle spesso ricche esperienze locali, dalla cosiddetta 'piccola storia'. Ma, una volta sciolti i primi nodi (chi fa o dovrebbe fare ricerca e perché?), ne andranno via via affrontati altri: come, dove, cosa conservare? Viviamo in un'epoca di transizione dai tradizionali sistemi chimico-fisici di riproduzione delle immagini a quelli elettronici. Per questo, dunque, va impedita - o almeno contenuta - la dispersione o la distruzione di un patrimonio in stampe e negative a volte fondamentale per conoscere la storia recente. È un patrimonio di valore non tanto commerciale (di per sé, al di là del «culto del feticcio», una foto d'epoca non è necessariamente di pregio) quanto culturale. Perciò il suo è un valore d'insieme, di un sistema di immagini, o anche comparativo, tra più sistemi. Nell'introduzione a Messa a ~ Fuoco. Studi sulla fotografia (Mi- ~ lano, Feltrinelli, 1983), Arturo C. .s ~ Quiptavalle sottolineava come or- ~ mai non fosse più possibile in Ita- ~ lia «una collezione generale, uni- °' -. taria, sufficientemente ampia da l dar conto dei principali nodi cultug rali _dioltre un secolo e mezzo di e produzione fotografica» (p. XII). ~ La colpa era da attribuirsi a ritardi ~ (le pubbliche raccolte) o a man- ~ canza di fondi, carenze di spazi e g personale (il Gabinetto Fotografi- ~ co Nazionale). Le Dell'urgenza di una raccolta sistematica di documenti fotografici in Italia se ne parla da decenni. Nel-1905, nell'Annuario della fotografia e delle sue applicazioni (e, prima ancora, nel Bullettino della Società Fotografica Italiana) Giovanni Santoponte proponeva la costituzione di un «Museo italiano di fotografie documentarie, sotto gli auspici del Touring Club e della Società Fotografica, con sede in Milano e in Firenze», per raccogliere «documenti fotografici concernenti l'Italia geografica nelle sue condizioni naturali e sociali, presenti e passate». Nel maggio 1907 Carlo Errera, in una relazione al VI Congresso /4 geografico italiano di Venezia («Sulla convenienza di ordinare un archivio fotografico della regione italiana in servigio degli studi geografici») invitava a raccogliere e coordinare «una serie ricca, quant'è possibile, di documenti fotografici del suolo e delle genti italiane, scelti e procurati con criterio scientifico e con criterio scientifico raccolti e distribuiti». Ancora nel 1929, in un articolo sul Popolo d'Italia (21 settembre), Nicolò Cipriani sottolineava il ritardo italiano rispetto ad altre nazioni e proponeva la costituzione di raccolte fotografiche annesse alle biblioteche pubbliche più importanti «come reparti autonodissolte Giovanni Giovannetti mi( ... ) dove lo studioso possa consultare contemporaneamente fotografie e libri». Questi testi sono stati ora nuovamente pubblicati insieme ad altri da Italo Zannier e Paolo Costantini in Cultura fotografica in Italia, una prima importante antologia critica di letteratura fotografica italiana, dalle origini (1839) al secondo dopoguerra, assai ricca di indicazioni bibliografiche. M a l'occasione migliore per un grande inventario storico e d'attualità fu sprecata dall'Istituto Luce nel ventennio fascista. Lo ricorda Carlo Bertelli nel secondo tomo degli Annavi:,. eo'1f e{ I ~5 li della Storia d'Italia (Torino, Einaudi, 1979), rilevando che, «conclusa l'esperienza della fotografia di sinistra in Urss, l'Italia era il solo paese dove lo Stato si assumesse l'organizzazione di un grande archivio fotografico. Il Luce rastrellava archivi di fotografi di cronaca ( ... ) ma anche fotografi di opere d'arte (... ) o l'intero Gabinetto fotografico del ministero della Pubblica istruzione» (p. 172). Purtroppo quell'esperienza non maturò, perché ingabbiata nel disegno ideologico del regime e per una certa indifferenza culturale degli intellettuali verso il patrimonio fotografico in generale e la foto storica in particolare. Si è nuovamente discusso di questi temi a Prato, il 4 maggio di quest'anno, al convegno «Materia e tempo della fotografia» che ha sancito la nascita formale e ufficiale dell'Archivio Fotografico Toscano, la più avanzata esperienza italiana di censimento, recupero, catalogazione, tutela di pezzi fotografici (su economia, vita sociale e civile toscana dall'Ottocento a oggi). Alla citata esperienza dell'Istituto Luce e alla frettolosa dispersione e eliminazione del suo patri- • monio nel dopoguerra ha fatto brevemente cenno la relazione di Oreste Ferrari («Istituzioni e fotografia. La situazione italiana»). Purtroppo - ha ricordato Ferrari - non sappiamo nemmeno quante e quali siano le raccolte fotografiche conservate presso le istituzioni civili e militari perché manca un repertorio sistematico aggiornato. È dunque necessario allestire strumenti giuridici per porre vincoli di tutela, per dare cioè agli Enti locali e centrali la possibilità di impedire l'esportazione, il frazionamento e la svendita delle raccolte maggiori, o almeno riservare allo Stato il diritto di prelazione sui fondi. Sulla conservazione delle fotografie è intervenuto Fabrizio Celentano («La fotografia. Conoscere per conservare»). Celentano ha accennato all'immenso numero di immagini, lastre e negative prodotte negli ultimi cinquant'anni: milioni e milioni. Il dato pone un problema: poiché archiviare tutto obbligherebbe a un colossale lavoro di schedatura (si tenga conto che ogni foto ha più chiavi di accesso), ben al di sopra delle possibilità degli attuali archivi elettronici e delle possibilità economiche delle istituzioni pubbliche, bisogna scegliere che cosa conservare (o restaurare o stabilizzare). In questa situazione, sono da preferire le piccole unità e le fototeche su argomenti monografici. S u come conservare, Celentano è stato esplicito: non è possibile prolungare la vita di una fotografia (di stampe su carta e negativi) ai sali d'argento oltre qualche decina d'anni: prima o poi essa deperirà. Questo decadimento ha avuto un'intensificazione paurosa negli ultimi decenni (in Germania alcuni archivi stanno svanendo). Si credeva che tutto ciò fosse dovuto allo zolfo presente nei residui di iposolfito sulle emulsioni (cioè ai lavaggi poco accurati) e nell'idrogeno solforato dell'atmosfera. Ma alcune ricerche recenti hanno stabilito che l'accelerazione di questi anni è da imputare a vari ossidanti, soprattutto all'ossido di azoto presente nell'aria, cioè agli scarichi delle automobili, e a particolari forme di inquinamento degli ambienti chiusi (da leganti fenolici, ad esempio). Insomma, l'inquinamento atmosferico è tra le principali cause del deperimento di foto e negative. Dovremmo dunque rassegnarci a perdere questo materiale, e studiarlo ora sapendo che non durerà in eterno. Al riguardo, si veda il saggio aggiornato di Fabrizio Celentano, «Ma è proprio possibile conservare le fotografie?», ora pubblicato sui «Quaderni» di Fotologia. Nel suo intervento al conv~gno di Prato, Ando Gilardi ha distinto tra «fotografie ai sali d'argento» e «fotografie a inchiostro» (cioè quelle pubblicate dai giornali) perché siccome «delle due a durare è la seconda», allora è essa la «più sociale». Inoltre «costa meno, ha mosso le coscienze o ha ingannato di più». Dunque, secondo Gilardi, l'immagim~ a inchiostro avrebbe più titoli per l'archiviazione e la conservazione. Diverso il parere di alcuni fotogiornalisti presenti: «Dio ne scampi dal voler tramandare unicamente la visione del mondo che propongono i giornali e la tv». Enzo Sellerio, fotografo e editore, ha poi sottolineato che le foto usate dai giornali sono la minima parte di quanto varrebbe la pena conservare. Infatti, molti reportages di grande spessore civile non sono mai arrivati alla carta stampata. Ma, è chiaro, «civiltà delle fotografie» (o delle immagini) non vuol certo dire «civiltà dei fotografi», o almeno di chi non si è fermato alla visione del mondo ufficiale. Proprio perché negata dai giornali, certa fotografia di impegno civile - minoritaria, marginale - andrebbe indagata con più cura e attenzione; altrimenti, la si nega anche alla storia.

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