Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

Memoriadell'antico . nell'arteitaliana a c. di Salvatore Settis tomo 1: L'uso dei classici Torino, Einaudi, 1984 pp. XXVIII-477_,ili., lire 70.000 11 tema del primo volume della nuova serie- della Storia del- , l'arte Einaudi, L'uso dei classici, coordinato da Salvatore Settis, è di quelli che sembrano fatti per consentire prima di tutto prove o sperimentazioni metodologiche e che richiedono senza smentita la plurivocità delle competenze. Infatti, la fortuna dell'antico - cioè tutto l'ingombrante passato che grava sull'arte italiana dal Medioevo in poi con gli esiti più diversi - può essere oggetto di interessi in direzioni contrapposte. L'archeologo in salita verso epoche storiche va a scoprire il percorso in avanti dei materiali di cui si occupa e insieme la storia della propria disciplina. È inevitabile infatti - e L'uso dei classici ne offre una prova - che studiando l'atteggiamento verso l'antico delle varie epoche, dal Medioevo al Rinascimento fino al Neoclassico, si scriva prima di tutto la storia dell'archeologia,. cioè la vicenda di una convivenza prima ammirata e paurosa con le rovine e poi del lento esorcismo che passa per le scoperte e gli entusiasmi rinascimentali e si allarga infine a uha ricerca e a uno scavo sempre-più in profondità, che porta alla luce gli oggetti e i luoghi; l'archeologia come colossale processo di anatoE mersa alla luce della grande rassegna L'altra metà dell'avanguardia, 1910-1940, grazie ai lavori di scavo di Lea Vergine, l'opera di Caro/ Rama è oggi possibile godersela, non senza morsi, in una raccolta antologica, la prima, presentata a Milano, a cura della stessa Lea vergine, nello spazio del Sagrato in piazza del Duomo, reso adatto dal/'allestimento di Achille Castigliani. Le date situate accanto ai lavori, a partire dalla metà degli anni Quaranta, danno conto di un'opera che richiama un genere di lavori, oggi rarissimi, quelli che non smettono di essere in corso. I quali, proprio perché avvengono, è difficile trovarli in corsa da qualche parte sul mercato. Numerosi sono gli scritti pubblicati sul catalogo, che accompagna come d'µso la mostra, ad opera di autori diversi, per qualche verso con lei implicati: Lea Vergine, Luciano Berio, Giorgio Manganelli, Massimo Mila, Edoardo Sanguineti, la stessa Rama, Corrado Levi.. Tutti scritti che testimoniano felicemente l'irriducibilità dell'arte a verbo. L'arte, infatti, non ha verbo. Per indicarne l'attività è necessario ricorrere a specificazioni che designano il fare in questione: dipingere, disegnare, scolpire... Qui, in gioco nei discorsi, più che il fare è l'essere artistadi Caro/ Rama. «Caro/ Rama è un luogo vasto e inesplorato», principia Lea Vergine il suo scritto Carol Rama: eroica, esotica, eretica. «Quando, nelL'usodell'antico mizzazione del mondo. Per lo storico dell'arte che si accinge a decodificare le ascendenze . classiche dell'immagine, il processo è inverso. È la discesa verso un prototipo o una struttura primaria dipanata attraverso i diversi modelli di utilizzo, passando per tutte le avventure del caso, le scoperte fortunose, i calchi, le copie, i falsi. Dentro a questa complessa e accidentata geografia la scuola warburghiana si è mossa dall'inizio del Novecento allargando enormemente il corso metodologico della storia dell'arte e offrendo felicemente ad altri «mestieri» di studio la possibilità di incursioni sempre più frequenti. Ma in genere, soprattutto su temi a grande respiro, i vari «mestieri», quello dell'archeologo, dello storico, dell'iconologo, hanno dato prove separate, non facilmente amalgamabili," anzi si è molto consolidata nel tempo quella predilezione per il frammento, che era stata caratteristica di Warburg, anche per i complessi motivi della sua storia personale. Nel caso dell'Uso dei classici l'interdisciplinarità, dichiarata e necessaria, è piuttosto elemento sotteso al lavoro, esercitato dentro le zone o i segmenti che costituiscono la complessa mappa dell'argomento. E su un tema come questo, sulla citazione dal passato come punto di arrivo delle più varie forme di convivenza con l'antico, un primo grande motivo di merito del volume è proprio quello di essere uscito dalla corrente continua Adalgisa Lugli di un soggetto dal quale è facile farsi portare un po' dovunque, e di avergli dato confini ben precisi che sono, sottintendendo gli aspetti amplissimi della contrapposizione antico-moderno applicabile . ai contesti più diversi e più lontani, l'antico dell'arte italiana, cioè l'antico come.Io formula e lò porta a livello di coscienza il Rinascimento. Questa potrebbe essere una prima avvertenza di lettura e un primo confine entro il quale si dà innanzi tutto la «storia» del concetto, già applicata, cioè seguita attentamente negli aspetti che la portano alla luce anzi, per parafrasare il titolo eloquente del volume, proprio nelle diverse modalità d'«uso» del classico: come segnale-contrasto. rivelatore del presente, come propaganda politica, come veicolo di valori estetici o, più generalmente, come viaggio conoscitivo intorno al proprio paesaggio visibile (le rovine emerse) e invisibile, quelle sospettate o intraviste. Lf altra novità è, come si diceva, la diversificazione degli osservatori che vanno dall'archeologia, alla storia, alla musicologia, novità anche rispetto alla precedente Storia del- /' arte einaudiana, che manteneva, al di là di qualche intersezione ab- •bastanza episodica, la compattezza clisciplinare. Nell'Uso dei classici i diversi punti di vista non vengono dichiarati esplicitamente, cioè non si fa quello che Pound polemicamente esigeva per la critica letteraria quando diceva che «ogni critico dovrebbe indicare le fonti e i limiti delle proprie conoscenze». Leggerei tutto questo, prima di tutto, come una tensione alla compattezza dei contenuti e alla loro·organicità così come viene auspicata nella Nota dell'editore in apertura del volume, in sintonia con quell'invito di lettura che era sempre venuto dalle grandi opere einaudiane e soprattutto dalla più emblematica e dalla più rilevante di esse, l' Enciclopedia: l'invito a guardare in trasparenza, a cercare, più che l'organizzazione ben costruita delle nozioni, i legami profondi del sapere e le sue complesse articolazioni. La sollecitazione per il lettore a costruire i propri sentieri di lettura viene anche dalla denominazione di questa nuova serie: Biblioteca di Storia dell'arte, in cui si allude innanzi tutto a un sapere consultabile nelle sue varie parti ma non offerto a uno stadio di ·organizzazione terminale, e in questo caso un luogo a più strati, penetrabile da diversi corridoi o osservatori che sono i vari saggi, con intrecci e nodi comuni, come le stesse notizie e gli stessi fatti citati qua e là in , contesti diversi a formare i gangli di incontro della struttura. Una biblioteca suppone necessariamente un lettore •che la frequenti assiduamente o che attraverso quella frequentazione, non globale né frettolosa, costruisca da solo la sintesi dentro la frammenl'arte di CarolRama l'estate del '79 - scrive - ebbi tra le mani il catalogo della Galleria Mariano che riproduceva acquarelli dell'artista (noti solo a pochissimi), datati 1936-1941, opere di superba scompostezza, fu evidente che si trattava di una personalità di cadenza europea, e non solo. «Il talento di _Rama risultava strepitoso; anzi talento non era, non si trattava solo di una pittrice ma di un'artista che - giovanissima, non siamo neppure nel '40! - discorreva dei valori della perdita, di fallimento e solitudine, dei massimi conflitti». È il tempo delle sue Appassionate inferme: il volto sereno, il corpo avvinto a solitari letti di contenzione più che di contentezza. Appassionate nude vestite di scarpe, i capelli ritti in testa, misti di fiori. Le lingue disegnate, con effetti di moltiplicazione, in movimento. Lingue, denti, dentiere. Scopini, palette, pissoir. Un'Appassionata giace, senza braccia e senza gambe, in un letto dalle cinghie di contenzione slacciate, le scarpe inutili, deposte a terra. Agli arti che mancano, fanno pendant i rifiuti che crescono. Gli escrementi in uscita, prima di cadere, guizzano serpentini. Dorina ha gli occhi languidi, la lingua fuori, non si sa se per f aria a qualcuno o per piacer suo. Queste Appassionate~ contenute più che contente, sembrerebbero affette da rigori amorosi obbligati. «Non si sa e non si deve sapere - scrive Lea Vergine - se si sta penetrando in Nives Ciardi un quadro, in un sogno, in una pagina di diario, nell'inventario dell'inconfessabile... » Negli anni Cinquanta, Caro/ Rama attraversa a modo suo, un modo che connota tutto il suo lavoro, l'astrattismo. «Dipinge una serie di tele - è sempre Lea Vergine a parlare - dalla geometria esoterica, arcaica. Sono composizioni dove quadrati, ma più ancora losanghe e rombi (aquiloni, bandiere, scrittureparamusicali?) galleggiano su fondi lunari». Dieci , anni dopo, Rama si trova a fare i conti anche con l'informale: «Grumi di materia, colate laviche, deflagrazioni di colori e segni; ma, accanto, l'elaborazione novissima degli oggetti-pittura, oggetti-scultura, oggetti-parola: le unghie-artigli, gli aghi, le siringhe, i ferri attorcigliati, le matasse di filo, le pupille di vetro commiste alle scritte del poeta Sanguineti». Segue il tempo delle gomme di bicicletta: levigate, reinventate, messe poi a fare da sfondo a un abito destinato a nozze. «Ma chi è in verità Olga Caro/ Rama?» Su questa domanda ap-• proda lo scritto di Lea Vergine. Uno scritto che si chiude con una sequenza di coppie impossibili che procedono a braccetto, segnando un percorso che va al cuore del lavoro di questa artista: «'bella e dannata', truculenta e serafica, primitiva e blasée, sconfitta e invulnerabile, gagliarda e astenica, scintillante e ribalda, aristocratica e plebea, perversa e innocentissima, ilare e desolata, gentildonna colta, schiva e laboriosa, guitta e monacata». Al di là di queste coppie irriducibili, il lavoro di Caro/ Rama si sostanzia di verità proprio nella sua tecnica, esente da effetti di tecnologia e da artifici da banditore. Caro/ Rama non copia, non cita, non decora. Non funziona: produce. Graffia, urta, può anche risultare antipatica nel lavoro. Quando parla in•diretta, nelle sue interviste riprodotte nel catalogo, sembrerebbe che ami piacere. Ma questo, forse, non è che uno dei termini di quelle coppie che mostra così bene di conoscere e di frequentare: il contrario di un'altra Rama. Negli scritti contenuti nel catalogo, ricorre l'attenzione in ogni autore a cogliere qualcosa che nel lavoro di Rama viene avvertito come nascosto. Qualcosa che piace proprio perché è così, nascosto, o perché lo si vuole scoprire, o per affidarcisi almeno un po'. Giorgio Manganelli inviene nel lavoro di Rama «un raro gesto di sguardo dal sottosuolo». Massimo Mila in un sapido racconto riferisce di aver serbato i denti suoi, caduti, a che lei li governasse in un'opera, così come è accaduto nel Ritratto di Massimo Mila. / denti, finiti in testa, fanno da criniera dorsale a un animale araldico. A Edoardo Sanguineti «piace supporre, piuttosto, che Carola rappresenti egregiamente il caso del/'artista che prova un brivido di spaventato sbalordimento dinanzi al primo materializzarsi del tazione del tema e dentro le microstorie ·che gli sono proposte. Biblioteca e enciclopedia sono concetti la cui affinità è già stata lungamente dimostrata, ma vorrei insistere sulla vocazione quasi enciclopedica che continua a manifestarsi anche in questa serie di Memoria dell'antico, nel senso molto speciale di offrire una enciclopedia dentro una «voce», se così si può dire, cioè la configurazione di un problema scomposto nei suoi segmenti costitutivi, programmaticamente scavando l'eterogeneo dentro l'apparenza dell'omogeneo. Già la Storia dell'arte era idealmente una continuazione della Enciclopedia einaudiana, anzi ne era una voce unica, ampliata e articolatissima. Ed è di grande suggestione l'idea di una enciclopedia che possa aprirsi a ventaglio facendo di ogni suo lemma una nuova enciclopedia, fino a coprire tutto il sapere, ma realisticamente, potremmo dire, in scala uno a uno, esattamente come la biblioteca~enciclopedia borghesiana va a coincidere col mondo. LI uso dei classici ha in qualche modo l'assetto di una voce enciclopedica, cioè la struttura spontanea· a inventario aperto con ponti di passaggio moltiplicabili in tutte le direzioni. Mi provo a segnarne qualcuno, cioè a percorrere la mappa del volume tracciando alcuni dei percorsi possibili, forse anche i più evidenti, ma certo i più emergenti proprio immaginario più prof on- . do. Che, in Caro/, per altro - è così che conclude - inferno perduto e paradiso ritrovato, costruito specularmente, vengano a risolversi · nella mostruosità dell'erotico e nell'erotismo del mostruoso, ; questo è il suo tratto specifico, il destino di cui testimonia con sofisticata e crudele grazia». A registraree a riferire le parole di Caro/ Rama è invece Corrado Levi, in quale inoltre offre in chiusura di catalogo la letteratura critica esistente sull'opera dell'artista. L'Omaggio di Berio è su carta musicale. A dire quale sia la natura del lavoro di Caro/ Rama è l'affezione che scatta di volta in volta nel- /' incontro con la sua opera. Un'opera che non risente delle ristrettezze dell'attualità. Un'opera che è pienamente contemporanea. Per mezzo dell'insistente dilagare della protesi, Caro/ Rama parla di qualcosa che nell'innesco artificiale riguarda la natura, la quale secondo Leonardo «è piena di infinite ragioni che non furon mai in esperienza». Di queste ragioni Rama dà conto nel suo lavoro, praticando un'esperienza dove «il senso del peccato», come lei lo chiama, le è divenuto (<maestro». Carol Rama Catalogo della mostra a c. di Lea Vergine Milano, Mazzotta, 1985 pp. 82, lire 20.000

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