Boris Souvarine Autour du congrès de Tours Paris, Champ Libre, 1981 L'Observateur des Deux Mondes et autres textes Paris, Ed. de la Différence, 1983 La Critique Sociale Réimpression Paris, Ed. de la Différ.ence, 1983 A contre-courant. Ecrits 1925-39 Paris, Denoel, 1985 Souvenirs Paris, Ed. G. Lebovici, 1985 Statine. Aperçu historique du bolchevisme Paris, Ed. G. Lebovici, 1977, 19852 (trad. it. Milano, Adelphi, 1983) I n Zola, Souvarine è quel terrorista di origine russa che, con una bomba al posto giusto, scatena l'apocalisse sotterranea disintegrando la miniera di Germinai. Boris Lifschitz, altro russo di origine, adottando all'inizio del secolo il nome di Souvarine, adottava dunque un nome di battaglia, e la sua vita si può dire davvero una battaglia. Militante socialista, avversario della guerra in tempo di guerra, esperto della prigione, tra i fondatori del Pcf, delegato e segretario al Komintern, escluso poco dopo la morte N el panorama filosofico di questi ultimi anni si è ripresentata una tradizione di pensiero rimasta lungamente dimenticata, quella della filosofia pratica. Il suo risveglio, maturato in Germania a partire dagli anni Sessanta, ha prodotto una letteratura piuttosto ampia. Alcuni dei testi fondamentali cominciano ora a affacciarsi anche in Italia. Dopo la traduzione di Metafisica e politica di J. Ritter, possiamo adesso disporre di un'altra opera indispensabile per chi voglia orientarsi entro questo tipo di riflessione, Azione, linguaggio e ragione di R. Bubner. Ora, il riferimento a Ritter non è occasionato soltanto da circostanze di carattere editoriale. Metafisica e politica costituisce infatti, nel campo della filosofia pratica, un orientamento sensibilmente diverso da quello nella cui direzione si muove Bubner. Mentre ciò che preme a Ritter è unificare il polo dell'agire con il quadro di riferimento dei valori etico-politici, lo sforzo teorico di Bubner è al contrario indirizzato a un'analisi del concetto di azione che intende prescindere metodicamente da ogni riferimento etico-morale o politico. L'agire, così isolato da connessioni eterogenee o esteriori, rappresenta infatti il nucleo centrale intorno al quale ruota il discorso di Bubner. L'etica filosofica, o la filosofia politica, in quanto si rivolgono all'agire morale o a/l'agire politico, impediscono un'indagine neutrale dell'azione in quanto tale. Per obbedire al proprio intento metodico, Bubner si rifà all' antistalinista di Lenin, si fa critico e storico di questi grandi avvenimenti di cui è stato testimone-protagonista, e lo resterà senza riposo per oltre mezzo secolo: la morte, il 1 ° novembre 1984, ha interrotto lavori ancora in corso dello scrittore quasi novantenne. Fatto bizzarro, Souvarine è «esploso» editorialmente proprio quasi in coincidenza con la morte, attraverso tutta una serie di edizioni e riedizioni che sono altrettanti frammenti di un mosaico-panorama del nostro secolo. Per esempio la ristampa della sua rivista degli anni Trenta, La Critique Sociale, è un contributo alla storia non solo politica, ma anche letteraria e filosofica della Francia di quel tempo - basta guardare i nomi di alcuni collaboratori: Bataille Leiris Queneau Simone Weil ... ; i suoi Souvenirs sono una testimonianza, tra l'altro vivacissima, su amici come Babel', !strati, Pierre Pascal - e così via. Non bisogna tuttavia dimenticare che vita e carattere gli hanno assegnato soprat- 'tutto una parte: quella di oppositore dello stalinismo (lo stalinismo che travalica per lui largamente il fenomeno Giuseppe Stalin). Questa sua opposizione sistematica è apparsa a molti indizio di limitata consistenza e vista corta; alla fine degli anni Trenta la penna feroce di Trockij lo mordeva proprio in quel punto delicato: «ex pacifista, ex comunista, ex trockista, ex comunista democratico, ex Sergio Sacchi marxista, si direbbe quasi ex Souvarine... la sproporzione tra volontà critica e impotenza del pensiero lo corrode come un acido: vive così in uno stato costante d'incoercibile 1rntazione». Lo stesso Souvarine era persuaso del suo isolamento, convinto di scrivere «per cinque o sei persone» (gli unhappy few)~ eppure ricordiamo che in quel preciso momento (e sempre sul tema del dissidio tra morale e politica) Trockij stava polemizzando anche con altri militanti della prima ora come Ciliga e Serge Eastman. Che queste e altre minoranze siano state spazzate dall'area del potere non vuol dire spazzarle dall'area della storia: i profeti armati hanno il potere, ma non necessariamente la storia per loro e, amara vendetta, la storia finisce per assomigliare sempre più a ciò che avevano annunciato quei vinti, pur privi delle armi per dominarla. Possiamo restare stupiti vedendo nel '35 Souvarine, storico e uomo politico, riconoscere «la più grande sconfitta del socialismo» in un fenomeno che sembrerebbe piuttosto pedagogico-letterario, fenomeno di «depravazione collettiva» per cui a bambini e adolescenti viene inculcato «l'esatto contrario di una dottrina, ma conservando gli stessi vocaboli». Parole gravi, che ritornano come un Sos in tutta la sua opera, perché, in realtà, servono a descrivere quell'atrofia tutta moderna del reale, sostituito a poco a poco, nella vita di tutti, da immagini e sogni di massa. N on sono pochi ad accorgersi, fin dagli anni Venti, che dietro la faccia evidente della luna l'altra faccia indicibile di fatto poteva essere il contrario di tutte le credenze e volontà. Nel marzo '22 lo stesso Lenin aveva espresso il suo turbamento paragonando il regime rivoluzionario a una macchina sfuggita al controllo di chi pur crede di guidarla - quasi che a guidarla in realtà fossero altre mani segrete (cioè per lui le influenze borghesi presenti nello stesso apparato statale sovietico). Ritorno del rimosso? Non solo, per l'allora bolscevico - d'opposizione - Pierre Pascal, che citando i casi del Kuomintang cinese e del fascismo italiano annotava nel suo diario moscovita, cinque anni dopo: «I bplscevichi hanno inventato un nuovo apparato statale, che la borghesia d'Occidente e d'Oriente ha adottato col più grande successo»... Altri testimoni credono di scoprire un'altra e diversa identità dei contrari (uniti per altro sotto il segno comune della modernità): così in quello stesso '27 il viaggiatore Fabre Luce ritrova nella Russia bolscevica l'America (sia pure un'America «che ha fallito»)- più esattamente, una sorta di capitalismo «spinto all'estremo» - allo stesso modo, proprio nel campo Agire se!!!! morale /ora alla tradizionale distinzione aristotelica tra agire e lavoro ovvero tra prassi e produzione - praxis e poiesis -, che si differenziano in relazione ai fini che operano da «in-vista-di-cui» della rispettiva attività. Mentre cioè la poiesis si volge ai prodotti oggettivi che essa costruisce, e che in ultimo sussistono indipendentemente dal/'attività stessa, «la prassi si concentra interamente sul compimento in sé, realizzando il proprio fine nell'atto» (p. 62). La distinzione di base della prassi dalla produzione serve appunto a delimitare quel tipo di attività che definiamo azione. La prassi è quindi quel genere di attività, di azione, che non produce un risultato separabile dal/'agire stesso, ma che instaura una connessione indissolubile tra l'attività che si mette in moto in vista di un determinato fine e al fine stesso. La ripresa della posizione aristotelica obbedisce a/l'intenzione di porre in chiaro la struttura generale dell'azione umana, nella sua accezione unitaria e fondamentale. È situandosi da questo angolo visuale che Bubner sottopone a indagine critica tutte quelle illustrazoni del/'agire che vanno al di là della definizione come tale. Per esempio, la spiegazione teleologia, che lo pensa in riferimento alla relazione fine-mezzi; la spiegazione causale, che descrive l'azione come un caso particolare dei decorsi causali modellati sull'oggettività dell'accadere naturale; e infine la spiegazione intenzionale, che si concentra sulla risposta a una interrogazione sui motivi. Tutte queste teorie mancano, per Bubner, l'agire come tale, in quanto sono orientate in primo luogo a fondare una connessione sistematica fra agire e linguaggio. Mentre per la filosofia pratica - e qui si inserisce la polemica sollevata contro Wittgenstein e i teorici degli atti linguistici (ma le obiezioni investono direttamente Habermas e la sua proposta di una razionalità dialogica) - agire e linguaggio operano su piani diversi. La valutazione delle finalità è un problema pratico che non può essere deciso sul piano della comunicazione. Questa valutazione non rientra quindi nell'analisi del contesto azione-linguaggio, ma nell'ambito della ragione pratica. L'agire può essere compreso soltanto se si evita di scindere lo scopo che si desidera realizzare dall'atto compiuto. L'esame della possibilità della ragione pratica riconosce quindi una differenza strutturale tra il perseguimento pratico degli scopi e il comportamento linguistico - ma anche quello morale e politico. Bisogna parlare «della ragione pratica senza intendere con ciò un contributo ali'etica filosofica» (pp. 186-87). E bisogna inoltre affrontare il problema della possibilità della ragione pratica in modo tale da prescindere anche dalla ragione scientifica, e rinunciare ai suoi modelli di formalizzazione del comportamento razionale. Rifacendosi a Aristotele, Bubner definisce un tipo particolare di ragione (ma ragione pratica, appunto), che si applica sul ruolo del comportamento comune senza per questo perdere di razionalità. Rispetto alla conoscenza scientifica, «la saggezza pratica non è meno razionaìe, ma è razionale in un altro modo» (p. 217). La prassi, o. agire, fa uso di una ragione diversa da quella che definisce la ragione teoretica - e che tuttavia è altrettanto, anche se diversamente, ragionevole. A questo punto, è possibile 'formalizzare' la razionalità immanente alla prassi? La risposta di Bubner è positiva. Scartando i modelli della filosofia trascendentale, del pensiero utilitaristico e della razionalità dialogica - che in comune hanno il torto di dissociare la ragione dalla prassi - egli si riferisce programmaticamente al sillogismo pratico di Aristotele. Esso opera come funzione del giudizio, come formalizzazione della phronesis, della saggezza pratica. La phronesis è la ragione che ha il merito, per Bubner, di portare al concetto la razionalità propria della prassi. È la razionalità del- !' opportuno e del conveniente, e si esercita nella concretezza della situazione di volta in volta data, quindi come capacità di adeguarsi a situazioni sempre diverse e continuamente mutevoli, e perciò come attitudine a decidere entro uno scenario dai confini sfuggenti e instabili. Si tratta pertanto di una razionalità esente dalle pretese assolute caratteristiche della ragione scientifica, rispetto alla quale acquista la fisionomia di un sapere dalle pretese limitate e deboli. Se da ciò deriva un'immagine del/'agire sottratta al decisionismo brutale o all'attivismo cieco, il concetto di phronesis non manca delicatissimo della cultura per Joseph Roth questa nuova Russia avviata a diventare «paese urbano, cittadino, borghese» è rimasta finalmente senz'altre risorse che un inconscio «adeguamento» ali' «America spirituale» (che davvero neanche l'Unione Sovietica abbia potuto evitare per certi versi il destino del secolo? situazione che poi forse chiariranno gli sforzi spesso disperati di decollo e autonomia del Terzo mondo ... ). Negli anni Venti testimoni sul posto (Pascal, l'operaio belga Lazarévitch) vivono i risvolti quotidiani di questi grandi processi storici: intensificazione del lavoro operaio (mediante cottimi e aumento dei ritmi), diminuzione diretta o indiretta dei salari, precarie misure di sicurezza sul lavoro ... Lazarévitch dovrà conoscere anche la prigione, per essere infine espulso dal paese nel '26; la sua testimonianza (pubblicata dai metalmeccanici di Liegi con lo stesso esordio con cui Lissagaray aveva aperto la sua Histoire de la Commune: «perché si sappia») è tutta una rude requisitoria contro la «nuova classe di intellettuali abilmente travestiti da alleati del movimento operaio» e che dalla fine della guerra civile hanno di fatto operato per mantenersi al potere «contro i proletari» («metà della Russia guarda l'altra lavorare, facendo addizioni», scriverà Dorgelès nel '37: per lui alla falce e martello dello stemma è il caso duotuttavia di dar luogo a qualche perplessità. Afferma Bubner: «la phron.esis si orienta su Phronimos, vale a dire: su colui che esercita la ragione pratica» (p. 228). Non c'è, ovviamente, saggezza senza l'uomo saggio. Ci si potrebbe però chiedere se non sia oggi divenuto problematico, o addirittura irreale, quest' ideale di soggetto in grado di deliberare ponderatamente facendo appello al proprio patrimonio d'esperienza e alla propria unità e integrità sostanziali. Se, cioè, questa immagine dell'uomo non si configuri ancora secondo i tratti dell'umanesimo tradizionale, classico nel senso letterale del termine. E se è in questo sfondo che va situata l'impostazione data da Bubner alla filosofia pratica, non si può non riconoscere come essa tradisca un orientamento restaurativo - proprio perché, sebbene abbia saputo liberarsi dalle condizioni fatte calare sulla prassi da una ragione forte, epistemica, non ha potuto fare a meno di rinunciare al suo ultimo presupposto: quello di un soggetto certo della propria unità grazie all'integrità della propria esperienza. R. Bubner Azione, linguaggio e ragione Bologna, Il Mulino, 1985 pp. 295, lire 25.000 J. Ritter Metafisica e politica Casale M., Marietti, 1983 pp. 215, lire 27.000
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