Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

L a canzonetta di Atlas Ufo Robot ben sintetizza il progressivo consumarsi nell'immaginario collettivo della grande, inquietante metafora dell'Automa. L'uomo e il robot - il primo come modello del secondo, il secondo come simile artificiale del primo - hanno sempre affascinato e ispirato: non c'è bisogno di citare degli esempi per ricordare che la relazione uomo-macchina è stata nella letteratura e nel pensiero umani costantemente motore di riflessioni sulla natura dell'uomo, di costruzioni di utopie avventurose, paradisiache o infernali che fossero. Tutto ciò sparisce nella allegra marcetta di Atlas Ufo Robot. La cibernetica viene 'mangiata', consumata, svilita: la macchina perde i connotati inquietanti e utopici, è lì e tanto ci basta. Ma perché prendersela con una canzonetta? Perché lo svuotamento della metafora dell'automa non è presente solo in prodotti bassamente commerciali ma riaffiora in forme diverse in campi in cui esso ha effetti ben più profondi ed è sintomo di un pauroso vuoto di interpretazione dei mutamenti cui stiamo andando incontro in dipendenza dalla rivoluzione informatica. L"alfabetizzazione' e la divulgazione informatica che stanno ' oggi avendo uno sviluppo tumultuoso si presentano in forme estreme di banalizzazione. «Imparate il Basic la lingua del futuro» non è solo lo slogan che ha accompagnato il lancio di una delle numerose enciclopedie a dispense dedicate al calcolatore, ma il messaggio implicito in gran parte dei corsi che vengono offerti agli insegnanti, ai giovani, ai cittadini. E in ultima analisi è coerente con questa impostazione la tecnicizzazione dell'insegnamento dell'informatica nelle scuole medie superiori e nelle università, con il suo ridurre l'informatica a una particolare forma di ingegneria fortemente matematizzata. La stessa cultura prevalente fra i ricercatori nelle discipline informatiche e da essi diffusa all'esterno fa sì che l'immagine di sé che l'informatica propone attraverso i loro articoli sia in generale neutralizzata e neutralizzante: il carattere 'rivoluzionario' dell'informatica non viene fatto emergere, proposto alla discussione, ma invece si sottolineano le analogie tra l'informatica e le altre discipline - in particolare la matematica, di cui l'informatica sarebbe una particolare branca applicativa-, si propone il calcolatore come una applicazione tra le altre delle tecnologie microelettroniche. Anche nella immagine dell'informatica che molti intellettuali di cultura umanistica propongono nei loro rari interventi su questo terreno riaffiora il fenomeno della ...... ~ neutralizzazione della metafora i::s dell'automa. In particolare, nelle i:: -~ formulette tranquillizzanti del tipo t::). «il c~lcolatore è una macchina stupida che istupidisce» con cui spesso si liquida l'argomento, si possono scorgere i sintomi del rifiuto di cogliere l'occasione dell'apparizione del calcolatore per riprendere a ragionare sulla natura dell'intelligenza umana, sulla sua riproduci- ~ bilità, sugli effetti che macchine l sempre più sofisticate possono ~ avere nella società ecc. N elle sue Ricerche filosofiche (Torino, Einaudi, 1967) Ludwig Wittgenstein mostra come l'interrogarsi sulla macchina e sull'uomo, anche ponendosi le domande apparentemente più semplici, può essere l'occasione per aprire riflessioni di grande suggestione: «Potrebbe pensare una macchina? - Potrebbe provar dolore? Ebbene, dobbiamo dire che il corpo umano è una macchina così fatta? È certo, però, che gli manca poco per essere una macchina così fatta. - Ma una macchina non può certo pensare! - Questa è una proposizione empirica? No. Solo dell'uomo, e di ciò che è ad esso simile, diciamo che pensa. Lo diciamo anche delle bambole e magari anche dei fantavf, I -r I T l.. e, smi. Considera la parola 'pensare' come uno strumento!. .. » Da un versante opposto, quello di chi considera il pensiero riproducibile in termini di elaborazione puramente simbolica e con un gioco scintillante di metafore, rimandi e incroci tra opere di natura e carattere molto diversi fra loro, W. Hofstadter ( Godei, Escher, Bach, Milano, Adelphi, 1984) ragiona sulla natura meccanica del pensiero accendendo una serie di lampi che propongono una immagine 'alta' dell'informatica. Ecco, è da questo punto di vista che può e deve essere affrontata l'informatica. Qui essa offre anche al nostro immaginario occasioni molteplici di riflessioni, di fantasie, di discussioni che arricchiscono l'immagine di noi stessi che lentamente ci costruiamo, contrastando il consumarsi delle metafo re che la cultura ci ha proposto in un vuoto annichilente. Ma su questo terreno l'informatica incontra immediatamente il linguaggio. È infatti nel linguaggio che l'informatica diventa occasione per interrogarsi, per creare nuove possibilità. G. Majorino e A. Porta hanno messo in luce (al convegno «Bambini in rima», svoltosi nell'aprile 1985 a Milano) l'importanza dell'insegnamento della lingua italiana per dare ai giovani capacità di costruirsi e mantenere una identità nella so~ietà tecnicizzata in cui viviamo. Ma l'importanza del linguaggio non ha solo una motivazione per così dire 'difensiva'. Sostiene Edsger W. Dijkstra, uno dei più prestigiosi informatici viventi, che un buon programmatore deve possedere una piena padronanza della prop_rialingua natiA R. B v.S va, parlata e scritta, e una predisposizione ·per la matematica (Selected Writings on Computing: A persona/ perspective, Berlin - Heidelberg - New York, Springer, 1982). Le motivazioni per questa maggiore enfasi sulla competenza linguistica rispetto a quella matematica sono molto interessanti per il nostro discorso. Dijkstra sostiene che solo con una grande padronanza della lingua un programmatore può convincere se stesso e gli altri che il programma che intende fare o ha fatto è davvero utile. Insomma, il linguaggio è lo strumento con cui non solo ci si difende dalla invadenza delle macchine ma anche si è capaci di usare in modo innovativo, creativo, le macchine stesse. Macchine e programmi, hardware e software, sono ciò di cui si parla, non ciò che si parla. L'informatica, da questo punto di vista, è qualche cosa di più della scienza dei calcolatori, come la definiscono gli americani ( computer science), ma anche della scienza del trattamento dell'informazione, con strumenti elettronici, come la definiscono gli europei (informatique, informatica appunto): essa può essere considerata, infatti, la scienza empirica della complessità (su questo tema si veda il mio «Informatica e trasformazione del sapere», in Skill l, 1, 1983). I sistemi complessi, attorno al cui studio sono sorte nel dopoguerra la cibernetica e la teoria dei sistemi generali, trovano nei sistemi informatici i modelli empirici che consentono di far uscire la complessità dalla nebbia del vago, dalla logica del tuttavia, per offrire a essa dei modelli falsificabili, delle verifiche empiriche. via relazioni nascoste tra i costutuenti di un testo, mettendone a nudo le relazioni costitutive, spiegandoli (su di essi si può vedere il recente G. Tonfoni, La comunicazione cambiata, Milano, Jackson, 1985). Insomma, l'informatica può divenire uno strumento nuovo e potente per imparare ad ascoltare la poesia, per accrescere le capacità di leggere in modo multiforme un testo, di riconoscere in esso con sicurezza le trasgressioni che ne segnano il ritmo interno, proprio perché rende piena la conoscenza della regola che viene trasgredita. Da questo punto di vista, anche la creazione interattiva di testi letterari è un esercizio che evita l'equivoco della poesia del dilettante, ma si configura come una compo- . nente essenziale di una disciplina ·?"' dell'ascolto. .-:.,,.-,_ Dall'altra parte, l'informatica crea un nuovo universo espressi- . vo, un nuovo dominio di possibili- ;; • ,:,· tà per la creatività dell'uomo, del- ~ l'artista. È la possibilità di creare oggetti che sono indipendenti dalla forma con cui li rappresentiamo, e che quindi possono avere e ome scienza empirica della complessità, che nasce nel linguaggio, l'informatica può anche entrare in contatto con la poesia, su due terreni molto diversi fra loro. Da una parte, infatti, l'informatica consente di analizzare, riconoscere, scoprire, manipolare morfologie espressive linguistiche. Le strutture delle forme letterarie, la Morfologia della fiaba di V. Propp (Torino, Einaudi, 1966), come gli Esercizi di stile di R. Queneau (Torino, Einaudi, 1976), trovano una nuova evidenza in programmi che sono in grado di realizzare testi basati sulle strutture da essi definite. Inoltre i programmi di Intelligenza Artificiale che manipolano materiali linguistici, simulando in contesti locali e particolari i meccanismi linguistici propri degli esseri umani, se non hanno valore, a mio avviso, sul piano della caratterizzazione della intelligenza umana, svelano tutta- ·:, molte rappresentazioni diverse ma tali che modificandone una si modificano tutte. Forse un esempio può aiutare a capire quello che intendo dire. Un insieme di dati statistici può essere rappresentato con una tabella di valori percentuali, con una tabella di valori assoluti, con un diagramma a colonne, con un diagramma a torta ecc. Quando usiamo la penna su supporti cartacei, come facciamo quando scriviamo, ogni rappresentazione è l'oggetto che ••rappresenta. Se vogliamo quindi modificare la distribuzione statistica che tutte quelle rappresentazioni· rappresentano, dobbiamo modificarle tutte, una per una. Se invece modelliamo una distribuzione statistica su un supporto elettronico, possiamo rappresentarla in tutti i modi che vogliamo, senza che essa perda la caratteristica di essere un unico oggetto rappresentato in forme molteplici, per cui possiamo cambiare tutte le rappresentazioni della distribuzione statistica, semplicemente modificando l'oggetto attraverso una qualunque delle sue rappresentazioni. Ecco, questa possibilità di avere molteplici e diverse rappresentazioni di un oggetto, che può mutare mutando tutte le sue rappresentazioni simultaneamente, apre uno spazio di possibilità per la creatività dell'uomo in campo artistico, musicale, espressivo che non era dato prima dell'elettronica, e che merita di essere sperimentato e frequentato. Ma, concludendo, alla base del rapporto tra informatica e poesia, tra informatica e creatività vi è il nodo del linguaggio: non è solo per salvare la creatività dalle macchine, ma per avere la possibilità di usare le macchine in modo creativo, che serve una padronanza della lingua più piena di quella che era garantita, pressoché a tutti, fino ad ora. Quanto più la società diventa complessa, tanto più si aprono nuove possibilità, che richiedono però una strumentazione linguistica sempre più raffinata e complessa. Su questo terreno si gioca, in fondo, la sfida della tecnologia.

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