Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

ambientali delle grandi dighe), abbiamo dedicato una intera sezione ai metodi tradizionali di irrigazione che - come dimostriamo nel libro - sono gli unici sostenibili e non creano i tremendi problemi sociali e ambientali connessi ai metodi moderni. Ancora, alla Conferenza sulla desertificazione dell'Unep ~ la sezione ambiente dell'Onu ..:.s.i concludeva che l'unico metodo per prevenire un ulteriore degrado . delle terre ai confini del Sahel era il tornare a una qualche forma di pastorizia nomade, simile a quella che è stata praticata per migliaia di anni. Non si può dire nemmeno che i popoli primitivi soffrano di denutrizione - e lasciamo da parte la morte per fame - che, come rileva William Dando nel suo eccellente The Geography of Famine (La geografia della fame), è un fenomeno in gran parte prodotto dal1'uomo, la cui incidenza e gravità è andata aumentando con lo sviluppo del sistema di mercato. Gli abitanti dei villaggi della Tanzania sono meglio nutnt1 quando la loro economia formale è depressa - e non quando è sviluppata. Questa gente - cosa particolarmente importante - non crea nessuno dei problemi che oggi minacciano la sopravvivenza stessa della nostra specie sul pianeta. Non abbattono i loro alberi né desertificano i loro terreni, non inquinano l'aria che respirano né l'acqua che bevono. Al contrario di noi, essi non mutano addirittura la composizione chimica dell'atmosfera, né minacciano di destabilizzare il clima su scala globale. Neppure fabbricano bombe atomiche. Per ironia della sorte, lei sta cercando di finanziare l'annichilimento del loro modo di vita - per poterli riscattare dalla loro «povertà». Vendere il proprio cibo Probabilmente la ragione più ovvia per cui lo sviluppo non può costituire la soluzione alla malnutrizione e alla fame è che il Terzo Mondo, per potere finanziare questo sviluppo, deve poter guadagnare una gran quantità di valuta estera, e per ottenere ciò, questi paesi devono innanzitutto svendere le loro foreste. Il miracolo indonesiano è stato finanziato così. È anche, in buona parte, il modo in cui la Malesia ha finanziato il suo sviluppo economico e in cui ora la Nuova Guinea sta cercando di finanziare il proprio. Vedremo più avanti quali sono le conseguenze della distruzione delle foreste nel Terzo Mondo. Ciò che qui va sottolineato è che una volta che hanno cancellato le loro foreste, i governi del Terzo Mondo devono convertirle in piantagioni e pascoli per il bestiame, come fonte di valuta estera. Infatti, in molti paesi del Terzo Mondo, oltre il 50 per cento delle terre coltivabili è utilizzato per produrre raccolti per l'esportazione (i cash-crops) e siccome questi paesi sono sempre di più a corto di valuta estera - a causa dell'alto costo del petrolio e dei crescenti interessi sui prestiti - sempre più terra viene distolta dalla produzione di cibo per la popolazione locale, già malnutrita, e è destinata a produrre cibo da esportazione. ~ L'economista cileno Manfred c::s A. Max-Neef mette in rilievo quei;:: -~ sto punto in modo eloquente. «I ~ paesi sviluppati - scrive - costringono il Terzo Mondo a pagare i debiti. L'unico modo con cui questi lo possono fare è producendo cash-crops. Ciò impedisce l'agricoltura di sussistenza. L'aiternativa al pagamento dei debiti impagabili è il suicidio. Cos'è più im- ~ portante: il nostro sistema banca- l rio o la vita umana?» Questo, in- ~ fatti, è il nocciolo della questione. Marcus Linear, in The Ecologist, ha poi spiegato come la Fao stia progettando di eliminare la mosca tse-tse su un'area di 7 milioni di kmq, parzialmente a foreste, dell'Africa Centrale, in modo da poter trasformare quella terra in pascolo per la produzione di carne da esportare negli Usa. È probabile che il Fondo per lo sviluppo della Cee si convinca a finanziare il progetto della Fao, anche se deve ancora decidere. Nonostante più del 15 per cento dei bambini sia malnutrito, il governo indiano sta cercando di aumentare le proprie esportazioni di cibo. Può davvero credere che una politica di questo tipo sia realmente negli interessi della gente? Può davvero credere che sia pur lontanamente concepibile nutrire le centinaia di milioni di persone che soffrono la fame, costringendoli a vendere sempre maggiori quantità del loro cibo? Ciò che trovo particolarmente deprimente è che la vostra politica agricola continua a essere influenzata dalla Fao, che per molti anni è stata sotto il completo dominio dell'industria agro-chimica, la cui rappresentante, la Gifap, fino a poco tempo fa ha occupato spaziosi uffici nel quartier generale romano .della Fao, e che organizzò, in modo strumentale, la World Food Conference del 1974. Le politiche della Fao acquista- ·no senso solo se viste nella loro vera luce: fornire mezzi per massimizzare le vendite dei prodotti agro-chimici, la disponibilità di cibo a basso costo, in particolare di carne, per l'industria alimentare dell'Occidente. È questo che voi contribuite a realizzare finanziando i progetti ispirati dalla Fao - a costo di creare la povertà e la fame, di cui oggi stiamo solo iniziando a dare testimonianza. !..-' .. Ht P f o L y 7 J.. ~ _A ")' A R J> La distruzione dell'ambiente nel Terzo Mondo Un'altra maniera con cui le vostre politiche danno luogo a fame e povertà è quella di provocare i più terribili disastri ambientali. Normalmente siamo portati a credere che il degrado dell'ambiente sia una faccenda che riguardi il ricco, dato che il povero, come ci dicono, è interessato solo ai benefici materiali e ai posti di lavoro che le imprese forniscono, provocando in tal modo quel degrado. Questo è, naturalmente, puro e semplice nohsense. La verità è che oggi il degrado 'dell'ambiérite ·è 'la causa principale dLpbver.tà:-~,dif·~-~ me nel mondo. La tragedia di cui siamo testimoni oggi in Africa, più che essere il risultato di una siccità imprevedibile e inevitabile, o in altre parole di un atto divino, non è altro che il risultato di un degrado ambientale, avvenuto per lo più dopo la seconda guerra mondiale. Questo degrado è stato finanziato in gran parte da banche per lo sviluppo come la vostra. In mòlte delle aree dove si dice che ci sia siccità, non c'è stata una riduzione delle precipitazioni piovose. In realtà, a diminuire è stata la capacità del terreno di trattenere l'acqua a causa ·del supersfruttamento richìesto dall'agricoltura intensiva e dai diboscamenti. Allo ste.sso tempo, laddove si è verificata una diminuzione delle piogge, questa ha provocato conseguenze ben più gravi di quelle causate da eventi simili nel passato, sempre in conseguenza del degrado ambientale e perché gran parte della terra un tempo usata dai pastori nomadi per nutrire il proprio bestiame è stata loro sottratta per produrre cash-cròps - ad esempio nel Sahel, per la coltivazione intensiva di arachidi da esportare in Francia. Le conseguenze del diboscamento Il diboscamento costituisce un altro motivo di questa devastazione, e lei sembra non coglierne tutte le implicazioni. Le popolazioni tradi- • zionalLdelle foreste, che un tempo costituivano la maggior parte dell'umanità, sono totalmente dipendenti dalla foresta per il mantenimento della loro identità culturale e per la loro stessa sopravvivenza materiale. Questo significa che l'e1iminazione delle loro foreste li ,condanna a un terribile impoverimento biologico e culturale. Un'altra ragione per cui lei può non comprendere gli effetti tremendi del diboscamento è che, nelle aree temperate in cui noi viviamo, esso può avvenire con una relativa impunità. Ai tropici, invece, le condizioni sono completamente diverse, e questo è un fatto -che non potrebbe essere più evidente. lnfa_tti, in tali aree, il diboscamento conduce inevitabilmente alla trasformazione dei fiumi in torrenti, al seccarsi dei corsi d'acqua, a primavere asciutte, e all'erosione e desertificazione del terreno rimasto privo delle difese naturali contro i venti e contro le forti piogge monsoniche. Ciò che è peggio, mentre nei climi temperati le foreste tagliate spesso possono ricrescere - sebbene in forma un po' più degradata - ai tropici, una . volta rimosse, esse sono - almeno sulla scala dei tempì storici - perse per sempre. Il dipartimento di Stato Usa, come lei •indubbiamente sa, ha finalmente compreso questa situazione e infatti ora la dirigenza dell'Usaid si è impegnata a non finanziare alcun progetto che comporti la distruzione di foreste tropicali. Nella sua Fairfield Osborn Memoria/ Lecture, lei ci racconta che «per una questione di politica generale, noi non finanziamo un progetto che comprometterebbe seriamente ·1a salute o la sicurezza della gente, che causi un deterioramento ambientale grave o irreversibile». Sfortunatamente non è così. Il progetto Polonordeste, il progetto Bastar, e ancora peggio in India il progetto Narmada, descritto in dettaglio nel secondo volume di The Socia/ and Environmental Effects of Large Dams, producono tutti questi effetti e, cosa ancor più grave, voi continuate a finanziarli. Infatti, anche se voi potete imporre delle condizioni ai governi nazionali come parte degli accordi per i prestiti che firmate, queste sono inevitabilmente insufficienti e - come lei sa fin troppo bene - raramente vengono rispettate e raramente lo saranno. Inoltre, se lei veramente seguisse questa politica, Robert O'Blake, presidente del Tropica! Forestry Working Group (Gruppo di lavoro sulle for'este tropicali) di Washington, non avrebbe dovuto scriverle la lettera nella quale le chiede accoratamente di desistere dal finanziare progetti che possono avere come unica conseguenza la distruzione di quanto rimane delle foreste umide. Naturalmente, c'è ancora un altro motivo per cui lei non capisce l'importanza delle foreste ai tropici. La sua organizzazione - come ho saputo inorridito alcuni anni fa, conversando un pomeriggio con il suo direttore per la ·Forestazione a Washington, Spears - si rifiuta di fare una distinzione tra una foresta tropicale e una piantàgione di piante esotiche a crescita rapida messa su dall'uomo. Una piantagione può essere in grado solamente di rendere in termini finanziari; in modo da mettere i proprietari nella condizione di potere restituire il denaro che lei gli ha concesso in prestito per impiantarla. Ma una piantagione non è in grado di soddisfare nessuno dei bisogni indefinibili che una foresta naturale copre per i suoi tradizionali abitanti, e per cui essi ne sono totalmente dipendenti per la loro sopravvivenza. Una foresta tropicale è, nelle parole di Sunderlal Bahuguna, il grande leader del movimento Chipko dell'Hjmalaya, fornitrice di «terreno, acqua e aria pura» - la vera fonte di vita - mentre una piantagione fornisce «legname, resine e scambi con l'estero» - sorgente di benessere per una ristretta minoranza. Diboscamento Il diboscamento, inoltre, può condurre a mutamenti climatici a livello locale, come è già avvenuto in diverse aree. Oggi, con ogni probabilità, un ulteriore diboscamento potrebbe condurre a una catastrofe climatica su scala globale e irreversibile. Già alla Conferenza di Reykjavik del 1977, quattro dei più autorevoli climatologi del mondo (Kenneth Hare del Canada, Hermann Flohn della Germania federale, Tom Malone e Reid Bryson degli Usa) dichiararono che, se continueremo a bruciare combustibili fossili e ad abbattere le foreste ai ritmi attuali, una catastrofe climatica su scala globale sarà inevitabile - posizione oggi condivisa dalla maggior parte dei climatologi importanti. Da allora, molto si è imparato sui meccanismi globali che si sono evoluti negli ultimi tre miliardi di anni, per assicurare una stabilità climatica al pianeta, in assenza della quale la vita sarebbe divenuta estremamente difficile. In particolare, oggi appare piuttosto chiaro che se noi alteriamo la struttura e il funzionamento della biosfera, soprattutto distruggendo ognuna delle foreste che un tempo ricoprivano l'intero pianeta e rimpiazzandole con estensioni senza fine di monoculture e cemento, si dovrà alla fine raggiungere un punto a partire dal quale questi meccanismi non potranno più funzionare. J. Lovelock, ben noto chimico atmosferico, che probabilmente ha studiato come nessun altro con attenzione questo problema, descrive come ciò dovrebbe accadere nei fatti e come la distruzione delle foreste umide amazzoniche, che lei contribuisce a finanziare, potrebbe improvvisamente far esplodere il clima. Non dobbiamo dimenticare che le forti piogge in Amazzonia, su un'area di milioni di kmq, derivano in gran parte dalla traspirazione delle stesse foreste amazzoniche. Ciò significa che una grande massa d'acqua si muove continuamente su e giù per un'area estesissima. Questo pare costituisca un sistema di raffreddamento molto efficiente, e distruggerlo si tradurrebbe in un disastro. In un tentativo di modello recentemente comparso su Science, si sostiene che la temperatura media dei tropici potrebbe aumentare, in seguito al diboscamento, fino a 50°C, il che sarebbe quanto basta a rendere una larga parte del pianeta inabitabile. Chi distrugge l'ambiente? Neanche a dirlo, lei vorrebbe sostenere che a distruggere l'ambiente siano i poveri. Nella sua

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