Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

sposa come la sposa che il re si è scelta. E così all'improvviso l'ambigua compresenza dei due personaggi era spiegata: in realtà si tratta di un solo personaggio, il pastore, il quale può sentirsi, nella settimana delle sue nozze, come il re Salomone in tutta la sua gloria. Così tutto ciò che consentiva un'interpretazione drammaturgica è venuto a cadere. Ora tutto è di nuovo incluso nella lirica solitudine a due dell'amante e dell'amata. E, soprattutto, ora la metaforicità è fatta risalire già al senso «più originario» dei canti; già là un significato sovrasensibile sopravvanza un senso concreto e sensibile: il pastore, che è lo sposo, è soppiantato dal re che egli sente di essere. Questo però è il punto a cui vogliamo arrivare. L'amore non può affatto essere «puramente umano». Nel momento in cui esso parla (e l'amore deve parlare, poiché non vi è altro modo di parlare per esternare se stessi che il linguaggio dell'amore) e poiché dunque parla, esso diviene già qualcosa di sovraumano. Infatti, la natura sensibile della parola è piena fino ali'orlo del suo sovrasenso divino; l'amore, come lo stesso linguaggio, è sensibile e sovrasensibile insieme. Detto in altri termini: per l'amore la metafora non è affatto un orpello accessorio, bensì essenza. Tutto ciò che è transitorio può anche essere metafora, ma l'amore non è «solo» metafora, bensì è in tutto e per tutto e essenzialmente metafora: infatti, esso solo in apparenza è transitorio,. ma in realtà è eterno. Quella apparenza è altrettanto essenziale quanto questa verità; come amore, l'amore non potrebbe essere eterno se non apparisse transitorio, ma nello specchio di questa apparenza si riflette immediatamente la verità. Il transitorio nella sua figura temporale - e cioè come presente, come attimo «fuggito veloce come una freccia» - nella parola-matrice 'io' è senz'altro il soggetto visibile o invisibile, che regge tutte le proposizioni del Cantico dei Cantici. Nella Bibbia non c'è altro libro in cui la parola 'io', fatte le debite proporzioni, compaia altrettanto spesso. E non vi fa la sua comparsa soltanto un 'io' in sordina, ma anche l"io' totalmente sottolineato e enfatizzato, il quale è appunto la parola-matrice vera e propria, il 'no' divenuto suono. Soltanto Qohelet, tutto roso com'è dallo spirito che continuamente nega, mostra una presenza quasi altrettanto alta della parola che sta per l"io' marcato. La forza di quella negazione fondamentale si esprime anche in altro modo: unico, tra tuui i libri biblici, il Cantico si apre con un comparativo: «meglio del vino»; qui la qualità viene comparata, cioè vista.prospetticamente, partendo da un «punto di vista» che nega tutti gli altri e non invece semplicemente nella sua oggettività di qualcosa che c'è ed è là dove è. Quel «meglio» riannoda il filo precisamente là dove lo aveva lasciato cadere il «molto buono» conclusivo e perfettivo della creazione. A questo punto, dunque, è la parola 'io' la nota fondamentale che, ora in una voce, ora, passando attraverso il 'tu', nell'altra, si muove al centro dell'intera tessitura melodico-armonica delle voci medie e acute come una nota di pedale dell'organo. In tutto il libro vi è un solo passo in cui essa tace; e proprio per tale momentanea interruzione del basso fondamentale, che altrimenti, proprio per la sua continua presenza, finiva col non esser quasi più udito, questo passo colpisce straordinariamente l'attenzione; proprio allo stesso modo in cui si diviene consapevoli del ticchettio del pendolo solo quando, all'improvviso, esso si ferma. Sono le parole dove dell'amore si dice che è forte come la morte. Non a caso in precedenza abbiamo con esse segnato il passaggio dalla creazione alla rivelazione. Nel Cantico dei Cantici, libro che abbiamo riconosciuto come nucleo e centro della rivelazione, tali parole costituiscono l'unico passo non dialogato ma semplicemente enunciato, l'unico momento obiettivo, l'unica fondazione. In loro la creazione si protende visibilmente verso la rivelazione e visibilmente viene da questa portata ancora più in alto. La morte è il momento estremo, conclusivo e perfettivo (Voll-endende) della creazione, e l'amore è altrettanto forte. Questa è l'unica cosa che dell'amore possa essere detta, e-nunciata, rac-contata (aus-gesagt, er-zahlt), tutto il resto non può «esser» detto «circa» l'amore, ma viene espresso esclusivamente dall'amore medesimo. Infatti, l'amore è linguaggio completamente attivo, completamente personale, totalmente vivo, totalmente parlante; tutte le proposizioni vere su di lui devono essere parole che provengono ~ dalla sua stessa bocca, rette dall"io'. Solo questa afferma- ~ zione, unica, che l'amore è forte come la morte, fa eccezio- ·gp ne. In essa non parla l'amore in prima persona, ma tutto il Cl.. mondo della creazione, vinto, viene posto ai suoi piedi. La ~ morte, la vincitrice di ogni cosa, e l'Orco, che gelosamente -. trattiene nelle sue mani quanto è trapassato, sprofondano (ab-gesehen) dal mondo di ciò che è creato, essa soltanto può parlare. Il fondamento sta sotto di lei, non sprofondato ma superato. L'anima si libra sopra di esso. Essa, librandosi, lo supera nelle fuggevoli sonorità dell'io. Un suono è appena risuonato che subito si è spento nel suono seguente, e inspiegabilmente e senza motivo subito risuona ancora inatteso per: poi nuovamente estinguersi. La lingua dell'amore è puro presente; so,sno e realtà, sonno delle membra e veglia del cuore s'intessono inestricabili l'uno nell'altro, tutto è ugualmente presente, ugualmente fuggevole e ugualmente vivo, come il capriolo o la giovane gazzella sui monti. -:·::-:;: .... / /' ,;</ // .J/ ✓/ ' ~ •' /. ---~ ,• ,/ ., // WEéc:;es Uno scroscio d'imperativi s'abbatte vivificante su questo· prato sempreverde che è il presente, imperativi che suonanano diversi ma indicano sempre la stessa cosa: attràimi a te, àprimi, vieni, lèvati, affrèttati; è sempre il ·medesimo, il solo imperativo dell'amore. Qui i due, l'amante e l'amata, pare che a tratti si scambino i ruoli e, in quel momento almeno, essi sono di nuovo distintamente separati. Mentre egli con sempre nuovi sguardi d'amore s'immerge nella figura di lei, essa lo abbraccia tutto con l'unico sguardo . della fede nel proprio «esser trasceltafra mille». Con tenerezza infinita l'amante, con il sussurrato, ricorrente appellativo «sorella mia sposa», allude al fondamento dell'amore di lei in un pre-mondo della creazione, già per l'amore stesso trapassato, e così facendo innalza il suo amore oltre la fuggevolezza dell'attimo; l'amata «in un lontano passa- ,' ,, ~ • -e davanti alla sua forza e all'intensità del suo ardore. Il gelo • /). ! ~~,;o;: ~~: J:::: ~!;'/: ,c:,m;::::::g;:~~~te;;,e ;~: :~ (f ~ : •../.,..-/~.. :t, "' ~ ... :~_;· ~ vittoria dell'anima viva, amata da Dio, su quanto è morta- /' .,,.,.-..·, ~ le è detto tutto ciò che ancora si poteva dire obiettivamente (;,// y· ~ su di lei, e cioè nulla di lei stessa, ma solo sul suo rapporto ,•" • .,/" .... ·->.,,. ,, ..,..,, . ,./., .. •-:-:/ r~· .r~ .•• '·.~•"' .• .. . . • -ft3z ~- to» era per lui un tempo «mia sorella o mia sposa». E di rimando è l'amata che si umilia davanti a lui, non lui davanti a lei; lei confessa piena di vergogna che il sole le ha scurito la pelle: «Non guardatemi, i figli di mia madre sono adirati con me». Ma, quasi nello stesso istante, si gloria di questa stessa «nerezza» come di una sua beltà: «Nera sono io, ma con ciò amabile come le tende di Kedar, come gli arazzi di Salomone» e ha scordato ogni vergogna. Infatti, ha trovato pace negli occhi di lui. È sua e lo stesso sa di lui: egli è mio. In questo felice 'mio', in questo singolare assoluto, si adempie per lei ciò che, così impaurita, insisteva a implorare dalle compagne di giochi: di non destare il suo amore prima che fosse desta lei stessa; il suo amore non deve essere un caso di amore, un caso nella pluralità dei casi d'amore, che altri quindi potrebbero conoscere e determinare. Dev'essere il suo amore, l'amore esclusivamente suo, non risvegliato dall'esterno, ma destatosi (er-wachte) esclusivamente nel suo intimo. E così è avvenuto. Ora ella è sua. Lo è? Non la separa, anche sulla vetta dell'amore, un'ultima cosa? Qualcosa che sta ancora oltre il «tu sei mia» dell'amante, ancora oltre la pace che l'amata ha trovato nei suoi occhi: parola estrema del suo cuore che trabocca. Non resta ancora un'ultima separazione? L'amato le ha accennato il suo amore in nomi carezzevoli con l'evocazione di un segreto sustrato di sentimenti fraterni. È però sufficiente l'accenno? La vita non ha forse bisogno di qualcosa di più che un accenno? di più del richiamarsi a un nome, non ha forse bisogno di... realtà? E dal cuore dell'amata, felicemente traboccante, sale un singhiozzo e prende forma di parole, di parole che balbettando indicano la direzione di qualcosa di inadempiuto, anzi di inadempibile nella rivelazione immediata dell'amore: «Se tu fossi per me come un fratello!». Non è sufficiente che l'amato, nel tremolante crepuscolo del!'allusione, chiami la sposa con il nome di sorella; il nome dovrebbe essere verità, dovrebbe essere ascoltato nella luce chiara della strada, non sussurrato ali'orecchio amato nella semioscurità di una carezzevole solitudine a due; no, dovrebbe, essere pienamente valido agli _occhidella moltitudine: «chi concederebbe» questo? Sì, chi concederebbe questo? Non è più l'amore a concederlo. Infatti, questo «chi concederebbe» non è neppure più rivolto ali'amato. L'amore infatti rimane, sempre limitato a due, sa soltanto di un 'io' e di un 'tu', non della strada. Così quel desiderio struggente non può essere esaudito nel!'amore immediatamente presente solo nel!'esperienza vissuta, che solo nell'esperienza di vita (Er-lebnis) si rivela. Il singhiozzo dell'amata singhiozza verso un al di là dell'amore, verso un futuro della sua attuale rivelazione; desidera con ansia un eternarsi dell'amore che non potrà mai scaturire dall'incessante attualità (Gegenwartigkeit) del sentimento, e cioè un perpetuarsi che non cresce più dentro all"io' e al 'tu', ma esige di esserefondato al cospetto del mondo intero. L'amata supplica l'amato di squarciare il cielo della sua incessante attualità, che frustra il suo desiderio di un amore eterno, e di scendere fino a lei affinché lei possa giacere come un eterno sigillo sul suo cuore palpitante, porsi come un anello che saldo circonda il suo braccio infaticabile. Il matrimonio non è l'amore. Il matrimonio è infinitamente di più che amore; matrimonio è l'adempimento all'esterno, per il quale l'amore tende la mano fuori dal suo intimo, e felice appagamento in un desiderio impotente e insopprimibile: «Oh se tu fossi mio frate Ilo.. . ». Questo adempimento non può più venire all'anima nel suo esser-amata. Dalla bocca dell'amante non viene alcuna risposta a questo grido. Questo regno della fraternità, cui l'anima qui aspira, al di là dell'amore che l"io' porta al 'tu', nel quale gli oscuri indizi della vita impersonale e comune della comunità naturale del sangue erano giunti magnificamente a compimento, quest'alleanza in una comunità sovra-naturale, sentita in maniera completamente personale e tuttavia esistente in modo totalmente profano, per lei non fonda più l'amore dell'amante da cui essa aveva finora attesa la parola convenuta cui dare la sua risposta. Se questo struggente desiderio deve essere soddisfatto, allora l'anima amata deve oltrepassare e infrangere il cerchio magico del suo esser-amata, dimenticare l'amante e aprire lei stessa la bocca, non più per rispondere ma, ora, per pronunciare una sua parola. Infatti, nel mondo non conta più l'esser-amato e ali'amato qui non è concesso sapere altro, quasi fosse rinviato a se stesso e non-amato, e tutto il suo amore non fosse esser-amato, ma eternamente amare. E l'anima, in questo suo uscire dal miracolo dell'amore divino per addentrarsi nel mondo terreno, soltanto nel più profondo del cuore può conservare la parola degli antichi la quale, mediante il ricordo _diciò che era stato esperito in quel cerchio magico, dà forza e consacrazione a ciò che le incombe di fare: «Come Egli ti ama, così ama anche tu». (Traduzione dal tedesco di Gianfranco Bonola) ;g, con il mondo della creazione; di se stessa, a prescindere dA... f1/¼.J ~A f I:;:!..__ ____________________________________________________________________________ _,

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