Giuseppe Fiori Il cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu Torino, Einaudi, 1985 pp. 395, lire 15.000 S criveva Goffredo Fofi l'anno scorso, facendo scandola, che il migliore libro di narrativa della stagione era stato un libro di memorie, Come ho tentato di diventare saggio, scritto da Altiero Spinelli e uscito presso le edi-· zioni del Mulino. Giustificava tanta disinvoltura con la crisi in cui continuava a dibattersi la narl'lltiva-narrativa (o narrativa d'invenzione), incapace d'inventare alcunché e solo prodiga di noia mortale e ancora di noia. Pur non avendo letto il libro cui si riferiva, trovai apprezzabile l'uscita di Fofi, e non soltanto per la carica di provocazione che conteneva: e oggi mi trovo anch'io a affermare che se quest'anno la stagione della narrativa (italiana e no) non ha chiuso in rosso, è per alcuni libri biografici o direttamente autobiografici che abbiamo potuto leggere. Mi riferisco a un gruppo di titoli - tutti di recentissima pubblicazione -, alcuni dovuti a autori che fanno per professione i narratori (ricordo i libri autobiografici della Duras, di Sollers, di Robbe-Grillet, della Sarraute, del norvegese Lagercrantz o, per stare a casa nostra, la biografia di Campana a cura di Vassalli, quella di Bobi Bazlen a cura di Del Giudice ecc.) o a autori più impegnati nella scrittura saggistica e nel giornalismo (come Chiara Valentini, della quale s'è apprezzata la biografia di E. Berlinguer, o Giuseppe Fiori, che ci ha appena raccontato la vita di Emilio Lussu). E }lui è proprio de Il cavaliere dei Rossomori - che è il titolo del racconto di Fiori - che vogliamo parlare. Si tratta di un racconto di ampio respiro narrativo che leggiamo come un libro di avventure. Non abbiamo bisogno di nutrire interesse per la storia politica del nostro paese, che pure il libro stringe con grande acume e precisione, per godere della lettura. È sufficiente seguire il protagonista (appunto il cavaliere Emilio Lussu) nella varietà delle vicende di cui è protagonista e in cui si sviluppa, e nei sentimenti e nei pensieri che a esse danno origine: è sufficiente, vogliamo dire, farsi spettatori dell'atto d'invenzione di una vita in quanto scoperta di qualcosa che prima non conoscevamo o, forse meglio, in quanto rivelazione di un mistero. Che è poi ciò che definisce l'aspettativa del lettore di romanzi, che appunto alla storia che sta leggendo chiede di essere messo in contatto con un complesso di emozioni e di visioni, di fantasie e di illuminazioni, di ipotesi e di congetture che lo fanno certo che l'e- ;:q sistenza si estende molto al di là ~ dei confini - comunque fin troppo .s ~ scontati - in cui è solito immagit::I.. narla; chiede di essere messo in contatto con qualcosa che lo liberi, se pure per il solo tempo della lettura, dalla sensazione che si sta trascinando nella vita come in un qualcosa di inutile e vuoto. Se è questo che chiediamo a un romanzo, quest'anno _,_piuttosto ~ che in opere di narrativa vera e ~ propria - questo ci è parso di po- ~ terio rinvenire in qualche testo di Il raccontarsetorie racconto biografico o autobiografico. E viene voglia di chiedersi il perché ciò è potuto accadere (tanto più che si tratta di un effetto recidivo, essendosi verificata più o meno la stessa cosa, secondo Fofi, già l'anno scorso). Io, in proposito, ho un'ipotesi che intendo qui manifestare, avvertendo ovviamente che vale quel che vale, né più né meno delle tante altre (se ve ne sono) che in proposito qualcuno voglia avanzare. Angelo Guglie/mi sorse dell'immaginazione, o a sperimentare nuovi modelli linguistici e strutturali. Ma nello scrittore moderno continua a farsi sentire la voglia di raccontare storie (provvisoriamente accantonata), storie robuste, che riescano a scuotere il lettore, rompere la sua più che consueta indifferenza, magari commuoverlo. Come fare? Come conciliare la sua (dell'autore) tendenza a.coltivare il dubbio, il suo scetticismo filosofico, con le certezze occorrenti per scrivere un romanzo? La risposta che lo scrittore affatto recentemente ha trovato a questi interrogativi è per così dire procedere a uno scambio di ruoli: visto che quelle certezze non sono in me - né posso artificialmente suscitarle, pena dare vita a prodotti bolsi, vergognosi e appunto artifialla certezza che si tratta di fatti realmente accaduti sono le caratteristiche delle trame intorno alle quali sembra possibile oggi fare romanzo. L'irriconoscibilità apre spazi alla libertà creativa dell'autore (pure a fronte di accadimenti già innegabilmente prodottisi nella realtà); la straordinarietà gli consente di infischiarsene della verosimiglianza; la certezza che si tratta di fatti realmente accaduti lo esonera da ogni travaglio filosofico, liberandolo dalla angustia di porsi domande che non hanno risposta. A queste condizioni l'autore riacquista la libertà di raccontare, di riproporre personaggi esemplari, di riaccreditare la figura dell'eroe lanciandolo in ogni sorta di avventure e di peripezie. Con il ritorno dell'eroe ritorna il romanzo ben fatto. I n realtà, fino a qualche anno fa l'autore ambizioso rifiutava di scrivere romanzi veri e propri; il genere gli sembrava troppo meschino (chiuso nella sua determinazione ottocentesca) e sentiva il bisogno di superarlo verso il saggio, la ricerca antropologica, lariflessione filosofica, la sperimentazione linguistica. Poi si sa come sono andate le r MAOAR. 1 cose: il processo di mercificazione cui è condannata ogni esperienza c. - /-·· d'avanguardia; la conclusione di · ,. una congiuntura storica che aveva imposto allo scrittore la difesa dell'oscurità contro la banalità; la sconfitta definitiva della cultura del buon senso (e del buon cuore), di origine ottocentesca, che negli t, anni Sessanta ancora imperversa- .... va; l'opportunità - che i nuovi tempi (a partire.dal '68) sembrava- ~ no consentire - di un rapporto or- 1 mai libero (e dunque finalmente possibile) con la realtà esterna e, i'. conseguentemente, la possibilità di rovesciare in una ritrovata oggettività l'impegno dello scrivere; l'accresciuta disponibilità del pub- ' blico dei lettori; tutto questo (e altro ancora) ha restituito allo scrittore il piacere (e il desiderio) del romanzo (vero e proprio). Tuttavia, per scrivere un romanzo - per esso intendendo una organizzazione di fatti, che si sviluppi imitando la parabola di una esistenza umana - occorre una forte dòse di ottimismo intellettuale, occorre che l'autore creda nella storia che vuole raccontare, nei suoi significati non precari, nel suo valore in qualche modo esemplare, nei principi e nei convincimenti che accompagnano, ostacolando o favorendolo, il suo sviluppo. Senonché sappiamo troppo bene che, se nell'ultimo decennio molte cose sono cambiate e una nuova sicurezza si è fatta strada . nel ·lavoro dello scrittore, non è venuto meno il suo (d~llo scrittore) scetticismo nella possibilità di proporre vite esemplari, non è cambiato il suo convincimento che il ruolo di dispensatore di verità (che a lui da sempre era attribuito) non sia sopravvissuto alla scoperta che per ogni domanda sono possibili più risposte, tra le quali allora affatto inconcludente è sceglierne , una; permane (e anzi si è fatta più robusta) la sua consapevolezza. che la conoscenza della realtà non sta nella sua riconoscibilità, e la sua ricchezza si identifica con la sua ambiguità. E è stata proprio (e soprattutto) questa consapevolezza a scoraggiare finora la vocazione al grande racconto, spingendo i maggiori scrittori del nostro secolo a dedicarsi piuttosto alla narrazione (se così si può dire) di non storie, in . cui primeggiassero i valori dell'aleatorietà e dell'incongruenza, inducendoli a elaborare metafore, impegnando oltre ogni limite le riciali (come la stragrande maggioranza dei romanzi d'invenzione che il mercato non cessa di sfornare) - andiamo a cercarle lì dove si kovano: in quelle vite già vissute che, per i segni che hanno lasciato, non devono elemosinare significati da nessuno, né devono aspettare che si risolva la vexata quaestio sull'esistenza della verità per apparire vere. È così che il nostro Vassalli serive un romanzo sul poeta Campana, Del Giudice su Bobi Bazlen, Robbe-Grillet, Sollers, Duras, Sarraute sulla propria vita, alla quale si rivolgono senza quasi riconoscerla (lo afferma a chiare lettere la Duras, accingendosi a pubblicare il romanzo dei suoi m·esidi partigiana, La douleurs, quando torturava i collaborazionisti per farli parlare). Ecco, l'irriconoscibilità insieme alla straordinarietà e ' ' i D i questo ritorno, e delle circostanze che lo hanno reso possibile, se in Francia hanno approfittato i migliori narratori viventi, in Italia hanno fatto tesoro per lo più alcuni saggisti soprattutto se scrittori di storia politica. Ultimo arrivato, ma non il meno affascinante, è Giuseppe Fiori con il suo Il cavaliere dei Rossomori. Come abbiamo più sopra detto, si tratta della biografia di Emilio Lussu, l'uomo politico (e d'azione) che, essendo nato nel 1890 e morto nel 1975, ha potuto attraversare l'intera (o quasi) parabola della vicenda unitaria del nostro paese, dal giolittismo, al prefascismo, al fascismo, all'antifascismo dell'esilio, alla liberazione, alla riconquista della democrazia, ~Ila delusione della democrazia, al '68. Seguendo il personaggio lungo l'intero percorso della sua vita, Fiori fa opera di storico e quale storico. Confesso che è la prima volta che ho capito (o mi pare di aver capito) che la nascita del fascismo non è dovuta all'Aventino e all'irresolutezza degli uomini politici che si opponevano a Mussolini ma a ragioni culturali, alla cultura del paese che, autoritaria e antiscientifica, irrigidita in mosse ancora elegiache e riti sentimentali, non era in grado di stare al passo con il cammino della storia e di fare i conti con le sue durezze. Che furono poi gli stessi motivi che fecero dell'esilio antifascista di Francia un evento nobile ma non fattivo, e ancora gli stessi che impedirono negli anni del dopoguerra (insieme a altre cause - comunque a valenza secondaria) l'unità delle forze di sinistra che forse avrebbe potuto evitarci la delusione della democrazia. E molti altri sono i meriti di Fiori storico, che altri, meglio di me (e con maggior diritto), hanno indicato. A me qui interessa dire che ho letto questa biografia di Lussu come una grande favola epica, in cui non è tanto importante che ciò che viene raccontato corrisponda (come corrisponde) al vero quanto che gli stimoli che trasmette, i sentimenti che comunica, i pensieri che suggerisce, le immaginazioni che accende, siano forti e irresistibili. . Diciamo la verità: si fa fatica a credere che il personaggio ritratto sia realmente esistito; è difficile credere che un uomo (seppure coraggioso) possa passare attraverso le trincee austriache rimanendo il~ leso; è difficile credere che un uomo da solo (se pure animato dalla forza di chi ha ragione) possa tenere testa a una folla (di fascisti) con intenzioni omicide e uscirne vincente; è difficile credere che un uomo possa trovare la forza e la volontà di chiudersi in casa (in una casa umida e fetida) per circa due anni allo scopo di ingannare i suoi custodi e propiziarsi la fuga (da Lipari, dove era stato inviato al confino); è difficile credere che un uomo (per quanto di forte fibra) possa sopravvivere senza cure e anzi sballottato da un luogo all'altro, in ambienti sempre più precari e malsani, tra sacrifici e rinunce sempre più dure, alla plèurite e alla tisi (che allora era il male del secolo) e vivere fino a novant'anni; è difficile... è difficile... ecc. Il fatto è che Lussu (il Lussu di Fiori) è anche un personaggio di romanzo. E gli eroi dei romanzi vivono sempre al limite della credibilità, in spazi che non siano ripetitivi per l'esperienza (e la conoscenza) del lettore ma di scoperta •e proposta. R endere credibile l'incredibile è l'arte di fare romanzo, dove tuttavia credibilità e incredibilità non appartengono alla meccanica dei processi logici ma alla dinamica dei processi vitali. Fiori indubbiamente è stato favorito dal fatto di avere a che fare con un personaggio dotato di una vitalità propria (e che dunque non doveva aspettarla dall'autore) e che conteneva in sé tutte le contraddizioni di cui aveva bisogno: mettere in moto queste contraddizioni, tanto da far rivivere il personaggio sulla pagina, è un'opera, più che di storico, di narratore. Di autentico narratore.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==