Alfabeta - anno VII - n. 77 - ottobre 1985

°' ..... c::s .s ~ ~ ~ °' ..... ~ -o g e I'-... I'-... ~ c::s ~ -o ~ Editoriale JacaBook Pierre Provoyeur Chagall Pagine 172 di cui 88 a colori Lire 120.000 Jacques Derrida La farmacia di Platone Pagine 160, Lire 17.000 Henri De Lubac Proudhon e il cristianesimo Pagine 328, Lire 45.000 Adrienne von Speyr San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo vangelo Pagine 320, Lire 29.000 Karoly Foldes-Papp Dai graffiti all'alfabeto Storia della scrittura Pagine 222, Lire 75.000 J. Schobinger, C.J. Gradin L'arte delle Ande e della Patagonia Pitture rupestri dei cacciatori della Patagonia e degli agricoltori andini Pagine 160, Lire 45.000 I Jaca Book Via A. Saffi 19 20123 Milano Guida editori Il fiore azzurro ANDRÉ BRETON Arcano 17 A cura di Laura Xella pp. 125 Lire 15.000 - BRETON Arcano 17 CUIDA CARL EINSTEIN Lo snob e altri saggi A cura di Giusi Zanasi pp. 160 Lire 16.000 PAULVALÉRY La caccia magica saggi scelti da 'Variétés' Pref e cura di Marina Giaveri pp. 224 Lire 18.000 I alcune categorie del dibattito in corso, e alcuni percorsi privilegiati utilizzati per ricostruire il confronto tra metafisica. e epistemologia. Per Polizzi l'epistemologia diventa un elemento teorico percepibile in dissolvenza, sullo sfondo di un paesaggio composto di incroci e tangenti, scambi e scartamenti successivi tra saperi positivi e metafisici, geometrici e fisici, tra convenzionalismi e meccanicismi, tra energetismi e spiritualismi di varia caratura. La fissità conclusa e esaustiva della verità scientifica, nella sua definizione classica, lascia il posto infine a quel discorso secondo più simile alla vera e propria ricerca genealogica. È la circolarità perfetta del sapere a sfrangiarsi, a fratturarsi e a dar vita così a quella molteplicità di modi del sapere che diventerà elemento insostituibile della consapevolezza contemporanea. Gaspare Palizzi Forme di sapere e ipotesi di traduzione. Materiali per una storia dell'epistemologia francese Milano, F. Angeli, 1984 pp. 358, lire 25.000 Benjamin: l'opera e la cenere Elio Franzini È presente in Benjamin, a parere di Bruno Moroncini, l'esigenza platonica di «salvare i fenomeni», salvandoli proprio in quel che hanno di caduco, transitorio e disperso. In questa esigenza di restituire al fenomeno ciò che l'ideologia sottrae e i saperi non colgono si pone la moralità del fare filosofico: dai: quindi «voce» ai vinti, raccogliere nelle macerie del passato qualcosa che ancora risuona e, come il pensiero, sempre torna sulle cose stesse. A partire da tale pathos morale Moroncini, con un articolato discorso denso di richiami culturali, segue l'itinerario del pensiero di Benjamin dal saggio sulle Affinità elettive di Goethe sino all'Origine del dramma barocco: ma al suo lavoro, proprio per la struttura complessa, ci si potrà avvicinare, in questa sede, solo (seguendo la metafora benjaminiana) come un «critico-alchimista», cercando cioè le tracce lasciate dalle fiamme, guardando alla «cenere lieve del vissuto». In Benjamin, infatti, è soltanto fra i «resti» di un'opera che cogliamo,, nella sua discontinuità costitutiva, il contenuto reale - l'opera che .riprende a vivere nel punto stesso in cui si è interrotta, mirando alla verità che nei resti si trasmette. Come il chimico, quindi, il critico scomporrà il testo ma come l'alchimista alimenterà la fiamma indebolita. Il commento è così l'atto preliminare di una critica che cerca la verità come ·moralità e giustizia, che è essa stessa filosofia pratico-morale: non riscrittura dell'opera ma potere della divisione condotto sino al cuore della sua apparente totalità. Qui è presente un «orizzonte di problemi» dove l'opera, «corpo messo in scrittura», rivela l'eco della vita e il movimento della storia attraverso il suo autore, monogramma del soggetto lacerato dall'esperienza, origine «morale» della messa in forma della creazione. Questi processi che la critica disvela non pretendono dunque di fondare un'estetica filosofica (né come teoria della sensibilità né come teoria dell'arte) bensì vogliono troncare il movimento espressivo per introdurre nella continuità dell'opera, prodotta dal potere della bellezza, la discontinuità del vero, poiché è soltanto strappando la vita all'espressione artistica che è possibile ricondurla alla responsabilità morale. L'essenza dell'opera è allora nella sua «mancanza di espressione», nel «senza» della differenza pura: la critica non rende alla storia, alla visibilità, alla dicibilità ecc. ciò che si è sottratto, ma anzi lo espone alla sua stessa velatura, interrompe l'intenzione dell'opera verso la presentazione visibile del contenuto in una «bella apparenza». Solo in tale «mortificazione» può presentarsi ed esporsi il sapere nell'opera. Un sapere che è filosofico intendendo la filosofia come «spazio del domandare», non pensiero negativo né pensiero critico bensì «critica della conoscenza» come critica di qualsiasi posizione che identifichi la verità con il conoscere. Una filosofia «irrequieta» che - alla ricerca del cuore della verità - va, attraverso il medium della scrittura, dal contenuto reale al contenuto di verità stesso solo qui indica la sopravvivenza dell'opera. Anche nella rovina e fra le macerie la lingua muta del- !' Angelus Novus non ricrea l'unità perduta ma assume, nella catastrofe, il senso della storia: non spinge verso il nichilismo bensì costringe il pensiero a reinterrogarsi su se stesso, a individuare sempre di nuovo nel divenire storico la possibilità di porre la questione della verità. Bruno Moroncini Walter Benjamin e la moralità del moderno Napoli, Guida, 1984 pp. 421, lire 35.000 Cfr. Il lavoro delle riviste Rileggendo Blanchot Giuseppe Sertoli Dedicato a Maurice Blanchot, il prossimo numero di Nuova Corrente (in libreria a fine ottobre) si apre col saggio di Alberto Castaldi «La rivoluzione ineffabile», che ripercorre l'attività di giornalista politico svolta da B. negli anni Trenta. In numerosi articoli pubblicati sulle riviste della Jeune Droite (e, salvo rarissime eccezioni, mai più ristampati), Blanchot fa valere l'utopia di una Rivoluzione che deve abolire il «mondo senza anima» del capitalismo e del comunismo. Se egli condivide molte delle posizioni dell'estrema destra francese (l'istanza morale e lo spiritualismo, il primato dell'individuo sulla società, i miti della giovinezza e della violenza), se ne diversifica per il suo «negativismo assoluto», per l'attesa quasi messianica di un evento - la Rivoluzione appunto - che viene visto come pura distruzione dell'esistente. (È curioso notare come in alcuni articoli politici scritti intorno al '68 Blanchot riprenda alla Lettera talune affermazioni di trent'anni prima, facendole valere da sinistra anziché da destra). La stagione politica di Blanchot si esaurisce alla fine del decennio '30-40: «caduta la speranza di una palingenesi sociale», egli inizia quella lunga attività di critico letterario (oltre che di narratore) che lo farà diventare il maggior saggista francese - e forse non solo francese - dell'ultimo mezzo secolo. Come scrive Castaldi, «l'attività di critico letterario è solo il punto d'arrivo( ... ) di un discorso che prende finalmente atto della propria natura utopica (... ) e riconosce allora che il proprio legittimo referente non può che.essere l'universo stesso delle parole». Anche all'interno di questo nuovo universo, tuttavia, permarrà la medesima istanza del refus e della negazione a~soluta. Da Mallarmé, infatti, Branchot trarrà la concezione del linguaggio come potenza dissolutrice, forza di annientamento del reale (la parola abolisce la cosa), e questa concezione diventerà il cardine della sua visione della letteratura come oscuramento (Notte) del mondo (Giorno) (cfr. Augusto Ponzio, «Il linguaggio in Blanchot» ). L'impossibilità della Notte, d'altro canto, ossia la persistenza di un residuo d'essere al fondo del nulla, è ciò contro cui Blanchot si scontra e con cui non smetterà mai di confrontarsi. Decisiva appare, qui, la nozione di il y a elaborata da Lévinas e sulla quale si sofferma Rocco Ronchi nel saggio «La realtà e la sua ombra». Particolare attenzione Ronchi rivolge, oltre che agli scritti teorici di Blanchot, al romanzo Thomas l'obscur, in alcune pagine del quale lo stesso Lévinas ha visto la migliore «illustrazione» dell'i/ y a. Il riferimento a Thomas l'obscur è anche significativo, però, perché troppo spesso i romanzi e i récits di Blanchot (sia quelli della prima fase, da Thomas appunto a L'arret de mort, sia quelli della seconda fase, dalla nuova versione di Thomas a L'attente l'oubli) sono stati trascurati dalla critica e non hanno corso nella vulgata blanchotiana. Laddove essi costituirono una parte imprescindibile del discorso di Blanchot, come dimostra «Il palinsesto infinito» di Rainer Stillers (già autore di un importante volume sulle due versioni di Thomas l'obscur). Un altro nodo essenziale è il rapporto Blanchot-Hegel (agli anni Trenta risalgono, è noto, le lezioni di Kojève sulla Fenomenologia dello Spirito). Nel saggio «Per un'esperienza non dialettica della parola» Wanda Tommasi (di cui è uscito recentemente il volume La parola errante, Bertani) analizza come certe categorie hegeliane - negativo, legge, lavoro ecc. - siano fatte proprie da Blanchot e funzionino all'interno della sua opera saggistica e narrativa, mostrando altresì come vari l'atteggiamento suo nei confronti di Hegel: «da un linguaggio in certi tratti marcatamente hegeliano ( ... ) si passa a una critica sempre più dura della dialettica hegeliana ( ... ) di cui si critica l'insufficiente spazio lasciato alla differenza». Ancora una volta il rifefimento ai récits è decisivo, perché proprio in essi Blanchot mette in scena quell'esperienza non dialettica della parola che marca la sua distanza da - e il suo rifiuto della - hegeliana reciprocità dei parlanti nel dialogo. Se all'Aufhebung hegeliana Blanchot contrappone il paradosso come forma specifica del negativo, il suo rigetto della totalità si manifesterà nella scelta del frammento e, quindi, «nel rifiuto della scrittura come operazione positiva, come forma chiusa», con un ovvio richiamo a Nietzsche su cui si sofferma Santino Mele, «Nihilismo, esigenza frammentaria, passione dell'impossibile». All'esperienza della lettura e al rapporto Blanchot-Kafka (ricordiamo il recente volume De Kafka à Kafka, tradotto da Feltrinelli, che raccoglie tutti i saggi di Blanchot sull'autore del Castello; ma un'«imitazione» del Castello era già uno dei primi - e più leggibili - romanzi, Aminadab, che qualche editore dovrebbe decidersi a tradurre) sono infine dedicati i saggi di Ulisse Jacomuzzi e Giorgio Patrizi. Nuova Corrente XXXII (1985), 95 (in libreria a fine ottobre) R E I • Dopo le prime 2 fasi UBU NELLA CASA (calcina tio) UBU NELLE TERME (putref actio) KO IN E' presenta la fase n. 3 U B U N E L M O N A S T E R O (solutio) Burattini e interpreti vari con la partecipazione straordinaria di Adriano Spatola CHIOSTRO SANGEMINIANO MODENA Posti disponibili in numero limitato. Prenotazione obbligatoria: Tel. 059/217689 (ore 16/19) Comune di Modena Centro di Ricerca e Documentazione Teatrale San Geminiano 9/27 Ottobre 1985 (esclusi i lunedì) Ore 21, 30 Un'Idea Koinè C::SL.- _____________ ....._ _____________ __._ _____________ __,.___ _____________ ...,______________ ___.

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