META-TEATRO Via Mameli 5 - Roma CARTELLONE 85-86 ottobre COMPAGNIA PRESENZE UN MURO UNA TIGRE di Heddy Honigmann e Angiola lanigro scene Michelangelo lanigro regia Angiola lanigro e Fernando Torna novembre CENTRO SPERIMENTALE TEATRO INTIMITÀ di Arthur Adamov con MOHAMMAD REZA KHERADMAND, ALEXANDRA KURCZAB, MARINA FRANCESCONI regia Shahroo Kheradmand dicembre TEATROINARIA presenta COMPAGNIA VERA STASI in PINNA IN UN DESERTO DI ACQUE (tratto da 'Le onde' di Virginia Woolf) progetto di Jan Sutton e Silvana Barbarini coreografia di gruppo gennaio/febbraio COMPAGNIA DEL META-TEATRO DICERIA DELL'UNTORE (tratto da 'Diceria dell'untore' di Gesualdo Bufalino) scene e costumi Luisa Taravella adattamento e regia Pippo Di Marca marzo COMPAGNIA STRAVAGARIO TEATRO CHORUS (tratto da 'Les aveugles' di Maurice Maeterlinck) adattamento Enrico Frattaroli e Franco Mazzi regia Enrico Frattaroli aprile COMPAGNIA DEL META-TEATRO STORIE NATURALI di Edoardo Sanguineti scene e costumi Luisa Taravella regia Pippo Di Marca maggio CENTRO SPERIMENTALE TEATRO LA VITA È SOGNO di Pedro Calder6n de la Barca adattamento Stelio Fiorenza regia Shahroo Kheradmand Per informazioni: META-TEATRO Via Mameli 5 - Roma tel. (06) 5806506/ 5802880/5895807 Cfr. Schede gia); ma il d.eserto è anche, in senso biblico, il luogo prediletto dell'incontro e dell'amore con Dio, del «fidanzamento» - dell'anima con se stessa, potremmo tradurre per chi è ateo; mentre l'espressione «doppio» ingenera una salutare e amara confusione per quel senso di copiosità e ricchezza, da una parte, cui si mischia l'altro di ostilità e ambiguità, come se significasse un'abbondanza di aridità o un riflesso di vacuità. E tuttavia, nonostante queste premesse, direi che ii pregio migliore dell'esile libro si trova in una sua qualità 'pedagogica' - che alla fine muove nel lettore una specie di commozione per gratitudine: questa disusata arte di stringere, in un breve mazzo di pensieri e parole, affetti fantasie memorie, in un tentativo di autobiografia minima, o immaginaria, ha il merito di suggerire un'asciuttezza e una sinteticità che sono ancora qualità morali, oltre che letterarie (cioè un prendere per sé poco spazio, poco tempo, poca attenzione, perché siamo in tanti, e ognuno ha diritto alla sua voce), e che nella persona dello scrittore corrispondono - oggi come una volta - allo stile. Tommaso Di Francesco Doppio deserto Prefazione di Paolo Volponi Catania, Pellicanolibri, 1985 Elogio dell'Ateismo e infamia della religione Eleonora Fiorani Leonetti Occorre davvero, di questi tempi, rigore e coerenza intellettuale per tradurre e ripresentare nel testo, con saggio critico introduttivo, il Buon senso, una critica serrata contro la teodicea: un elogio dell'ateismo. E Holbach è davvero un personaggio singolare: appartiene al filone minoritario materialistico dell'Illuminismo, un filone tradizionalmente lasciato in ombra o trascurato come irrilevante. Holbach è quanto di più estraneo si possa immaginare rispetto alla problematica novecentesca. Lo è la sua immagine cruda della realtà e della natura; non assomiglia né a Voltaire né a Rousseau. Lo è il suo ideale di uomo, tutto ragione e rigore morale. Lo è la sua polemica durissima contro i miti, le illusioni, le immagini favolose e consolatorie, contro ogni fuga nell'irrazionale. Il Buon senso è dominato da una ragione a tutto tondo, che non lascia posto all'ambiguità e alla duplicità: Holbach non le concede innanzi tutto a se stesso; e il risultato è un materialismo pessimistico che Timpanaro accosta a quello di Leopardi. E Leopardi in effetti legge il Buon senso nel '25: possiamo rintracciare nei poemetti questa presenza influente, di convergenza e di affinità. È nella polemica contro la religione che il male e il dolore si rivelano realtà dominanti, che possono solo essere accettate lucidamente. Potrebbe essere un mondo di «anime belle» se l'ateo virtuoso non fosse impegnato in una lotta senza quartiere, affascinante nella sua. coerenza, per l'affermazione di una visione razionale in cui c'è posto solo per la fratellanza umana di fronte al male e al dolore. È una coerenza che porta Holbach a rinunciare alla paternità delle sue opere 13urché possano diffondere le nuove idee. E sono idee per tutti: e anche questa è una novità per l'epoca. Per il Buon senso Grimm parlerà di ateismo alla portata delle cameriere e dei parrucchieri. E il Buon senso, testo trascurato e meno noto rispetto al Sistema, è un testo d'eccezione per più versi. Innanzi tutto è dominato dall'infamia, dall'indecenza, dalla immoralità della religione, di ogni religione. Il cristianesimo non ha da vantare nessun primato morale, aggiunge anzi l'indecenza del frugare nelle coscienze. Prodotto dalla paura e dall'ignoranza, il dio è sempre un dio divorante, tiranno, crudele, un dio degli incubi. Nessuno aveva osato tanto né oserà più. Ora, per raccogliere una definizione matura, nella lunga e accuratissima e acuta indagine introduttiva di Sebastiano Timpanaro, leggiamo: «il buon senso, come lo intende Holbach, non è affatto ciò che pensa comunemente la gente 'semplice', il senso comune intriso di vecchi pregiudizi: è una capacità intellettiva e critica (connessa a un atteggiamento morale anticonformistico, al 'coraggio della verità') ancora estremamente minoritaria fra gli uomini. È 'facile' a praticarsi, nel senso che non richiede astruserie, doti intellettuali raffinate e riservate in perpetuo ad una élite ( ... ) ma è viceversa molto difficile perché esige quell'anticonformismo di cui dicevamo, verso se stessi e tutta la propria passata formazione innanzi tutto, e poi verso gli altri». In ciò Holbach differisce anche da Descartes. Questo valore del «buon senso» è uno dei concetti più profondi dell'Illuminismo; e siamo grati al magistero critico di Timpanaro per un simile ricupero. Paul Thiry d'Holbach Il buon senso a c. di Sebastiano Timpanaro Milano, Garzanti, 1985 («I grandi libri») pp. LXXXI-225, lire 7.500 I suoni che abitano la natura Paolo Prato Kankò in giapponese significa turismo ed è composto da Kan, vedere, e Ko, luce/panorama. «Ambiente» si dice Kankiò. Il progetto di Haruomi Hosono, una delle maggiori figure della musica giapponese contemporanea, è passare da Kankiò a Kankò, cioè da una musica per ambienti, che in Giappone è una moda quasi logora, a una musica turistica (per o da turista), che implica qualcosa da guardare. Un po' come altrove si è passati dalla cecità/anonimità della musica per aeroporti alla scultura sonora, visibile e indicabile (Brian Eno). I suoni che abitano la natura è stato l'evento musicale di spicco nella rassegna genovese sul Giappone: un giardino «preparato» (la Villetta Di Negro) con oggetti sonori disseminati qua e là. Alcuni si ergono imponenti dall'alto di una collinetta, altri spuntano con discrezione da un cespuglio, altri ancora troneggiano in mezzo a un laghetto. In una sorta di percorso semiotico illimitato il giardino - già classico luogo d'incontro fra natura e cultura - viene arredato con oggetti «transformer» che sembrano il precipitato di forme stratificate dell'immaginario tecnologico infantile (giganteschi insetti, guerrieri medievali rivisitati da Lucas, giocattoli robotizzati). Questi oggetti spandono suoni che a loro volta sono pacchetti di informazioni sul soundscape di Tokyo, sul quale si depositano echi di video-games, pachinko, clackson, campane tubolari che segnalano il passaggio di venditori ambulanti, basse frequenze generate da ghetto blasters... Oltre a queste sonorità di strada, «rappresentate» elettronicamente, vi sono i suoni statici, cioè singole note, timbri «puri», svincolati da qualsiasi sviluppo temporale. Un terzo livello più «culturale», infine, è dato da minicomposizioni nella forma esigua del jingle pubblicitario, dove entrano reminiscenze di un oriente da cartolina e citazioni di sonorità occidentali. I frequentatori del parco e i visitatori della mostra si trovano perciò immersi in un acquario sonoro che si integra in modo soft ai suoni tradizionali prodotti nel parco stesso, una delle poche isole verdi nel centro di Genova. Il fascino dell'operazione, elaborata «per corrispondenza» dallo Studio Alchimia (per il design) e da Hosono (per i suoni), sta nella percezione, visiva e auditiva, a distanza dei totem sonori, e decresce man mano ci si avvicina con intenzioni «contemplative». Il turismo, infatti, è attività dinamica, «in progress», i luoghi si attraversano, non ci si può fermare a rischio di disaffezionarsi ... Haruomi Hosono proviene dal rock di marca americana (prima come bassista poi come tastierista) ma si afferma nel panorama internazionale con la Yellow Magie Orchestra, che comprendeva il più celebre Ryuichi Sakamoto e Yukihiro Takahashi, con i quali lancerà il genere «techno-pop». Dopo lo scioglimento del trio ('83), Hosono torna a incidere da solo, fonda LaGola usa La Gola (36) di ottobre porta negli U .S.A. Immagine Italia: storia e attualità della nostra cultura gastronomica Alberini: Il pasticcio italiano Salaris: Marinetti e la nouvelle cuisine Riotta: Chef italiani a New York inoltre: Piccinardi: Cucinare coi fagioli Flandrin: Burro e civiltà cattolica Paravia: Europa gastronomica Riva: Sodio ed ipertensione Sigiani: La nuovissima guida al fast food La Gola Mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale 48 pagine a colori Lire 5.000 un'etichetta (Yen) per la quale produce giovani talenti della scena «alternativa» giapponese, quella allineata con le tendenze internazionali. Le sue attività nel frattempo si estendono alla pubblicità, alla videoarte e all'editoria. Nell'84 dà vita a due altre etichette, la Non Standard («musica fisica, per il corpo», come lui stesso la definisce) che accoglierà produzioni «post techno-pop» e la Monad («musica psicologica, senza ritmo»). Gli altri due eventi della rassegna musicale sono stati il concerto dei Melon e la performance acustica di Akio Suzuki. I Melon sono un gruppo «techno-funk» il cui spettacolo fonde la velocità del video-clip con le allucinazioni della cultura hip-hop: toni fluorescenti su sfondo nero, con fumi, neon, citazioni da Biade Runner e Lawrence d'Arabia su un palco a immagine e somiglianza della downtown di Tokyo. Suzuki ha invece offerto uno spettacolo «povero», fatto di strumenti artigianali e di silenzio, rotto solo da frequenze sonore che il corpo di una ballerina modificava impercettibilmente. Giappone avanguardia del futuro Catalogo della mostra (Genova, maggio-giugno 1985) Milano, Electa, 1985 La circolarità del sapere Riccardo De Benedetti La nozione di «verità scientifica», punto di arrivo e centro propulsore di ogni epistemologia, è accompagnata nel sistema di filosofia positiva dall'immagine del cerchio, dalla circonferenza perfetta dei saperi. Figura geometrica a altissima densità metaforica (come felicemente ci ricorda il libro di ·Georges Poulet Le metamorfosi del cerchio), quella del cerchio delimita e traccia il territorio di ogni possibile sapere mentre, attraverso l'essenzialità della sua chiusura, esalta il valore normativo della ricapitolazione enciclopedica propria del Positivismo. Sul piano di consistenza offerto dalla metafora della circolarità dei saperi positivi (nella sua doppia allusione al limite e alla ricorrenza perfetta di ogni suo punto), il cui debito alla lettura del Positivismo fatta da Miche! Serres è ampiamente riconosciuto dall'autore, Gaspare Polizzi costruisce il suo libro Forme di sapere e ipotesi di traduzione. Materiali per una storia dell'epistemologia francese. L'oggetto della ricerca, accurata e documentata, è costituito da quelle formazioni concettuali, vere e proprie forme di sapere, che si definiscono grazie a un tessuto di sovrapposizioni, rimandi, determinazioni, quanto mai complesso. Storicamente è il periodo che va dal 1880 al 1930 circa a interessare Polizzi, vale a dire dall'epistemologia in statu nascendi all'inizio dell'avventura di pensiero di Gaston Bachelard, cui viene fatto risalire l'avvio vero e proprio dell'epistemologia francese. Sondare questo spazio temporale, densissimo di contributi e di rotture teoriche all'interno di un campo che molti vorrebbero omogeneo e lineare accrescimento di razionalità, ha significato per Polizzi operare a sua volta scelte non ingenue nell'apparato descrittivo. Ecco quindi l'apparente definizione di questo lavoro attraverso una doppia negazione: non è un'indagine di storia della scienza, né tantomeno storia della filosofia, piuttosto il tentativo di descrivere un sistema di sapere e la genesi della sua scientificità o, meglio, di un'immagine possibile di scientificità, fosse solo quella che meglio ha funzionato. Il luogo d'osservazione prescelto è l'intersezione, il carrefour tra «differenti ordini di discorsività (metafisico, gnoseologico, fisico, matematico)»; luogo in certo qual modo privilegiato perché aperto da due forti persistenze teoriche del panorama francese: lo «spiritualismo»' da una parte (Ravaisson e «un» Bergson) e la «critique des sciences» dall'altra, quest'ultima più strettamente legata del primo a alcune strategie di ricerca scientifica (spazi non euclidei e intuizionismo matematico). Se Miche) Serres ha fornito l'immagine della circolarità e quindi quella dei transiti possibili, l'ipotesi della «traduzione», a avvertire la complessità del programma è il Foucault «epistemologo», quello che in esergo fa consistere il sapere nel «riferire linguaggio a linguaggio( ... ). Cioè nel far nascere, al di sopra di tutti i segni, il discorso secondo del commento». Ma i passaggi tra un universo discorsivo e l'altro non sono caratterizzati da una linearità referenziale che ne garantisca a priori la traducibilità, anzi: la declinabilità delle forme di sapere che via via si impongono è significata con maggior aderenza da una linea spezzata. Polizzi ne dà la grafia in due diverse tranches (sono poi due capitoli del libro): la dinamica concettuale che caratterizza la Francia fin de sièc/e attraverso la prova di oO ..... i:::s -:: ~ ~ ~ °' ..... ~ -C:) g o I"---. 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