Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Linguaggigoi~~~alistic1o',800 Stefania De Stefanis Ciccone, Ilaria Bonomi, Andrea Masini La stampa periodica milanese della prima metà dell'Ottocento. Testi e Concordanze (vol. I: Testi pp. CCXXI+ 1-497. vol. II: Concordanze, I pp. XX+ 1-882 vol. III: Concordanze, II pp. 883-1818 vol. IV: Concordanze, III pp. 1819-2757 vol. V: Liste di frequenza pp. 1-193) in «Orientamenti linguistici» Collezione di testi, saggi e documenti di Linguistica storica e teorica diretta da Tristano Bolelli Pisa, Giardini, 1983-84 D a quando l'utilizzazione del computer ha permesso di macinare e manipolare quantità immense di lingua scritta, la semplice imponenza materiale di uno studio fondato sullo spoglio dei testi non è più segno di complessità del progetto e di profondità di elaborazione concettuale. Un primo livello per saggiare, in opere del genere, i propositi e l'impegno dello studioso è quello rappresentato dalla risoluzione dei problemi, apparentemente superficiali, che pone l'aspetto formale della lingua di quei testi: simili problemi a loro volta rimandano a un livello più profondo, quello delle finalità specifiche dell'indagine intrapresa. Saggiata a questi due livelli, l'opera c;onsegnataci da Stefania De Stefanis Ciccone, Ilaria Bonomi e Andrea Masini (con l'apporto di altri collaboratori) rivela una consapevolezza e una preparazione di prim'ordine. Sugli aspetti tecnici dell'elaborazione lessicografica, che riguarda ben 500.000 contesti, conviene tornare in seguito. Va messa subito in luce, invece, l'idea direttrice e generatrice di fondo di questo poderoso lavoro, ideato, diretto e largamente elaborato personalmente dalla De Stefanis Ciccone. Gli studi sul linguaggio giornalistico italiano non sono affatto numerosi. Per il passato (cioè per epoche precedenti al nostro secolo), anche se non mancavano studi di «storia del giornalismo» e riedizioni di testi giornalistici, il terreno era pressoché tutto da esplorare dal punto di vista linguistico, se si tolgono riferimenti occasionali in vari studi (di P. Zolli, T. De Mauro, M. Dardano e altri), i contributi di G. Folena per il giornalismo settecentesco, e due monografie offerte l'una nel 1971 dalla stessa De Stefanis (sulla «questione della lingua» seguita attraverso i periodici letterari del primo Ottocento), e l'altra nel 1977dal Masini (su giornali milanesi degli anni r--._ c::s 1859-1865). Le prime indicazioni .s più circostanziate sono emerse ~ e::., proprio dalla anticipazione che sul ~ presente lavoro ci hanno fornito -. qualche anno'fa la De Stefanis e la ~ Bonomi (con due articoli in Lin- -e t: gua nostra, XLI, 1980, pp. 26-33 e ~ pp. 136-44). ~ "' Disponiamo ora di un'opera va- ~ sta e articolata che occupa un poi.: sto centrale: ci viene assicurato ~ larghissimo accesso alla varia e co- l piosa produzione giornalistica mi- ~ lanese della prima metà dell'Ottocento (esattamente dal 1800 al 1847). È stato scelto il maggior centro cittadino e culturale italiano dell'epoca e un periodo denso di significato, per i molteplici trapassi di stagioni politiche (dai mesi che precedono la battaglia di Marengo e l'ingresso di Napoleone, alla restaurazione austriaca, attraversata dai vari moti risorgimentali fino alla vigilia del '48) e per le grandi novità culturali e scientifico-tecnologiche che lo segnarono. È, in ogni caso, il periodo in cui nasce veramente - ma a poco a poco, e si tratta della città di avanguardia nel nostro paese - il giornalismo italiano. 11 primo dei cinque volumi, dovuto specificamente alla mano della De Stefanis, costituisce non solo la base di materiali per l'opera intera ma offre, nel Saggio introduttivo, il frutto essenziale dell'impresa. Presentiamo innanzi tutto l'antologia di materiali. Si tratta di un campionario di circa 3000 pezzi giornalistici (per un totale di circa 100.000 righe di stampa) raccolti da 58 testate del periodo anzidetto. A volte i pezzi sono riportati per intero, a volte solo parzialmente. La prima operazione concettuale che ha impegnato l'autrice è stata quella di creare un raggruppamento delle testate per categorie Cocottocratie (ne sono state individuate 7: almanacchi; strenne; informazione politica; riviste di varietà; periodici teatrali; riviste tecniche; riviste letterarie) e soprattutto una suddivisione dei testi per «generi». In questi ne sono stati individuati 8 fondamentali: Politica, Teatro, Letteratura, Belle Arti, Informazione-Varietà, Moda, Pubblicità, Scienze e Tecnologie. Alcuni di tali insiemi sono stati suddivisi in modo che ci pare utile far conoscere anche in sede di recensione: l'Informazione-Varietà si suddivide in Narrativa, Aneddotica, Cronaca, Divulgazione storico-geografica, Biografia, Osservazioni sm costumi contemporanei; le Scienze e Tecnologie si suddividono in Agricoltura e Botanica, Chimica e Fisica, Invenzioni e scoperte, Economia, Economia domestica, Giurisprudenza, Medicina, Zoologia e Zootecnia. Questa calibrata e articolata griglia dà la possibilità di orientarsi in una selva di fatti che altrimenti sarebbe apparsa inestricabile. Sulla base di questo ordinamento, un'attenta lettura dei pezzi antologizzati ha permesso all'autrice di stendere 22 capitoli dedicati a altrettanti «generi» giornalistici. Ne è risultata una vera storia della cultura italiana ottocentesca, una storia che ha il suo cardine ben naturale in Milano e nella Lombardia, ma si proietta in varie direzioni nella penisola ed ha frequenti aperture sul panorama europeo, specialmente in direzione di Parigi e di Vienna. L'importanza che questo Saggio (212 grandi pagine) assume proprio come contributo alla storia culturale generale ci pare fuori discussione: l'utilizzazione delle fonti giornalistiche (consultate sistematicamente e così analiticamente.) porta alla luce fatti, atteggiamenti, giudizi riferibili a persone e ambienti ben precisi e permette di seguire anche l'evolvere delle situazioni attraverso quel mezzo secolo. Ci domandiamo se sarebbe possibile fare la storia sociale delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche della già avanzata rivoluzione industriale senza cogliere e seguire il dibattito pubblico (con l'eco delle esaltazioni e delle preoccupazioni, delle previsioni mirabolanti o catastrofiche ecc.) che le accompagnò proprio sui giornali. Ma l'interesse per la storia culturale e sociale, ovviamente stimolato dalla materia prima del- ' l'«attualità», non è la principale chiave di lettura di questo Saggio: esso è propriamente una storia della prosa e del linguaggio dei giornali, come parte significativa della storia linguistica italiana dell'Ottocento. Fin dai suoi primi anni, questo secolo fu segnato, come ben sappiamo, dall'affannosa ricerca, da parte di molti scrittori, di una lingua di comunicazione col grande pubblico, e la pagina di giornale si presentò come un vero laboratorio sperimentale per questa ricerca. Ebbene, ci è finalmente possibile passare ordinatamente in rassegna i vari tentativi compiuti da questa nuova categoria di utenti della penna: figure di primo piano (Balbo, Botta, Cattaneo, Grossi, Pellico, Tenca ... ) e nomi comunque già ben noti (da Francesco Cherubini e Luigi Angeloni a Urbano Lampredi), ma anche nomi nu9vi, che d'ora in poi saranno da prendere in buona considerazione. Tra questi ultimi si segnalano, ad esempio, il De Welz e il Menini, il primo fondatore e il secondo uno dei redattori della rivista L'Ape delle cognizioni utili: un periodico tutto improntato alla concretezza e all'utilitarismo, sulle cui pagine non solo possiamo cogliere .i,. faticosi progressi di una lingua funzionale,. ma perfino dichiarazioni esplicite (del Menini, appunto, nel ,1837) sulla nostra lingua «bellissima e in tutt'altre materie copiosissima», però «manchevole affatto di termini» per trattare di tecnologie; constatazione dalla quale il giornalista muove per formulare un suo programma di arricchimento del lessico italiano in tali settori (vedi p. CL). Ma già in un numero della prima annata quel periodico enunciava un chiaro programma linguistico-stilistico che rivela piena consapevolezza (da parte di non letterati!) dell'intreccio di difficoltà linguistiche in cui si dibatteva la società italiana dell'epoca: si evocano la distanza tra i dialetti («infiniti dialetti») e la lingua, con le conseguenti interferenze che colpiscono l'uso linguistico di tutte le classi sociali, la «stranezza» e la mancanza di «esatte diciture» (dunque la contorsione o l'astrattezza) che ne deriva allo scrivere di molti, il bisogno di una «grammatica» ricavabile più direttamente dall'uso, l'opportunità di tenere a bada i modelli di prosa letteraria, la necessità di servirsi del linguaggio scientifico, da temperare sì con l'uso comune, ma salvando i diritti dell'esattezza e procurando le debite mediazioni per i profani. Il brano merita davvero di essere antologizzato nelle nostre storie linguistiche e ci affrettiamo a farlo conoscere più largamente ai letto- . ri: «L'Italia, a cagione degli infiniti suoi dialetti, è forse il paese dove non solo gli artigiani, ma anche le persone di commercio, e persino quelle che hanno ricevuta una non ispregevole educazione, scrivono con maniere e frasi al tutto sgrammaticate e strane: così l'Ape ad esempio di alcuni altri giornali oltramontani, ammetterà pure a guisa di varietà alcuni articoletti, purché brevi, che tendano a distruggere col paragone di una più esatta dicitura, questi vizi tanto comuni e diffusi. Ciò sarà come una grammatica che s'insegna o si apprende per passatempo. Ma tutti gli articoli di mero diletto o puMors syphilitica ramente letterari o di critica letteraria, e quelli di politica sono assolutamente esclusi. «Siccome l'Ape delle cognizioni utili è destinata principalmente all'utilità di quella classe che è tra le persone indotte e le dotte, così gli articoli saranno stesi con brevità, chiarezza e precisione per quanto sia possibile: senza sbagliare al tutto il linguaggio scientifico a forza di voler essere popolare, ne sarà conservata tutta quella parte che è all'intelligenza comune, e senza della quale vi sarebbe pericolo di peccare d'inesattezza, tutto al più quando s'incorra in termini o frasi che si può supporre essere ignoti od oscuri a molti, se ne darà tra parentesi la spiegazione». In un periodico di tutt'altro genere, il Ricoglitore, a proposito della lingua per la narrativa da gran pubblico, ecco che un redattore dichiara la grande difficoltà che s'incontra nel «trasportar piacevolmente in italiano le scene della vita domestica»: è il 1821, e la De Stefanis coglie subito il collegamento col pensiero che su questa stessa materia, in quel medesimo anno, esponeva Manzoni nella celebre lettera al Fauriel («bien écrir un roman en ·italien est une des choses !es plus difficiles»). Sono testimonianze da non considerare meno interessanti di quelle con cui gli addetti ai lavori (I'Angeloni, l'accademico della Crusca Pietro Ferroni ecc.: vedi a pp. CXXIII-CXXVI, e nell'antologia di Testi a pp. 146-81) trattano temi specifici della questione della lingua, tra l'altro con riferimenti al ben noto contrasto tra le posizioni del Bernardoni e quelle del Gherardini. 11 tema dell'esigenza di una prosa veramente «media» - informativa, tecnica, operativa (come può essere quella delle istruzioni, ricette e simili) - è ricorrente nelle analisi della De Stefanis e forse il principale filo conduttore per la lettura di queste pagine. Se ne parla subito (a pp. XXII sgg.) a proposito degli articoli di informazione politica: si tratta del settore più povero del giornalismo di quel periodo (per la mancanza di libertà politica e di opinione), ma proprio perché la materia era così delicata essa creò, un po' alla volta, l'abitudine al discorso puramente referenziale (la «notizia») sorretto da prudenziali si dice, si trova, si parla di, ecc., o, in ogni caso, chiaramente distinto dalle spiegazioni e dai commenti del giornalista. Un vero allenamento alla scrittura calibrata e perciò stesso tendente alla (inconsueta) semplicità sintattica. Ma le osservazioni in proposito si rincorrono nei capitoli dedicati al giornalismo utilitario-divulgativo (p. CIX) e ad alcuni particolari settori come quelli dell'agricoltura (p. CLI), delle scienze e tecniche (p. CXLV), della zootecnia (p. CCVIII), e naturalmente a proposito del giornalismo femminile: si profila chiaramente l'immagine di una battagliera antesignana di questo genere, la Carolina Lattanz1, redattrice del Corriere delle Dame, strumento di mediazione culturale a largo spettro d'interessi (dalla moda alla letteratura di attualità, dall'economia domestica agli argomenti ginecologici). La grande quantità e varietà di materiali passati in rassegna permette all'autrice del Saggio di cogliere nettamente un altro tema specifico dibattuto con crescente interesse fin dai primi decenni dell'Ottocento: il tema dei linguaggi speciali per le scienze e le tecniche. Medici, geologi, «meccanici», economisti, fisici, reclamano il diritto di usare termini tecnici e univoci nell'ambito dei propri studi, ma, nello stesso tempo, si rendono conto delle particolari esigenze poste dalla divulgazione: si assiste così a comportamenti oscillanti (in uno stesso testo si affiancano ematuria e piscio sanguigno, in un altro litotripsia e operazione della pietra), ma anche a dichiarate operazioni di chiosatura e parafrasi, come quelle proposte dall'Ape delle cognizioni utili sulla terminologia bancaria e borsistica (mercato, circolazione, credito, azioni, dividendo ecc.: vedi il testo a p. 445). Ma in tema di formazione e assestamento dei linguaggi speciali, sulla scorta dei rilievi veloci, anche se continui, della studiosa e di quelli compiuti in anticipo, sullo

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