Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Polifoniae infedeltà Bice Mortara Garavelli La parola d'altri. Prospettive di analisi del discorso [riportato] Palermo, Sellerio, 1985 pp. 163, lire 12.000 Graciela Reyes Polifonia textual. La citacion en el relato literario Madrid, Gredos, 1984 A ccade a volte che ricerche diverse nei contenuti e nelle applicazioni scoprano d'improvviso i loro legami nascosti: un ordine s'istituisce quasi spontaneamente. Oggi assistiamo a un caso del genere, dopo la divulgazione dei lavori cji Bachtin sulla plurivocità e la pdlifonia. Intorno alle luminose scoperte di Bachtin vengono a disporsi le annose ricerche linguistiche e stilistiche sul discorso diretto e indiretto, soprattutto sul discorso indiretto libero, così come le rifl~ssioni, specialmente angloamericane, sul punto di vista nella narrazione. E cadono con generale sollievo le paratie fra ambiti disciplinari diversi: linguistica, critica, teoria letteraria. Ciò che Bachtin ha rivelato è che nel romanzo s'intrecciano molte voci, molti linguaggi. Ci sono anzitutto i vari linguaggi sociali, espressione di ideologie, classi, mestieri, ambienti: l'uso di termini che vi afferiscono costituisce una concentrata allusione alla vicinanza e alle eventuali tensioni fra gli strati. Il quadro della società rappresentata rinvia alla complessità della società reale alternando i riferimenti al quadro delle manifestazioni linguistiche. Poi ci sono i registri o stili individuali. Che non sono soltanto quello proprio dello scrittore e quelli dei differenti personaggi. Perché la citazione «pura» di questi registri, attraverso i discorsi diretti, si complica mediante contaminazioni e sovrapposizioni. Sono contaminazioni le mescolanze tra il registro di un personaggio e quello del narratore, o di un qualunque intermediario; sono sovrapposizioni quelle tra l'intenzione del narratore e l'intenzione del personaggio: il primo può stilizzare, o parodiare, o criticare la voce del secondo nell'atto stesso di riferirla. Si vede subito perché vengano chiamati in causa da tali rilievi gli studi sul punto di vista e sui tipi di discorso. Assumendosi la licenza di descrivere i fatti sia da un punto di vista distaccato o apparentemente oggettivo, sia con l'angolazione secondo la quale i fatti sono apparsi a un dato personaggio, gli scrittori hanno naturalmente accolto le possibilità di caratterizzazione offerte dal complesso delle disponibilità linguistiche. Polifonia e pluralità di punti di vista sono strettamente collegate. tr) <::s D'altra parte il confronto tra il -5 discorso diretto e quello indiretto ~ c::i.. consente di precisare i mutamenti tr) di attendibilità a cui un discorso è ~ ....... ~ ~ ~ ~ "" ~ assoggettato quando, riferito in forma indiretta, non solo entra nella prospettiva di colui che lo riferisce, ma è parafrasato, riassunto, più o meno profondamente falsato. Si sovrappongono in questo caso due locutori (l'autore del di- ~ scorso, o enunciatore, e colui che l lo riferisce) e due situazioni di di- ~ scorso (quella in cui fu profferito il primo enunciato e quella in cui esso viene riferito). Croce e delizia di queste analisi il discorso indiretto libero, in cui i registri, le esclamazioni, i riferimenti di tempo e di luogo possono essere quelli del primo locutore, ma responsabilità e contesto appartengono al secondo locutore. Qui la polifonia è davvero mescolanza o alternanza di voci. N on stupisce che due studiose abbiano contemporaneamente e indipendentemente visto l'utilità di svolgere in modo sistematico riflessioni sull'ambito che ho rozzamente delimitato. Una è Bice Mortara Garavelli, nota specialista di stilistica e linguistica testuale; l'altra, meno nota almeno in Italia, è un'argentina che vive e insegna a Chicago, Graciela Reyes (bell'esempio, in complesso, della ormai completa internazionalità delle nostre ricerche). I loro due volumi hanno moltissimi punti in comune: alternano analisi di testi letterari e di brani giornalistici o di esempi fittizi; utilizzano una bibliografia in buona parte analoga; mantengono, sulle orme di Ducrot, la distinzione che ho già usato qui tra enunciatore e locutore; ricorrono più volte al concetto di intertestualità; terminano con un'analisi del discorso indiretto libero le rispettive trattazioni, in cui si parla molto di polifonia e di citazione. Maggiori però le differenze: la Mortara Garavelli procede metodicamente, elucidando gli argomenti in modo progressivo, la Reyes parte da una discussione generale, e attraversa veloce molti campi d'indagine; la prima ha un linguaggio preciso, con tecnicismi (puntu~lmente spiegati) e sigle, la seconda ricorre a uno stile immaginoso, mimetico rispetto agli autori . più frequentemente citati (Borges, Garda Marquez, Cortazar). E si potrebbe proseguire a lungo con queste «vite parallele». Cesare Segre Quello che importa è che la diversa indole delle due studiose produce risultati convergentemente positivi. La Mortara Garavelli ha una preoccupazione quasi giuridica,. quella dell'attendibilità. Perciò il confronto che opera sui diversi modi di riferire (riportare) un discorso punta sugli elementi di realtà nella loro resa linguistica: gli avverbi di luogo e di tempo, i modi dei verbi, i nessi tra introduzione ai discorsi riportati e i discorsi stessi. Il risultato è una precisa tipologia, che rende più sicura la valutazione degli elementi tonali e registrali. La tipologia ha anche carat- . tere storico. C'è infatti uno sviluppo nell'impiego lungo le varie epoche dei procedimenti descritti: e se il discorso indiretto libero è strumento sostanzialmente moderno, in epoche precedenti si possono elencare interferenze diverse tra discorso diretto e indiretto, tra linguaggio di çhi riporta e linguaggio riportato. Messa a punto la metodologia, la Mortara Garavelli si esercita brillantemente su testi letterari, dando, per esempio per Pirandello e Gadda, eccellenti esempi di lettura. Per la Reyes, pare che lo studio della polifonia sia una corsia preferenziale per giungere alla definizione del testo narrativo. E anzi la Reyes inserisce felicemente nella polifonia bachtiniana anche l'iroFantasia musicale nia. Chi fa un discorso ironico, dice, è come se desse voce a un «locutore ingenuo», le cui affermazioni, non collimanti con le opinioni e la personalità del locutore effettivo, ottengono il loro effetto grazie a questo contrasto. Infatti l'operazione si ripete, specularmente, nell'interlocutore, che prima recepisce in qualità di «interlocutore ingenuo», poi nota il divario e coglie l'ironia. La natura potenzialmente letteraria dell'ironia si rivela nel momento in cui viene data voce al personaggio fittizio del «locutore ingenuo». Il discorso ironico è insomma una specie di citazione di discorso altrui. Ma persino il testo narrativo in generale costituisce, secondo la Reyes, una grande citazione, una struttura verbale fittizia comunicata al lettore consapevole come imitazione (o sublimazione) dell'atto di narrare. Chiuso tra ideali virgolette, esso può essere .quando si voglia prelevato e riutilizzato. Proprio all'estremo opposto il resoconto giornalistico. Qui la comunanza dei riferimenti spazio-temporali tra giornalista e lettore istituisce una specie di rapporto «faccia a faccia», una specie, sia pure particolare e unidirezionale, di conversazione. Tra resoconto giornalistico e narrazione romanzesca c'è una competenza che ha ben afferrato Martfnez Bonati, e cioè la capacità di produrre enunciazioni che rappresentino altre enunciazioni prodotte in situazioni comunicative differenti. Qualunque narratore spontaneo fa già ricorso a tale competenza, tutt'altro che ovvia. V aie la pena di riflettere un po' (come già fanno entrambe le studiose) sulle diversità fra resoconto giornalistico (televisivo ecc.) e narrazione. Il resoconto ha un punto di riferimento preciso nella realtà: fatti accaduti, parole pronunciate. La narrativa d'invenzione si riferisce invece a un mondo fittizio, di cui è a conoscenza, avendolo istituito, unicamente lo scrittore stesso che ce ne riferisce, insindacabile e incontrollabile. Ma proprio la sua posizione istitutiva fornisce allo scrittore una massa di conoscenze non solo su parole e atti, ma su pens1en, impressioni, pulsioni. Così l'impegno nella descrizione e nella fedeltà si fa massimo in colui che a questa fedeltà non è obbligato da alcuna deontologia. L'analisi linguistica mostra facilmente che la totale fedeltà, per il cronista, è impossibile. Basti dire che egli, come locutore, trasporta gli enunciati altrui in una diversa situazione di discorso, perciò li falsa in partenza. Inoltre, egli è soggetto a limitazioni visive o acustiche, non può render conto di intonazioni, sospensioni, gesti, e così via. Si sa bene quanto sia difficile anche per un testimone oculare essere esatto ed esauriente. Si aggiungono poi le deformazioni della memoria, la necessità di sintetizzare, l'autorizzazione a riferire come discorsi diretti anche delle parafrasi approssimative del discorso realmente pronunciato, che il cronista non può memorizzare integralmente. Le virgolette, è noto, non sono affatto un sigillo di garanzia. Esse possono significare: discorso riportato testualmente. Ma significano anche: discorso riportato in forma sommaria, cioè con fedeltà (dubbia) solo contenutistica. Così come, appiccicate a una parola, possono significare: parola usata dalla persona di cui si sta parlando; ma anche: parola in uso impiegata dal cronista con riserva, o alludendo a opinioni di terzi; e anche: termine tecnico di cui scusarsi col lettore, e così via (ottime le osservazioni della Mortara Garavelli). Non è solo per comodità tipografica che ci si astiene dall'impiegare un repertorio, che sarebbe inesauribile, di virgolette diverse adibite ciascuna a un uso preciso. Al giornalista perciò non si può chiedere una fedeltà totale, ma soltanto buona fede e impegno ad aderire alla realtà narrata. Quelli invece che hanno un repertorio estremamente ricco di mezzi per graduare, e segnalare, le loro approssimazioni, sono i romanzieri. Ed è da loro che si possono imparare, almeno, le diverse possibilità di rapporto con i fatti e le parole, mediante spostamenti di prospettiva, adesione o distacco, implicazione o disimpegno. A ragione nota la Reyes che l'epoca d'oro del discorso indiretto libero è quella del romanzo realistico. Oggi la situazione è molto cambiata. La regolamentazione delle voci nella polifonia romanzesca non è più osservata. È il risultato anzitutto del diverso concetto di romanzo, della decadenza del narratore onnisciente. Meno spesso che in passato ci si azzarda a riferire sui pensieri del personaggio, frequentemente l'autonomia stessa del personaggio è messa in forse. La realtà inventata appare enigmatica e nebbiosa, mutilata, e l'impegno non è più a descriverla, ma ad afferrarne qualche brandello, o a mostrarne i riflessi nella percezione, anch'essa malcerta, dello scrittore. Ma i romanzieri si sono anche resi conto che le barriere tra voce dello scrittore e voci dei personaggi, le gerarchie di attendibilità fra discorso diretto, indiretto e indiretto libero, sono una finzione rispetto a una materia narrativa che • è tutta, ed esclusivamente, dello scrittore. Ecco allora che i registri linguistici possono scambiarsi entro o fuori delle virgolette, che narrazione e discorso riportato possono mescolarsi e alternarsi, che si affermano nuovi tipi di discorso, come il monologo interiore e il flusso di coscienza. L'orchestra che il narratore dirige è composta di una sola voce infinite volte rifratta: la sua.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==