costitutiva dello svelamento, con cui Rops ha spesso strutturato le sue composizioni erotiche. Ecco posto senza mezzi termini, fin dall'inizio, il quesito che dall'instaurazione del monoteismo assilla la civiltà cristiano-giudaica: c'è un solo e unico «buon» modo di guardare, di vedere? Ci sono dei «buoni» e dei «cattivi» fantasmi? Un solo sistema di credenza e di percezione deve considerarsi legittimo? Infine, c1 si domanda quale evoluzione, a partire dal Rinascimento, abbia presentato la funzione sociale della censura - non solo la censura della Chiesa, ma tutte le sue altre forme amministrative, politiche ecc. Questi interrogativi non si riferiscono alle società totalitarie, fasciste o staliniste, di cui è nota la sanguinaria efficienza nel regolare questo tipo di problemi, ma alle vecchie democrazie europee che godono di una reputazione di permissività. Le due mostre, contemporanee fra loro, di Rops e di Grosz capitano al punto giusto, per riformulare questi interrogativi in termini artistici e suggerirci risposte parziali, circostanziali. In questo momento, in Vaticano, si sta svolgendo un tragicomico dramma di coscienza (che non ha nulla a che vedere, certamente, con quello che Panizza descrive nel Concilio d'Amore). Il papa lascerà che giungano a compimento i lavori di restauro della Cappella Sistina? I restauratori riceveranno ordine di togliere tutti i famosi drappeggi dipinti sopra gli ignudi di Michelangelo - ivi compreso quello sulla figura di un uomo nudo, al centro del Giudizio Universale, che si china in avanti presentando il deretano? La censura operata da Daniele da Volterra, su ordine di papa Paolo IV, verrà dunque cancellata? È molto probabile che fra gli show televisivi all'aria aperta, i proclami contro la liberalizzazione dell'aborto e le strette di mano a Le Pen e Almirante, il capo della Chiesa cattolica prenda la decisione più scontata. A distan:z;adi secoli, la spada della censura finisce per spuntarsi. Le sale proibite del Museo di Napoli sono state aperte al pubblico già da parecchi anni, e i famosi disegni di Leonardo conservati a Windsor sono stati esposti a Milano, con la cauzione della Scienza, ivi compresa la «tavola anatomi.- ca» in cui figurano esplicitamente tanto le attività eterosessuali che quelle omosessuali, rappresentate di lato e in sezione. La classificazione delle opere erotiche in categorie stagne - scientifiche, artistiche, pubblicitarie, pornografiche ecc. - ha ancora senso? . Mi rivolgevo questa domanda, non molto tempo fa, a proposito di un cartellone pubblicitario affisso in Francia da una agenzia che cercava di suscitar scandalo. Una donna giovane si spogliava in fasi successive: «Tolgo l'alto ... tolgo il basso», finendo di fatto con lo scandalizzare una associazione femminista che denunciò•il caso, e lo stesso ministero per i Diritti della donna, che redasse un comunicato di protesta. Quasi nello stesso tempo, un. quotidiane pubblicò nel suo supplemento culturale . la splendida foto di Matisse, presa da Brassai' nel 1939,.in-cui lo si vede nel suo atelier, con il suo camice .bianco, gli occhiali inforcati sul naso e l'album degli schizzi in mano, mentre esamina con sguardo fisso e intenso il pube di una modella che posa nuda, davanti a lui, con le mani sul capo! C'è del resto una tavola di Rops - dal titolo. Ecchimosi - che riproduce la stessa scena. Nessuna protesta., Nessuno, a posteriori, ha trattato Matisse da «maniaco· sessuale»,- da «perverso», da «violatore dell'intimità femminile». È forse perché protetto da una specie di aura artistica, mentre il cartellone scandaloso avrebbe soltanto avuto una finalità commerciale? Dove finisce il pudore, dove comincia la sconcezza? Da che cosa si distingue un fantasma «buono» da uno «cattivo»? Come discernere lo sguardo che sublima, dell'artista, e lo sguardo concupiscente, dell'erotomane? Quesito futile, forse, ma tale da non-aver mai perso il primo posto nella scena culturale, dall'epoca di Paolo IV a quella di Giovanni Paolo II. Tutti i prefatori delle recenti mostre consacrate a Rops hanno sollevato questi problemi e hanno proposto punti di vista e soluzioni estremamente varie, naturalmente senza risultati concreti. Ignoro in quale misura- probabilmente infima - le prefazioni alle mostre e gli articoli di giornale determinino realmente lo sgµardo del pubblico, ma ben più delicata risulta la selezione, assolutamente capitale, delle opere, il loro ordine, la loro illuminazione, il quadro istituzionale che è loro imposto. Bisogna dirlo con chiarezza: alcune delle opere più importanti di Rops - sicuramente disponibili - sono state scartate. Penso, in particolare, a quelle che trattano della masturbazione, incantatoria o meno, nel suo intimo rapporto con l'invocazione religiosa. Si è cercato di minimizzare o cancellare la parte «sconveniente» del lavoro di Rops, escludendola: la prefazione del conservatore del Musée des Arts décoratifs non tenta nemmeno di nasconderlo. Una volta di più, è triste constatare che l'orientamento ideologico di un'operazione culturale di questo tipo e di questa ampiezza - internazionale - è indicato più chiaramente tla quanto si è deciso di censurare piuttosto che da quanto si è ~eciso di esporre. Esporre come, in quale luce ideologica? Per quanti non hanno potuto vedere questa manifestazione dedicata a Rops, è da segnalare che una videocassetta ufficiale, divulgativa e storicistica, veniva proiettata in una sala della mostra. Attraverso il commento e la scelta delle opere commentate, questo film cercava deliberatamente di distogliere l'attenzione dalle opere erotiche del pittore, sottovalutandole. Per esempio, tale documentario mostrava a gran velocità l'incisione dal titolo Il Sacrificio, deplorandone il contenuto e tenendo conto solo della parte superiore. Ora, nella parte inferiore di quest'opera, sul basamento della statua vivente, Rops ha inciso una immagine .chiave: la morte che si masturba con un osso. Il museo in quanto istituzione - nella fattispecie, il Louvre - ha dunque deliberatamente assunto Dai trappisti l'ambiguità della propria funzione che non consiste certo nel fornire al pubblico delle mostre oggettive o delle informazioni neutre (sogno irrealizzabile al fine di stabilire un contatto, non mediato dall'ideologia dominante, tra pubblico e artisti) ma piuttosto nell'esibire/inibire, wostrare/nascondere, scoprire/sotterrare, esprimere/censurare, proporre/escludere, dire/tacere ... Non è mia intenzione polemizzare con i detrattori di Rops - benché egli stesso abbia speso molto tempo ed energia a battersi contro la Chiesa, lo Stato, l'Esercito, l'Idiozia-, vorrei infatti evitare ogni scontro di argomenti tipo «Le nostre perversioni valgono le vostre», «La nostra Verità è più solida della vostra», o infine «Meglio l'oscenità che il puritanesimo ipocrita». Sarebbe tempo perso, mentre è più sensato, oggi, interrogarsi sulla funzione sociale del mito secondo il quale deve necessariamente esistere una istanza morale, sociale, politica «superiore» al pensiero creatore, tale da determinare i principi e i criteri in base ai quali l'arte cessa di essere arte per cadere nella «perversione», «l'ossessione maniacale», «l'oltraggio al pudore», «l'offesa all'Esercito» ecc. Sono in causa, qui, non tanto il gusto o l'appartenenza ideologicopolitica di uno piuttosto che di un altro funzionario, o operatore, o critico, o mercante, quanto invece le modalità di funzionamento concreto dell'industria culturale. L a straordinaria - benché incompleta - mostra dedicata agli anni berlinesi di Grosz che si è appena· tenuta a Palazzo reale fornisce una prova inconfutabile che gli stessi problemi si pongono da un paese all'altro, da un secolo all'altro. Grosz è morto a Berlino, nel 1959, al rientro dal suo esilio americano. Nel 1969, la polizia sequestrava ancora alcune sue tele, giudicate oscene, ed esposte nella galleria Stuart di Los Angeles. Il processo intentato al direttore della galleria doveva durare diciannove mesi. Era solo l'ultimo di una interminabile serie di scontri fra un visionario e la cultura egemone. Poco prima, sempre negli anni Sessanta, una mostra di Grosz alla galleria dell'Obelisco era stata chìusa dalla questura romana, con il pretesto dell' «immoralità» e del-. l'«oltraggio al pudore». Grosz, in vita sua, ne aveva viste ben altre! Passò in giudizio a diverse riprese, durante la Repubblica di Weimar e il nazismo, a causa dei suoi album: Gott mit uns (antimilitarista), Hintergrund (alcune tavole del quale - fra l'altro il Cristo con la maschera a gas - furono riprese come maquette delle scene del Buon soldato Schweik, nella regia di Piscator), Ecce Homo ( «scene di bordelli, scene d'amorè, scene della vita sociale e politica»). Fu condannato per «oltraggio alla religione», «insulti ali'esercito», «oltraggio alla morale pubblica», «offesa al senso innato del pudore e della morale del popolo tedesco». Questo nel 1923. Dieci anni più tardi, le autorità naziste lo· incolparono di «bolscevismo culturale», accusandolo per di più di produrre «arte degenerata». Una volta ancora, i suoi album furono sequestrati e, come se non bastasse, distrutti; la nazionalità tedesca gli venne tolta. Un onore supremo per un ribelle, internazionalista e antipatriota viscerale, che aveva dato come sottotitolo a tre dei suoi album «La bruttezza dei tedeschi» e che si accaniva contro i miti fondatori del militarismo e del nazismo. Grosz ha commesso un sacrilegio denudando i corpi repellenti degli dèi wagneriani imborghesiti. Penso al disegno intitolato Germanicus (1921) in cui la walkiria piccolo-borghese ha per unici indumenti un primitivo perizoma, una vera e un crocefisso, di fronte al suo eroico sposo, panciuto, con l'elmo, con la «lancia magica» in una mano e il sigaro nell'altra, il sesso in aria e le scarpe chiodate ai piedi (esiste una variante di questo disegno in Ecce Homo: la grossa «dea» è nuda e una bambina, nuda anche lei, ammira !'«eroe»). È facile capire perché, dopo la sconfitta del 1918, i nazionalisti prussiani siano esplosi in crisi di collera, davanti a tali disegni. Grande merito della mostra di Palazzo reale è l'avere, per una .,volta, collocato la vita e l'opera di questo gigante dell'arte del Novecento nel contesto sociale e politico della Berlino del dopoguerra. Le prime tre sale dell'esposizione erano riservate ai documenti - raccolti e prestati dalla Fondazione Feltrinelli - in apposite vetrine. È straordinario poter esaminare, anche sotto vetro, i cartelloni, i volantini, i proclami, i libri e le riviste cui Grosz e i suoi amici hanno collaborato. È importante che il lavoro del pittore non sia, come al solito, presentato come un dono del cielo - ed è stato invece il caso della mostra, senza contesto, nel più completo vuoto sociale ed estetico, dei quaranta piccoli capolavori di Grosz, a Brera nel 1983 - ma come elemento di un insieme polisemico, composito, vivo, orientato in varie direzioni. Si potevano vedere, con interesse, dei documenti che riguardavano il cancelliere Ebert (il «socialista» che dichiarò: «Odio la rivoluzione!»), i martiri Rosa e Karl, gli operai e i disertori destinati a costituire l'effimera Repubblica dei Consigli operai, i bambini impegnati a raccogliere pezzi di carbone per strada, Hitler, Ludendorf, le prime sfilate naziste, gli scioperanti, gli spartachisti e, in mezzo ai disertori, i borghesi con il cappello di feltro, il fucile sulla spalla, inginocchiati, per strada, dietro a una mitragliatrice. Questo materiale, affiancato alle opere d'arte, costituiva la migliore introduzione all'opera di un uomo che fu, più d'ogni altro, un «prodotto» del suo tempo. «Prodotto» geniale, ribelle, ma pur sempre «prodotto». Grosz .aveva il dono di scovare titoli azzeccati e di scrivere poemi- ·slogansche rispedivano in faccia ai suoi avversari le loro stesse parqle. Alterò persino il grido di guerra dei nazionalisti, Deutschland . uber alles, facendone una splendida parola d'ordine erotica che servì da titolo al suo album, Uber al- /es die liebe (Prima di tutto l'amoT re). Straordinario per la sua pro.: . lissità, la sua forza, il suo candore, si consacrò interamente all'espio- . razione di due temi principali e talora simultaneamente all'uno e all'altro: l'amore e la guerra (ivi s: ~ .s ~ .Cl, ~ °' ....... ~ ~ E ~ ~ ..., ~ ti s ~· li - ~ s ~ ~ j Cl. §- ----~--------~-----------~----~----~----~-----~-------~-------~------~----~----
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