Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Il teatrotradizionale-cines Kun - Opera di Nanchino 28° Festival dei Due Mondi Spoleto, Teatro Caio Melisso Chuan - Opera del Sichuan 28° Festival dei Due Mondi Spoleto, Teatro Nuovo «Siete venuti qui per far9 del teatro, ma ora I dovete dirci: a che cosa serve?» B. Brecht e on la settimana dedicata al teatro cinese il Festival di Spoleto ha offerto quest'anno una grande occasione per interrogarci, come Brecht nel discorso in versi agli attori-operai danesi, sulla vera natura del teatro, sul suo modo di essere e sulla sua destinazione, oggi sempre più vaga, e equivoca, e sulla vitalità che conservano le forme teatrali del passato, senza aggiornamenti e rimaneggiamenti. Il teatro tradizionale cinese - a cui in Occidente viene accostata la definizione impropria di «opera» e che in cinese si chiama semplicemente «spettacolo» - trasmette una tradizione dalle origini remote che, giunta nei secoli alla sua piena maturazione, si è per così dire cristallizzata, perpetuandosi come arte preziosa e gelosa della propria integrità. Il ricco programma di Spoleto ne ha dato due versioni complementari: quella colta, del genere Kunju, presentata dalla Compagnia di Nanchino, e l'opera di tipo popolare Chuan, della Compagnia provinciale del Sichuan. Le due forme di teatro, pur differenziandosi notevolmente per le opposte destinazioni socio-culturali - il Kunju è anche un vero e proprio genere letterario, apprezzato al suo nascere negli ambienti colti e raffinati della splendida Suzhou, la Venezia d'Oriente-, hanno una matrice comune che, attraverso le molteplici trasformazioni nel corso dei millenni, risale alle danze rituali accompagnate dal canto, dalle preghiere e dalla musica, con cui i membri viventi di una stirpe si mettevano in contatto con gli antenati divinizzati. Di questa composita natur-a· il teatro cinese ha conservato le caratteristiche più peculiari, pur evolvendosi nelle diverse forme regionali e dialettali, fortemente influenzate, nella componente musicale, dagli apporti esterni centro-asiatici o meridionali. In una storia della tradizione teatrale cinese entrano nell'ordine le forme più semplici di spettacoli di piazza, poi il teatro come genere letterario, per giungere alle forme più rarefatte del teatro da «camera», che ha infine dato vita all'Opera di Pechino e alle opere locali del tardo Impero. II teatro Kunju è certo tra i più difficili, e richiederebbe da parte del pubblico almeno una somma- ~ rio conoscenza delle caratteristie::s che del teatro cinese in genere. -5 L'aver inaugurato la manifestazio- ~ c:i.. ne spoletina proprio con il brano ~ apparentemente più inaccessibile, .......h. a certo pregiudicato la possibilità ~ di recepirne il valore, mentre il -c:i E ricco repertorio avrebbe consenti- ~ to un accostamento per gradi. ~ "' L'effetto sortito è stato, tuttavia, Ì!2 in positivo e in negativo, quello ~ più appropriato: di sorpresa, di di- ~ sorientamento. ~ II teatro cinese, più di ogni altra ~ tradizione teatrale, immette direttamente al centro di un'esperienza culturale del tutto originale, che ha dato vita a una concezione dell'arte autonoma e diversa - concezione dell'arte che è anche concezione dell'uomo, delle relazioni sociali, dei rapporti di classe, della struttura politica. Vilma Costantini tevole dose di esperienza umana e di intelligenza della vita e un'acuta intuizione di ciò che è socialmente importante». Quali sono dunque i segreti di quest'arte scenica di cui l'attore è depositario? Innanzi tutto il simbolismo del trucco e dei costumi. Pornocrate (1878) P er millenni l'arte cinese, nella più generale accezione, ha restituito un'immagine simbolica del reale nel suo dover essere, del quotidiano reso tipico e innalzato «un gradino più su». In tempi recenti, nel formulare i principi teorici, della «letteratura e dell'arte rivoluzionaria», anche Mao Zedong auspicava una rappresentazione più alta e più intensa del reale, allo scopo di colpire l'attenzione delle masse e aiutarle a proiettare in avanti la storia. Nel teatro si è sviluppato e perfezionato un complesso linguaggio dei segni: il gesto, la voce nel canto e nel recitativo, gli elementi cromatici, il trucco, i costumi, la musica, il soggetto da rappresentare si integrano e convergono nell'elemento di fusione che è la figura dell'attore, depositario e geniale interprete di questo linguaggio. Assistendo a una tournée di Mei Lanfang, uno dei più grandi attori di tutti i tempi, Brecht fu straordinariamente colpito dalle soluzioni escogitate dalla tradizione teatrale cinese per abbattere uno degli ostacoli che egli vedeva nel teatro contemporaneo, la «quarta parete», la protezione ideale dietro la quale gli attori del teatro borghese si nascondevano per poter interpretare la realtà sulla scena. La tecnica dello straniamento, la capacità di esprimere adeguatamente il «fuori di sé», è stata definita da Brecht il più grande pregio della recitazione di un attore cinese», che è «più valida e più degna di un essere pensante, ed esige una noQuando un attore si presenta in pubblico, i suoi ricchi costumi, il copricapo e il trucco fanno già riconoscere il personaggio, all'interno del repertorio fisso di ruoli, che non hanno più alcun legame storico o geografico: il gentiluomo-studente, l'uomo anziano, il militare, il comico, la donna virtuosa, la giovane affascinante e sfacciata, la signora anziana, la donna-guerriero, la servetta. Anche l'andatura, l'incedere sulla scena, denotano il rango e Il diritto al lavoro . l'importanza del personaggio. I complessi movimenti delle mani e dei piedi, che rispondono a una simbologia precisa, si differenziano a seconda degli stati d'animo. Con i gesti è possibile mimare anche oggetti e azioni che non compaiono realmente sulla scena. Tutto è artefatto: il pubblico occidentale è colpito in particolare dal tipico falsetto con cui gli attori, uomini e donne, abituati da sempre a scambiarsi i ruoli - e più gli uomini a interpretare parti donne - hanno caratterizzato la recitazione. Anche la musica è in genere ripetitiva. L'autore del testo sceglieva una delle arie o melodie che il repertorio locale gli metteva a disposizione, adattandovi i toni, le rime e la lunghezza dei versi. Nonostante la rigidità di un sistema di segni così complesso, la scena cinese riesce sempre a animarsi, a riempirsi di vita propria: è la fantasia dei trucchi, l'alternarsi dei colori, i corpi in movimento, l'abilità degli acrobati e dei prestigiatori. II teatro cinese ripropone la magia del circo, sempre nuovo e sempre fedele alla sua formula. G Ii spettacoli che, la compagnia del Sichuan ha portato a Spoleto ne danno un esempio di alta perfezione formale. Vi sono tutti gli elementi: la favola che armonizza divino e umano mettendo insieme una folla di personaggi del pantheon buddhista, le smorfie dei comici, le acrobazie spericolate, sottolineate dagli strumenti a percussione, la girandola dei colori e la fantasia dei costumi, i corpi che si accaval- ·1anonella lotta mimata con l'ausilio di qualche elemento mobile, sul fondale assolutamente piatto e appena decorato. Si è in presenza di un teatro anti-naturalistico per eccellenza, che ha sostituito là rappresentazione del reale col simbolismo dei gesti, dei suoni e dei colori, tra i quali si allacciano rapporti complessi e sfuggenti, diretti più alla fruizione razionale che emotiva. In questo senso per il teatro cinese potremmo azzardare la definizione di post-moderno. Niente è affidato all'invenzione sulla scena: l'attore si serve di artifici gtià inventatì che usa come «citazioni» e nell'usarli, nello sceglierli appropriatamente, dispiega tutta la sua abilità tecnico-formale - vocale, mimica o ginnica - che non implica necessariamente una immedesimazionb (come avviene per l'attore occidentale) nel ruolo interpretato, ma piuttosto nella tecnica di interpretazione. E d'altra parte il pubblico in sala non si identifica con l'attore, al quale si richiede di rappresentare l'idea di un personaggio, non la sua realtà complessa e immanente. È inutile dire che, privato di una partecipazione emotiva, il pubblico del teatro cinese è stato ed è quanto mai indisciplinato. Dei numerosi atti di una rappresentazione sceglie solo quelli che preferisce: entra, esce, si distrae, mangia, beve e fa commenti ad alta voce. II pubblico non colto, s'intende. Giacché il teatro cinese ha due facce e pur nella stretta interdipendenza, pur con l'impiego degli stessi mezzi espressivi, il teatro colto, che per secoli ha allietato le magnifiche residenze private, è un puro gioco intellettuale, basato sull'assenza di movimento e di spettacolorità. Teatro di suggerimenti, di percezioni da analizzare e scomporre, esso ha una scena spoglia di arredi e povera di personaggi, spazio che si autoproduce per mezzo di uno scarto minimo dei corpi e delle voci, in cui anche gli strumenti, a corda e a fiato, si incaricano di rendere fluido il passaggio da un mezzo espressivo all'altro e di non prevaricare sulla fabula, che del resto è tenue, sfibrata, quasi impalpabile. 11 Padiglione delle peonie, con cui la Compagnia del teatro di Nanchino ha inaugurato la settimana cinese a Spoleto, è un classico di questo genere. Ne è autore Tang Xianzu (1550-1617), considerato per la coincidenza cronologica lo Shakespeare cjnese. Il testo, in cui risaltano in particolare i brani poetici affidati al canto, consente l'osmosi e la permeabilità totale tra i vari tipi di linguaggio. Per secoli la vicenda d'amore di Du Liniang, la fanciulla che si strugge e muore per un'incorporea immagine onirica, è stata accla·matacome uno dei vertici poetici del Kunju. Sulla scena nessun elemento è realistico: la delicata fanciulla, immersa nel sonno fatale che le farà incontrare l'amato, non è presentata in posizione orizzontale - sarebbe oltremodo volgare - ma seduta, immobile, con il capo dolcemente inclinato verso il braccio che non lo sostiene. Ormai alla tragica conclusione, l'ultima fatica terrena di Du Liniang, la preparazione del ritratto che resterà come pegno d'amore per un futuro incontro post mortem, fuori dalle leggi biologiche, è resa ton pochi gesti che consentono di percepire l'azione del dipingere: la servetta prepara l'inchiostro grattando la tavoletta immaginaria, la bella si guarda allo specchio e si autoritrae con l'aereo movimento delle dita che sorreggono il pennello inesistente. L'estrema rarefazione è resa anche dal linguaggio raffinato delle vesti. II modello delle stupende tuniche di seta, che la protagonista sostituisce continuamente, è sempre lo stesso, cambiano invece i ricami dei fiori che indicano il passaggio delle stagioni e il colore del tessuto che suggerisce lo stato d'animo si va sempre più spegnendo nel bianco, il non-colore della non-vita, del dramma che sta per risolversi. Meno noto del teatro giapponese del N6, che è il risultato di una lunga evoluzione parallela, iniziata da un archetipo comune, il Kunju nel suo farsi poesia del gesto, della parola, del suono, ci consente ancora di cogliere il teatro dell'essenza e di goderne pienamente l'inesauribile gioco. Depoitier (1856)

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