Delirioe conoscenza Mario Rossi Monti La conoscenza totale. Paranoia, Scienza e Pseudoscienza Milano, Il Saggiatore, 1984 pp. 141, lire 13.000 Alan Musgrave Metodo o follia? Prospettive sull'epistemologia odierna a c. di Emanuele Riverso Roma, Boria, 1982 pp. 157, lire 9.000 M.D. Grmek «Per un demitizzazione della presentazione storica delle scoperte scientifiche» introduzione a Autori vari La scoperta scientifica. Aspetti logici, psicologici e sociali Roma, Armando, 1985 Honoré de Balzac La ricerca dell'assoluto Milano, Garzanti, 1979 « Though this may be madness, yet there's method in it» Shakespeare, Amleto, a. II, se. 2 L e pretese di verità dellf-1conoscenza scientifica, e soprattutto le maniere in cui sono state rappresentate dall'epistemologia contemporanea, possono essere messe a confronto con le strutture del delirio paranoico, così come emergono dalle descrizioni della psicopatologia. Questo confronto, già avviato da Fried e da Agassi nel 1976, è stato di recente messo a punto da Mario Rossi Monti, in un libro molto stimolante che getta una nuova luce su questa complessa e inconsueta problematica. La scelta, già trasparente nel titolo (La conoscenza totale. Paranoia, Scienza e Pseudoscienza), è tutt'altro che ingenua e innocente: ci piace interpretarla come un ammonimento nei confronti di qualsiasi assunzione acritica e apologetica della Scienza come luogo di produzione della Verità; ma, soprattutto, come un ammonimento verso quelle epistemologie che di tale verità hanno fornito una rappresentazione astratta e disincarnata: ricalcata sui risultati di una determinata disciplina più che sulla sua processualità interna e sul suo funzionamento concreto; sui suoi esiti formalizzati post-festum più che sul suo andamento quotidiano, spesso incerto, irregolare e contraddittorio. Il nocciolo paranoiacale della scienza La liceità di un confronto tra paranoia e scienza emerge sullo sfondo di un'opzione esplicita dell'autore, evidente anche se non dichiarata scopertamente: la scienza ci viene restituita attraverso il filtro teorico-rappresentativo messo a punto dal lavoro degli epistemologi; la paranoia, a sua volta, nella straordinaria varietà delle sue configurazioni, ci viene descritta e restituita, più che all'interno di un confronto diretto con una serie definita di casi clinici, attraverso un esame comparativo delle diverse concettualizzazioni messe a punto dalla psicopatologia. Il lavoro del confronto coinvolge dunque sistemi teorico-rappresentativi e livelli ben·consolidati di concettualizzazione, abbandonando espressamente il terreno della verifica empirica diretta e dell'esemplificazione storica puntuale. L'opzione dell'autore, che è uno psichiatra militante, rende più agevole lo sviluppo della problematica comparativa: infatti, è proprio muovendosi nell'ambito delle sistematizzazioni compiute che il «nocciolo paranoiacale» della scienza emerge con grande evidenza. Già Freud, nel 1913, in Totem e tabù, scriveva che il delirio del paranoico rappresenta la «caricatura» di un sistema di pensiero. Un anno dopo, come ricorda l'autore, Sandor Ferenczi insisterà su questa analogia tra «sistemi filosofici» e «sistemi deliranti paranoici». L'attaccamento ostinato alle «idee dominanti» e la dogmatica difesa della loro validità - anche e soprattutto contro le «confutazioni» che potrebbero falsificarle - rappresentano dunque un tratto delirante che accomuna la dimensione normale dello scienziato, del pensatore, e quella patologica del paranoico. Tuttavia, questa pretesa totalitaria, che aspira a una piena corrispondenza tra teoria e fatti, è per la scienza un ideale regolativo, mentre per il paranoico rappresenta un modo di essere, tragico e necessario. C'è poi una seconda diversità essenziale: la teoria dello scienziato si realizza, e trova i suoi momenti di rafforzamento, di sviluppo, oppure di confutazione e di crisi, all'interno di una comunità scientifica reale. La costruzione delirante del paranoico, al contrario, fa riferimento a una pseudocomunità paranoica: «un'organizzazione immaginaria di persone che il paziente considera coalizzate allo scopo di compiere azioni pianificate contro di lui» (M. Rossi Monti, p. 99). La prima di queste due differenze fondamentali sfuma quando la paranoia viene confrontata a una pseudo-scienza come la psicoanalisi. Tale dottrina - e qui l'autore si muove sulla falsariga di Popper e di Medawar - è non-scientifica in quanto non-falsificabile: attraverso un processo continuo di «autocorroborazione», essa accomoda a sé tutto il reale; i materiali empirici che sarebbero in grado di confutarla vengono caparbiamente piegati alle istanze di una scelta teorica preliminare, considerata per definizione vera e inattaccabile. Il metodo nella follia, la follia entro il metodo dell'analisi scientifica: a Freud non sfugge tale problematica quando, in Costruzioni nell'analisi (1937), riconosce un «nucleo di verità» nel delirio, e afferma che le «formazioni deliranti del malato» 'possono essere viste come «l'equivalente delle costruzioni che noi erigiamo durante i trattamenti analitici». Non c'è dubbio che questo importante nodo teorico meriterebbe una disamina particolare: si tratterebbe, innanzi tutto, di distinguere accuratamente la soglia di scientificità della psicoanalisi dai suoi effetti di verità; si tratterebbe, in altri termini, di vedere un problema laddove l'analisi logica del discorso tende a individuare solo una contraddizione: come è possibile che una soglia di scientificità debole possa produrre effetti di verità tanto potenti e protratti così a lungo nel tempo? Una distinzione molto accentuata tra criteri di scientificità e criteri di verità potrebbe farci guardare con occhi diversi anche alle cosiddette scienze «forti»: potrebbe farci scoprire, al loro interno, la presenza e l'efficacia di una polizia discorsiva, che un'analisi formale del discorso scientifico ha sempre ignorato o sottovalutato. Mario Galzigna L'autore, pur non adottando questa prospettiva critica, dimostra in ogni caso molta «prudenza» epistemologica, quando, utilizzando soprattutto Lakatos, denuncia l'assenza di un limite preciso tra scienza e pseudo-scienza: vede cioè in termini molto problematici la possibilità di individuare un criterio definitivo di «demarcazione», come vorrebbe Popper, tra accomodamenti scientifici e accomodamenti pseudo-scientifici. Caratteristica essenziale di ogni impresa scientifica sembra proprio essere, in definitiva, questa formidabile capacità di accomodare a sé il reale, di piegare alle proprie scelte teoriche preliminari tutta una serie di fatti e di riscontri empirici che potrebbero confutarla o metterla in crisi. Per dirla con Lakatos: il nucleo centrale solido (hard core) di un programma di protezione (protective belt); questa cintura rappresenta la parte elastica di tale programma, ed è caratterizzata da teorie che possono essere continuamente modificate, o sostituite, per far fronte ai problemi, alle anomalie, alle difficoltà che potrebbero intaccare la validità del nucleo. Ybris epistemologica Tra scienza, paranoia e pseudo-scienza - nonostante l'assiduo lavoro di differenziazione portato avanti dall'epistemologia - scorre dunque un filo sottile di continuità, un margine di indecidibilità che rende precaria, se non fittizia, una demarcazione netta e definitiva. Se fino a ieri ci è parso facile, o addirittura scontato, denunciare la follia nell'uso della scienza, nel suo destino sociale e politico, ora possiamo spingerci più avanti: possiamo forse stabilire, di volta in volta, in quale misura la follia abiti entro il perimetro stesso del metodo scientifico. Il lavoro di Alan Musgrave - pubblicato recentemente in una varia e interessante collana di epistemologia, diretta da Dario Antiseri - sembra scritto per esorcizzare questa temibile eventualità. Musgrave tenta di «salvare» le teorie di Lakatos, scongiurando una loro possibile lettura in una chiave «anarchica», favorevole alle posizioni di Paul Feyerabend. A parte l'evidente proposito di un regolamento di conti all'interno della comunità degli epistemologi, la posta in gioco di questo testo sembra evidente: «liberare Lakatos dall'anarchismo» (A. Musgrave, p. 74) significa difendere l'oggettività dell'impresa scientifica, emancipandola totalmente dalle variabili soggettive, «decisionali» e sociali che la caratterizzano. Qui, come altrove, il lavoro epistemologico svela la sua ybris costitutiva: la sua sovrana indifferenza alle pratiche effettive della ricerca scientifica, il suo patetico tentativo di fornire direttive e prescrizioni allo scienziato, di imporgli dall'esterno una legislazione concettuale, un codice di comportamento teorico, un canone metodologico. Testi come quello di Musgrave rendono sempre più difficile la comprensione di quello che vorrei chiamare l'enigma della verità scientifica: il fatto cioè che una conoscenza «oggettiva» della realtà abbia sempre dovuto coesistere con variabili soggettive, culturali e storiche. Solo un'epistemologia reificata e asservita al canone idealistico può slegare il momento oggettivo dal gioco complesso di tali variabili, spesso occultato dall'apparato formale del sapere scientifico; un gioco attraversato dalla follia, dall'arbitrarietà, dal caso; un gioco che per essere compreso nella pienezza richiede, quanto meno, una pluralità di approcci e una molteplicità di punti di applicazione. Una spiegazione globale dell'impresa scientifica deve dunque partire dall'accettazione di tale molteplicità e dalla rinuncia a considerare egemone ed esaustivo un singolo approccio analitico, sia esso logico, psicologico o sociologico. «I tre approcci - ha scritto di recente Grmek - sono concorrenti, antagonisti e complementari» (M.D. Grmek, p. 41). La loro attuale frammentazione, che spesso non è che lo specchio della quadrettatura disciplinare prodotta dalle istituzioni accademiche, costituisce un potente ostacolo a una visione non settoriale dell'attività scientifica. Il laboratorio della seduzione Su questo terreno, la rappresentazione artistica e letteraria della scienza potrebbe funzionare come un punto di riferimento - anomalo ed eccentrico, certo, ma particolarmente fecondo - del lavoro critico: una rappresentazione che possiede, soprattutto in alcuni casi paradigmatici, quella ricchezza di annotazioni e quel carattere di globalità che è così arduo raggiungere attraverso le strumentazioni parziali e limitate di un approccio analitico. Un primo repertorio storico degli esempi più significativi costituirebbe già da solo una ricerca a sé distruzione nella sua famiglia: questa passione dominante, questa monomania - descritta secon-. do i canoni della psichiatria nascente - ha per oggetto la ricerca dell'elemento assoluto che regola la vita organica e la materia inorganica dell'universo. Dentro un rapporto di continuità con «quella chimica trascendente che è l'alchimia» - che solo gli «ignoranti» sono «abituati a condannare» - Claes mobilita tutte le sue risorse, emotive, intellettuali e finanziarie, verso la costruzione di una «chimica unitaria», capace di individuare «un principio comune errante nell'atmosfera», una «sostanza comune a tutte le creazioni, modificata da una forza unica». La struttura del delirio si confonde, qui, con la strutturazione stessa del ragionamento scientifico e dei procedimenti di laboratorio che lo accompagnano: un «laboratorio di seduzione», nel quale l'allievo di Lavoisier cerca di dimostrare, attraverso un'attività sperimentale che Balzac descrive con scrupolo, la forza e la validità del suo assunto teorico. Il genio di Balzac riesce a disporre entro un unico cerchio scienza e follia, senza che si riesca a distinguere con certezza il contenente dal contenuto; lo scrittore sembra quasi suggerirci che la pretesa di verità - di assoluta congruenza tra fatti e teorie - messa in gioco dall'impresa scientifica, può trovare sostegno solo nella disperazione tenace e nella determinazione esclusiva di un delirio lucido. L'onnipotenza di questo deRembrandt, Lezione di anatomia del dott. Nicolaas Tulp (1632) stante. Potremmo cominciare, ad esempio, con la Lezione di anatomia del dott. Nicolaas Tulp, di Rembrandt: iJprimato dell'osservazione empirica risalta dalla centralità della mano che disseziona; il peso della tradizione anatomica si materializza nel libro aperto, un po' in ombra, sorretto daJle mani di uno scolaro; la risonanza psicologica dell'avvenimento si gioca nella tensione stupita e nella drammatica concentrazione degli sguardi; la matrice sociale del «nuovo» sapere traspare con evidenza nell'accurata raffigurazione degli abiti. Il gesto pittorico ci restituisce dunque, in tutta la loro intensità, le dimensioni epistemologiche, psicologiche e sociali di un'impresa scientifica, senza pagare lo scotto di un approccio riduttivo e semplificatore. Un altro esempio che vale la pena ricordare - maggiormente legato al tema di questo intervento - è La recherche de l'absolu, che Balzac scrive nell'estate del 1834. Balthazar Claes, un ricco borghese fiammingo del primo Ottocento, è reso folle da una passione esclusiva che lo divora, portando morte e lirio si infrangerà sullo scoglio insuperabile della finitudine: Claes muore, con il «rimpianto di non aver potuto lasciare in eredità alla Scienza la parola chiave di un enigma, il cui velo troppo tardi si sarebbe squarciato sotto le dita scarnificate della Morte». Scienza e follia convivono in questo testo, all'interno di una dimensione eroica, tanto cara alla mentalità romantica. Oggi la situazione è mutata: la passione dominante del monomane lascia il posto alla figura più dimessa e meno trasparente del delirio paranoico; l'attività scientifica, concepita da Balzac come impresa prometeica, come satanico «peccato d'orgoglio», lascia il posto a una routine molto più grigia, maggiormente legata a una pratica collettiva, anche se egualmente tenace ed esclusiva. Lo slittamento semantico modifica i contorni dello scenario, ma lascia inalterata la figura del paradosso: il paradosso di una conoscenza oggettiva, che può talvolta essere garantita dalla continuità spesso invisibile di un delirio.
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