Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Sergio Benvenuto La strategia freudiana Napoli,, Liguori, 1984 pp. 199, lire 15.000 Ludwig Wittgenstein «Conversazioni su Freud» in Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa Milano, Adelphi, 1967 Ricerche filosofiche Torino, Einaudi, 1967 Hans Blumenberg Paradigmi per una metaforologia Bologna, il Mulino, 1969 Sigmund Freud Costruzioni nell'analisi in Opere, voi. XI Torino, Boringhieri A nziché dal punto di vista del sapere psicanalitico, a proposito del libro di Sergio Benvenuto La strategia freudiana risulta facile prendere la parola da un punto di vista filosofico e in generale teorico, poiché nel libro sono poste soprattutto questioni filosofiche e epistemologiche. A cominciare dal titolo, che può essere letto come «la strategia teorica di Freud». Sappiamo che ci sono molti modi per interrogarsi sulle teorie (ad esempio, il modello epistemologico neopositivista, della ricostruzione razionale delle teorie, scompone le teorie in una componente teorica e una osservativa, per poi interrogarsi ossessivamente sul loro nesso, cioè su come la componente teorica che è il calcolo formale si connetta a enunciati osservativi). Benvenuto si interroga sulle teorie psicanalitiche al modo di Wittgenstein: considera la teoria come un gioco linguistico, e si interroga sulla relativa grammatica. Secondo Wittgenstein, la descrizione della grammatica di un gioco è la ricostruzione delle sue regole. Ora (e questo è mostrato molto bene nella prima parte del libro, ed è applicato nello stile argomentativo della seconda parte), per Wittgenstein la ricostruzione grammaticale delle regole di un gioco non è un lavoro metalinguistico, non è cioè l'enunciazione astratta di un sistema di regole, come se il gioco in questione fosse un calcolo. Le regole di un gioco non sono il suo schema metodologico o il suo scheletro epistemologico espresso in metalinguaggio. Le regole di un gioco sono invece il nesso radicale del gioco con una forma di vita, con un orizzonte di senso, di forme, di significati, di atteggiamenti, di pensieri (nelle parole, nei giochi, si pensa una forma di vita: le parole sono pensanti). Wittgenstein dice qualcosa sulla grammatica del gioco che è la teoria freudiana: dice che in relazione alla forma di vita da cui emerge la psicanalisi è mito (cfr. «Conversazioni su Freud»). Vorrei riallacciarmi ai temi teorici del libro di Benvenuto sviluppando questa osservazione di Wittgenstein. A mio parere, dire che la psicanalisi è mito è dire qualcosa di più specifico di quanto non sembri a prima vista. A prima vista, pare di essere di fronte al solito gesto impaziente • che colloca la psicanalisi nella chiacchiera non scientifica delle scienze umane. Viceversa, dalle riflessioni di Wittgenstein sul mito psicanalitico si possono ricavare due modi di guardare al modello psicanalitico (e quindi ricavare anche una prospettiva critica nei confronti non tanto della pratica teorica di Freud, quanto delle sue enunciazioni epistemologiche, vale a dire della sua autocoscienza Il mitoanalitico epistemologica: critica che del resto ricorre in tutto il libro di Benvenuto): 1. da una parte, sulla base della metafora del mito, è possibile guardare alla psicanalisi come a una metaforica assoluta; 2. dall'altra parte, parafrasando Wittgenstein, il tema del mito assegna la psicanalisi all'ordine della Klarheit, della chiarezza, del modo di vedere, e non dell' Erkliirung, della spiegazione. Q uanto al primo punto, mi sembra che Wittgenstein suggerisca che il modello psicanalitico è mito nel senso di assoluto simbolico: partecipa cioè della qualità per cui il mito è produttivo, è macchina di costruzione di oggetti e di realtà, e non ordine di riproduzione conoscitiva del mondo. Quando parlo di «assoluto simbolico», uso «simbolico» nel senso della filosofia delle forme simboliche di Cassirer, e uso «assoluto» nel senso di Blumenberg, nel senso in cui Blumenberg parla di metafora assoluta. Metafore assolute sono forme di conoscenza metaforica, modellizzazioni che sopravvengono - dice Blumenberg - nel vuoto del teoreticamente inadempibile, che sopravvengono a dire l'impensato, a aprire nuove ermeneutiche e nuovi orizzonti di pensabilità. Quando Wittgenstein parla della psicanalisi come modello mitico (o modello ermeneutico, come tende a dire oggi l'epistemologia), opponendolo ai modelli della spiegazione causale e della predizione, mi pare che cerchi di sottolineare l'efficacia del mito come produzione simbolica di realtà. Il mito come forma di poiesis ( e poiesis è qui detto nel senso della Poetica Silvana Borutti di Aristotele, 1450a, 6-9, là dove si parla della poesia tragica come mimesi produttiva della realtà attraverso il mythos, il racconto, la favola. Dice Aristotele che il racconto tragico - a differenza della narrazione storica che parla dell'individuale nella sua accidentalità - è filosofico e teorico, ha capacità di svelamento ontologico perché svela metaforicamente l'essenza della realtà). Il mito quindi come ri-descrizione poietica, produttiva di una veduta che costruisce (parola freudiana), inventa (parola lacaniana) realtà. Col tema del mito, Wittgenstein ci orienta dunque a guardare alla qualità radicalmente ermeneutica del modello psicanalitico, ermeneutica nel senso di costruzione, Il costume di produzione di senso - e non di decifrazione dj un unico senso nascosto (fondamento, Grund). (Da un punto di vista epistemologico, col tema del mito Wittgenstein dice della relazione d'oggetto qualcosa di analogo a quello che nelle Ru;erche filosofiche dice col tema del «vedere come»: cioè dell'oggetto come risultato di un'organizzazione, di una veduta, di un'icona). La seconda riflessione che si può fare a partire dal tema wittgensteiniano del mito è che il modello psicanalitico non produce Erkliirung. Wittgenstein intende con ciò che non produce spiegazione attraverso leggi e nessi causali. Ma intende anche che non produce Erkliirung nel senso di crescita e progresso del sapere per approfondimento, nel senso di ricerca dell'essenza dietro l'apparenza, o ricerca di fondamento (Grund). Il modello psicanalitico è piuttosto produzione di Klarheit: cioè di chiarezza, visione sinottica, veduta strutturale, aggiustamento della visione, visione con ordine e forma. Per Wittgenstein, i modelli che non spiegano, ma comprendono, interpretano, offrono icone che rendono visibili i fatti, speculano (e rispondono così al bisogno di senso e di profondità in una forma di vita), hanno due caratteristiche: A. In primo luogo, sono modelli che non reificano i propri oggetti, che non li pensano in altre parole come oggetti dati con proprietà, ma semmai offrono regole di riconoscimento e di costruzione (ciò che Wittgenstein dice col tema del «mostrare»). Questi modelli mostrano a esempio un comportamento come connesso a un bisogno di punizione, mostrano cioè il comportamento non in quanto fenomeno osservabile, ma in quanto parte di un testo in costruzione (e si può ricordare qui che le filosofie di Hegel e Heidegger sono presenti nel testo di Lacan quasi come operatori di concettualizzazione, o, meglio, come operatori di trascrizione di ogni parola reificante, psicologizzante, biologizzante del campo freudiano, nella sua concettualizzazione). B. In secondo luogo, dice Wittgenstein che dove il lavoro teorico è dell'ordine della Klarheit, l'essenza, la profondità si dà in un ordine di superficie, in un riaggiustamento e riorganizzazione del modo di vedere l'oggetto. Per quanto ciò possa contrastare con quella che ho chiamato autocoscienza epistemologica, o rappresentazione dei rituali scientifici, in Freud (per cui in Freud compare spesso il paradigma delle cause, della spiegazione, dell'essenza), Wittgenstèin direbbe che ciò che si mostra nel lavoro analitico è un ordine di figure di superficie: manifestazioni, rappresentazioni, rappresentanze, gioco di rimandi, fantasmi, apparizioni, ri-presentazioni, specchi, immagini, sintomi, e infine lavoro del significante. Una proposizione delle Ricerche filosofiche (I, § 371) dice: «L'essenza è espressa nella grammatica» (Wittgenstein vuol probabilmente dire che nel significante si mostra la regola, e quindi la profondità della superficie, la forma di vita in cui si costituiscono soggetti e mondi). Io accosterei questo enunciato al freudiano «L'esempio è la cosa stessa» (letto da Benvenuto, sulla scia di Laplanche, nel senso hegeliano dell'identità tra movimenti del concetto e movimento della cosa); e leggerei insieme anche il goethiano «Se l'occhio non avesse natura solare il sol non potrebbe vedere» (Zahme Xenien). I n questi enunciati mi sembra espresso radicalmente il tema della circolarità ermeneutica: cioè la condizione di coappartenenza e mediazione tra interpretante e oggetto. Questi enunciati esprimono una condizione epistemologica: dicono che gli oggetti sono dati entro costruzione e riconoscimento; che la veduta, l'esempio, l'icona mostrano di per sé essenza, forma, organizzazione, cioè la regola secondo cui sono costruiti; che il ricordo non è fatto, ma racconto, immagine del fatto; che non c'è desiderio, ma «legge del desiderio» (Lacan). Epistemologicamente, ciò vuol dire che in psicanalisi si mostra un ordine di regole di costruzione, e non di cause. Nel libro di Benvenuto ricorre continuamente la critica dei luoghi in cui i modelli psicanalitici si rappresentano come discorsi sulla causa e sull'essenza. Osserverei però che dove Benvenuto, analizzando le teorie della femminilità, rileva circoli viziosi (ad esempio in Freud tra sadismo e masochismo, o tra ipotesi della castrazione e veduta sull'assenza del pene), a essere epistemologicamente conseguenti dovremmo riconoscere di trovarci di fronte a circoli emeneutici, cioè alla contemporaneità della costruzione del sapere e dell'oggetto. Se invece troviamo circoli viziosi, finiamo per denunciare la mancanza di principi fondamentali, o di metalinguaggi neutrali; finiamo cioè per porci dal punto di vista della spiegazione. Dal punto di vista della comprensione, troviamo di contro ordini di costruzione e di invenzione della realtà, e quindi una circolarità dei significanti che non dovrebbe richiedere di essere fondata dal privilegio di un significato. La condizione epistemologica delle teorie psicanalitiche, di cui io ho parlato col tema del modello ermeneutico, viene descritta da Benvenuto col tema della dialettica. Benvenuto dice che un pensiero che procede per contraddizione e frammenti come quello freudiano può essere ricostruito come una dialettica di contraddizioni senza sintesi. È difficile però parlare di dialettica togliendo di mezzo il fantasma della totalità. Il pensiero dialettico è quello che toglie l'individuo dal finito per collocarlo nella necessità del destino; è un pensiero che non nega né contraddice semplicemente, ma nega per totalizzare. Nei miti individuali della psicanalisi c'è invece contraddizione senza teologia. Se la rappresentazione è indizio di verità, la verità è significata non come essenza, ma come testo individuale. Risulta allora più agevole, anziché di costruzione dialettica, parlare di costruzioni metaforiche o di ermeneutiche locali dell'individuale.

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