;.Unsocenariofatale .. . . . .. S tadio di Heysel a Bruxelles. Per capirci qualcosa, bisogna tener presente che si tratta di un evento televisivo, direi quasi televisuale, cioè un evento ipermoderno, il che lo differenzia da tutti gli analoghi incidenti verificatisi negli stadi del Terzo Mondo. L'immaginazione non è colpita solo dalla violenza, ma dalla mondializzazione in diretta dell'avvenimento via televisione. Bisogna inoltre sbarazzarsi di tutte le ipotesi banali tipo: come è possibile una simile barbarie in pieno XX secolo, oppure: la violenza è la valvola di sfogo delle pulsioni collettive o della miseria sociale. Tutte queste interpretazioni sono mere ovvietà. Invece di deplorare la resurrezione di una violenza atavica, bisogna considerare che è la nostra stessa modernità, la nostra ipermodernità, che produce una violenza di questo tipo, questi effetti speciali di cui fa parte anche il terrorismo (ci tornerò sopra fra poco). La violenza tradizionale, terzomondista, è molto più entusiasta e sacrificale, insieme rituale e spontanea. La nostra è una violenza simulata, nel senso che, più che dalla passione e dall'istinto, nasce dallo schermo, è in qualche modo in potenza nello schermo e nei media, che in apparenza la registrano e diffondono après coup, ma che di fatto la precedono e sollecitano. Come in qualsiasi altro campo vi è una precessione dei media sulla violenza (come pure sugli attentati terroristici): è proprio questo che la rende una forma specificamente moderna, incomparabile con ta violenza tradizionale. E proprio perciò è impossibile assegnarle cause vere e proprie (politiche, sociologiche, psicologiche: tutte le spiegazioni di questo tipo fanno acqua). L a cosa che mi colpisce di più è il fa~toche'. in_qualch_emodo, tutti quanti c1 aspettiamo, se non proprio speriamo, un evento del genere. Quanto meno, se lo aspetta la televisione (intendiamoci: questo non è un giudizio etico sulla televisione o su quelli che la fanno, è una pura constatazione funzionale e tecnica), al punto che oggi è sconsigliabile trovarsi in un luogo pubblico in cui ci sia la televisione, perché in quel caso c'è una forte probabilità di fatti di violenza, indotti dalla sua sola presenza. C'è come una segreta complicità collettiva nell'attesa di uno scenario fatale, anche se poi quando succede siamo stupefatti o sconvolti. Raccontano un sacco di cose: che i poliziotti inglesi erano mescolati tra i fans del Liverpool per sorvegliarli (strategia della provocazione abbastanza simile a quella della Thatcher), che la polizia e le autorità belghe in pratica hanno fatto di tutto per creare l'V) ~ condizioni favorevoli alla esplosio- .5 ne di violenza (e del resto tutto la ~ ) t::l.. lasciava presagire , ma il tutto è secondario rispetto alla sorta di vertigine, di laissez-aller collettivo verso il possibile carnaio, rispetto alla sollecitazione del modello terrorista. Un evento come questo non è un confronto tra forze ostili, non è uno choc di passioni antagoniste, è ~ il prodotto micidiale di forze anÌ noiate e indifferenti ( di cui fanno ~ parte anche gli spettatori inerti della televisione), è la comunione omicida della indifferenza. La stessa violenza deliberata degli hooligans non è la rivendicazione di alcunché, bensì la forma esasperata della indifferenza, che si può dispiegare solo perché gioca sul fondo di indifferenza generale che caratterizza le nostre società. Più che un evento, questa violenza è in fondo, come il terrorismo, la forma esplosiva assunta dall'assenza di evento. O meglio la forma implosiva: il vuoto politico (più che il risentimento di un gruppo marginale), il silenzio del sociale e della storia (e non il rimosso psicologico degli individui), l'indifferenza e il silenzio di tutti che implodono brutalmente in questo evento a sua volta insensato. Dunque non è un episodio aberrante delle nostre società: appartiene alla logica della loro accelerazione nel vuoto. Ci vedo anche un'altra logica, altrettanto moderna. In quell'episodio, la violenza deriva anche dalla brutale inversione dei ruoli: degli spettatori (i tifosi inglesi) diventano attori. Si sostituiscono agli "attori in campo e, sotto l'occhio dei media, inventano il proprio spettacolo (che, diciamolo cinicamente, è senza dubbio più afJean Baudrillard fascinante dell'altro). Siamo franchi: non è proprio ciò che si richiede alla cultura più moderna? Non si chiede forse a ogni spettatore di diventare attore, di abbandonare la sua inerzia e eventualmente di sconvolgere lo spettacolo? Paradossalmente, proprio qm, in avvenimenti selvaggi di questo tipo, si materializza in modo terrificante l'ideale di una ipersocialità moderna di tipo partecipativo. La si deplora, ma in fin dei La lettura di Alberto Magno conti duecento poltrone sfasciate a .un_concerto rock sono oggettivamente un segno di successo. Dove finisce la partecipazione e comincia l'eccesso di partecipazione? Anche qui c'è una logica, impazzita, forse, ma è pur sempre logica. I Romani potevano legittimamente offrire spettacoli di quel genere, con fiere e gladiatori, direttamente nell'arena, sulla scena. Noi possiamo concederceli soltanto dietro le quinte o sulle tribune, e li riproviamo, in nome della purezza dello sport (benché poi li gettiamo in pasto alla mondovisione: checché se ne dica, quei minuti in televisione sono sin da ora in testa alla Hit parade dell'anno). Ma, alla fin fine, crediamo o fingiamo di credere che l'autentica vocazione dello stadio sia ancora lo sport. Pensiamo un attimo, tuttavia, alle olimpiadi di Los Angeles dell'anno scorso: erano già trasformate in una gigantesca parata su cui calava, come nel '36 a Berlino, un'atmosfera, a suo modo terrorista, da manifestazione di potenza - lo spettacolo mondiale dello sport eretto a strategia della guerra fredda: totale malversazione del principio olimpico. Una volta che il suo principio sia stato sviato, lo sport può venire sfruttato per qualsiasi scopo: parata di prestigio o parata di violenza, esso scade da gioco competitivo e rappresentativo a gioco di circo e di vertigine (mi rifaccio qui alla classificazione di Caillois). Anche qui è la tendenza complessiva delle nostre società: dai sistemi di rappresentazione ai sistemi di simulazione e di vertigine. La politica non fa eccezione. N ella tragedia dello Heysel vedrei anche, senza alcun dubbio, una forma di terrorismo di Stato. Che non si traduce solo in azioni programmate (Cia, Israele, Iran). C'è un modo di perseguire la politica del peggio, una politica di provocazione nei confronti dei propri cittadini, un modo per ridurre alla disperazione intere fasce sociali, che oggi rientra nella politica di molti Stati moderni. Sicuramente in quella della Thatcher. Che è riuscita a liquidare i minatori con uria logica del peggio: facendo sì che si qualificassero da soli agli occhi della società. La medesima strategia ha agito nei confronti dei disoccupati hooligans; di fatto, è un po' come se avesse creato dei commandos di disperati da spedire all'estero - certo, condannandoli in nome della morale, ma in sostanza la brutalità di cui fanno mostra è la stessa di cui la Thatcher dà prova nell'esercizio del potere. Questa strategia di liquidazione (che succede a quella della tutela e del welfare), condotta in modo più o meno drastico con l'alibi della crisi da tutti gli Stati moderni, non può non portare a estremismi di questo tipo, effetti perversi di un terrorismo di cui lo Stato non costituisce affatto l'avversario. In mancanza di una strategia politica determinata, concertata (che forse non è più neppure possibile), nella impossibilità di una gestione razionale del sociale, lo Stato desocializza. Non va più avanti attraverso la decisione, la rappresentazione, la volontà politica - ma attraverso il ricatto, la dissuasione, la simulazione, la provocazione o la sollecitazione spettacolare. Inventa una politica della indifferenza - indifferenza nei confronti del sociale compresa. (Reagan, Thatcher, ma anche gli altri, in una certa mism;a). È la realtà del transpolitico, dietro a tutta una politica ufficiale di partecipazione, che è soltanto una politica di facciata votata allo scacco. Quindi, una duplice strategia, e in un certo senso un cinico partito preso per la scomparsa del· sociale. In qualche modo, gli hooligans non fanno altro che portare al limite estremo i due versanti di questa situazione transpolitica: spingono la partecipazione sino a un limite tragico, e insieme ricattano con la violenza e la liquidazione. Lo stesso i terroristi. E quel che ci affascina in una simile operazione, a dispetto di qualsiasi repulsione umana o morale, è l'attualità del modello, moltiplicato dai media, il cui operato è ambiguo, giacché lavorano contemporaneamente alla informazione e alla liquidazione del senso. Eventi simili ci offrono lo specchio della nostra scomparsa come società politica. L e scene dello Heysel a Bruxelles, che ricordano sia Biade Runner sia Rollerball, sono premonitrici. Non a caso hanno colpito !;immaginazione mondiale. Sono il segno di un evento incomprensibile: l'implosione delle nostre società (delle nostre società più moderne), il loro ritrarsi, il loro contrarsi lento o brusco, sotto la parvenza della espansione e della ricchezza. Sono gli unici avvenimenti affascinanti, perché solo essi ci danno il ·polso della nostra logica indifferente e involutiva, quella logica che gli pseudoeventi detti «politici», del vecchio sistema di rappresentazione, cercano disperatamente di nascondere. (Traduzione di Maurizio Ferraris) . ' ...
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