E, noto il nucleo argomentativo centrale del Romischer Katholizismus und politische Form, pubblicato da Schmitt nel 1923 presso l'editore Jacob Hegner in Hellerau, Dresden (ma già anticipato nel saggio sulla Visibilità della Chiesa scritto nel 1917 per la rivista Summa animata da Franz Blei): per cogliere la radice profonda dell' «inconcepibile potenza politica del cattolicesimo romano» e dunque della «passione antiromana» che essa suscita negli avversari, bisogna risalire alla sua natura di complexio oppositorum, vale a dire alla sua capacità di racchiudere i caratteri più contrastanti sia sul piano politico sia su quello teologico. Sbaglierebbe, tuttavia, chi interpretasse tale complexio come semplice resa alla molteplicità del particolare, perché la sua essenza consiste precisamente «in una superiorità specificamente formale sulla materia della vita». La possibilità di tenere unificati il principio formale del governo e quello materiale della vita in un rapporto che sviluppa entrambi i termini dell'opposizione è garantita alla Chiesa romana dall' «applicazione rigorosa del principio di rappresentazione», la cui peculiarità traspare dal confronto «col pensare tecnico-economico attualmente dominante». Mentre quest'ultimo si chiude in un'ipotesi di assoluta immanentizzazione, il principio politico-rappresentativo tiene fermo il riferimento all'«idea», e cioè a un'«autorità» capace di suscitare un' «etica della convinzione». Tale contrasto non va tuttavia inteso nel senso di una contrapposizione di irrazionalismo vitalistico alla razionalità tecnica dominante, non solo perché il razionalismo tecnico rischia continuamente di rovesciarsi nel suo opposto, ma anche perché il cattolicesimo politico si esprime in una logica giuridica eminentemente razionale. Ma proprio rispetto alla classica forma giuridica si manifesta la qualità specificamente politica del principio rappresentativo. Si diceva che esso deve far sempre riferimento alla realtà di un'idea trascendente. Ora, ciò che conta e che dà insieme ragione del mantenimento di un intenso polo vitaleesistenziale all'interno della rappresentazione, è che tale idea non ha nessun carattere di astrazione filosofica, ma si concretizza nella figura storica del Cristo: «Ma nonostante tutta questa affinità sul piano formale il cattolicesimo è superiore sicuramente perché rappresenta qualcosa di diverso e di più della giurisprudenza secolare, cioè non solo l'idea di giustizia ma anche la persona di Cristo». È proprio questo riferimento personale a dischiudere, dall'interno della forma rappresentativa, la possibilità, e anzi la necessità, della decisione. Da qui, da quest'intreccio irresolubile di decisione e ferma, la potenza politica del cattolicesimo romano. La sua forza e la sua debolezza: fin quando esso resisterà, fin quando terrà l'arduo equilibrio dei suoi termini reciprocamente oppositivi, la Chiesa di Roma conserverà il monopolio del politico. Quando questo non sarà più e la forma opprimerà la ~ decisione o la decisione spezzerà l la forma, allora per il politico sarà ~ l'ora del grande ritiro. SchmiHeGuardini S e è ormai sufficientemente indagata la tematica del Romischer Katholizismus all'interno dell'apparato teorico schmittiano (cfr. G. Duso, «Tirannia dei valori e forma politica in Cari Schmitt», in Il Centauro n. 2, 1981), lo è meno la rete di rapporti e di influenze esterne che la lega strettamente al quadro storico-concettuale della cultura cattolica tedesca del tempo. È vero che alcuni studiosi - da Klaus-Michael Kodalle a Hans Barion a Piet Tommissen - hanno ricostruito l'ambiente del cosiddetto renouveau cattolico nella Germania degli anni Venti: e perciò l'oggettiva adiacenza del saggio schmittiano all'intensa ricerca effettuata in quegli anni da teologi come Przywara, Adam, Tillmann, Lippert, Enschweiler e da filosofi .come Wust, Dessauer, Platz, Grabmann, Hildebrand. Ma proprio perciò risulta ancora più singolare che, almeno a mia conoscenza, non sia neanche segnalata la sbalorditiva corrispondenza tra RoRoberto Esposito und seine Erscheinung dello Heiler (anch'esso del fatidico 1923) - il suo tipo consiste appunto nel comprendere dentro di sé, e governare spiritualmente, tutti i tipi possibili: «Il cattolicesimo abbraccia fondamentalmente tutti i tipi possibili. Di proprio ha soltanto l'atteggiamento cattolico: che cioè ognuno si sviluppi fiducioso secondo la propria possibilità» (trad. it. in Scritti filosofici, a cura e con un'ampia e ottima introduzione di G. Sommavilla, Milano, Fabbri, 1964, p. 290). È questa forza - la schmittiana complexio - che neutralizza tutti gli attacchi possibili: la capacità di ordinare tutte le opposizioni alla concretezza ideale di un unico principio che cala dall'alto. Von oben, diceva Schmitt: «l'atteggiamento cattolico consiste nel fatto che l'atteggiamento particolare determinato dai vari tipi psicologici, etnologici, culturali sia come afferrato dall'alto da un ultimo atteggiamento generale» (ibid.) E così anche qui la moltecondo cui gli opposti polari - che riguardano l'uomo, il mondo e, in maniera tutta particolare, anche Dio - si oppongono ma non fino al punto da elidersi e anzi convivono in un unico campo di tensione. E poi, l'altro, secondo cui quanto maggiore è l'opposizione dei contrari, tanto maggiore è la produttività del loro gioco polare per l'insieme che li comprende, sicché ci si accosta alla perfezione quanto più ci si accosta al «naufragio» (Untergang). Queste le linee di fondo del «sistema». È tuttora in discussione l'eredità classica che esso porta dentro. Ma ciò che è ben più rilevante è l'aspetto di asistematicità che internamente lo percorre come una potente vibrazione: e che dà ragione del continuo riferimento di Guardini a quell'esistenza concreta che in quanto tale sfugge alle maglie della sistemazione filosofica. È lo squarcio da cui traspare più netta l'inflessione 'politica' (nel senso delle categorie) del discorso La più bella ragazza del mondo può donare solo quello che ha... mischer Katholizismus e un altro splendido frammento pubblicato nello stesso anno (1923) dal più grande, ancorché spesso misconosciuto dalla stessa cultura cattolica, di questi pensatori: e cioè il Von Wesen Katholischer Weltanschauung di Romano Guardini. Si tratta del contenuto delle prime lezioni, tenute nel semestre estivo del '23, dalla cattedra di Christliche Weltanschauung conferita a Guardini dal ministro dell'istruzione C.H. Becker presso la facoltà di Teologia cattolica di Breslavia (ma i corsi, interrotti solo dalla repressione nazista, si svolsero effettivamente a Berlino). In esso, dopo una complessa definizione del concetto di Weltanschauung, Guardini centra con la consueta, trascinante potenza di scrittura il proprio oggetto: «L'elemento cattolico non è un tipo accanto a un altro». Non lo è perché - è un motivo che ritorna in Der Katholizismus plicità della vita si raccoglie senza negarsi nell'unità reale dell'idea, e cioè nella persona ~torica del Cristo: «Il rispetto e l'amore verso le convinzioni divergenti non può impedire di dire la verità» (ivi, p. 291). 11criterio dell'unità delle opposizioni polari (Polaritiit) rappresentato nel suo aspetto più produttivo dalla Chiesa di Roma, d'altra parte, secondo Guardini organizza l'intera esperienza della vita. Come è spiegato soprattutto in un saggio del '25 (ma pensato già a partire dal 1907) - Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebending-Konkreten - che costituisce il plafond teorico dell'intera ricerca filosofica di Guardini, la contrapposizione e il conflitto tra contrari costituisce la struttura portante dell'intero mondo vivente. Due ne sono i principi fondamentali. Prima di tutto quello sedi Guardini. Esso si specifica come «rottura verso l'autentico o verso il decisivo», e cioè verso la decisione sui valori assolutamente contraddittori. Non bisogna confondere i contraddittori assoluti con gli opposti polari: mentre i secondi - come s'è visto - pur nell'opposizione si integrano reciprocamente, i primi si escludono a vicenda: come il bene e il male. Anzi solo la decisione assoluta sui valori contraddittori consente l'acquisizione della verità produttiva degli opposti complementari. È questo presupposto a infrangere la forma filosofica del sistema: se solo la decisione consente la verità, ciò significa che il credere-agire precede storicamente e logicamente il conoscere. Qui si coglie la potente utopia politica della Chiesa di Roma: conservare dentro gli opposti la forza della Decisione, far emergere la Decisione dalla produttività degli oppoSti. P roprio la caduta di questo presupposto determina, per Guardini, la crisi politica della Modernità. Il Moderno, perdendo il principio dell'opposizione polare tra Dio e il mondo, assolutizzando uno dei due termini a danno dell'altro perde nel contempo la capacità di decidere. Quanto più si vuole de-ciso, assoluto, dal polo divino, tanto meno il Moderno è in grado di produrre vera decisione, di decidere sul proprio destino. A scorrere gli scritti guardiniani del secondo dopoguerra sulla fine della Modernità - e soprattutto Das Ende der Neuzeit - è questo il nucleo irriducibilmente 'politico' (teologico-politico, s'intende) della riflessione di Guardini. Non c'è solo - nell'analisi del passaggio dall'immagine medioevale a quella moderna del mondo - la diagnosi negativa dell'avvento autodistruttivo della tecnica, comune a tutta la grande cultura filosofica novecentesca; non c'è solo il presagio dell'inabissamento della Modernità e dunque dell'avvento di un'età «ultra-moderna» o «postmoderna», che sembra anticipare un tema di grande fortuna successiva. C'è anche la traduzione di tutto ciò all'interno della categoria di «potere». Die Macht (1952; ma cfr. anche Der unvollsti:indige Mensch und die Macht, 1955, e Das Phiinomen der Macht, 1962) s'intitola, infatti, l'opera che segue e conclude la 'domanda' della Fine dell'epoca moderna. L'epoca moderna finisce non per eccesso, ma per difetto di potere. Perché è mancato il massimo potere: quello in grado di governare se stesso. L' «idea», !'«autorità», che cade dall'alto e in alto innalza la decisione dell'uomo: «L'uomo ha oggi potere sulle cose, ma non ha ancora potere sul proprio potere». Fin qui la diagnosi di Guardini. Essa ci scuote con l'inarrivabile intensità che l'autore riesce a conferire a talune sue altissime pagine. Per quel che riguarda la prognosi, naturalmente, le cose procedono diversamente. Si fa più viva, quasi palpitante, quella contraddizione che blocca la forza di sfondamento del suo discorso dentro i limiti della forma teologica; che assume anche l'intentio antinomica della decisione dentro il nomos del sistema oppositivo. Alla fede si rivolgono le speranze, anche 'politiche', per l' «epoca veniente» che segùe la Modernità. Alla persona di Cristo resta sospeso il destino, e la realtà stessa, di quell'Europa che ha sperimentato nelle due guerre la fine dei tempi moderni. Nella «riflessione politico-teologica» - come Guardini stesso la definisce - de Il salvatore nel mito, nella rivelazione e nella politica (1946) torna a risuonare con forza immutata l'antico Die Christenheit oder Europa di Novalis: «Ciò che chiamiamo Europa ( ... ) nel suo insieme è determinato decisamente dalla figura di Cristo ( ... ). Se l'Europa si staccasse totalmente da Cristo - allora, e nella misura in cui questo avvenisse, cesserebbe di esistere ... ». Come in Schmitt (almeno in quello del '23), e pur infinitaménte lontano da lui, la limpidezza dello sguardo sul presente coincide in Guardini con la nebbia dello sguardo sul futuro.
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