ni tattili o dei meccanici effetti corporei degli eventi rappresentati entro lo spazio drammaturgico. La stessa cosa si può dire dell'operatore che agisce alla tastiera di un terminale: anche in questo caso l'unione biologica centrale fra percezione e azione, fra spazio immaginativo e sppzio motorio - unione che fa sì che le nostre percezioni dello spazio empirico si basino, generalmente, sulla nostra capacità di mutare direttamente una relazione spaziale tramite impulsi volizionali - si attenua fino a scomparire. Così l'attenzione si concentra, come nel caso della rappresentazione teatrale, sulla comunicazione e cognizione significanti, sullo scambio immateriale di informazioni: anche se, nel caso dell'interazione uomo-macchina, a differenza del caso del rapporto pubblico-scena, questa concentrazione esclusiva sulla comunicazione non sospende, ma anzi può addirittura accrescere, il potere dell'uomo di mutare l'ambiente. Così si può non semplicemente simulare una battaglia fittizia, ma scatenare e combattere una guerra vera, con distruzioni e vittime autentiche, senza, al limite, rendersi conto che non sussiste alcuno strappo tra azione e immaginazione e che in quello spazio visivo, che è al di là della propria portata e non ha alcuna connotazione senso-motoria, si stanno svolgendo eventi e processi che sono conseguenza diretta del «gioco» che si sta portando avanti con la macchina. ( ... ) Quello che occorre domandarsi, di fronte alla progressiva scomparsa dell'oggetto, è se sia questo evento, da più parti segnalato e lamentato, a produrre, come inevitabile reazione, le culture della crisi, o se non sia invece la crisi della cultura, il suo progressivo rinchiudersi in quella sorta di autoparto narcisistico che esclude e mette fuori gioco la realtà, di cui abbiamo parlato in precedenza, a provocare il ritrarsi degli oggetti materiali. Quello che mi sembra si possa dire con relativa certezza è che ci troviamo, ormai, ai bordi di una diversa e più complessa civiltà, in cui l'informazione è destinata a svolgere un ruolo determinante quale simbolo e contenuto, a un tempo, di gran parte delle transizioni immateriali di cui la società sarà sempre più costituita. Per potere interpretare la nuova e di ersa realtà di fronte alla quale questa civiltà si troverà e con cui dovrà, necessariamente, fare i conti, occorre una cultura differente da quella di cui disponiamo attualmente, che sappia mutare i suoi connotati in modo conforcne alle necessità imposte dall'esigenza di interpretare e dominare un mondo in cl.ii il possesso materiale sarà probabilmente sempre più sostituito dal possesso e dal governo delle informazioni. La transizione dalla cultura «materiale», che ci è fin qui servita per la «rappresentazione» di una società degli oggetti e delle loro relazioni, a una cultura «immateriale», idonea alla rappresentazione di una società sempre più ricca di funzioni, sarà tutt'altro che facile e indolore. E lo sarà, a mio giudizio, in modo particolare se non ci si renderà conto a sufficienza che al di sotto e dietro queste funzioni immateriali continuano ad essere attivi i processi e gli oggetti materiali, la cui importanza e efficacia non può essere scalfita né dalla riduzione quantitativa né, tanto meno, dal fatto di essere costretti a ritirarsi in ambiti sempre meno accessibili alla percezione umana. Relazione letta al convegno « La realtà ritrovata» (in onore di L. Geymonat), Università statale di Milano, 17-18 giugno 1985, per cura della rivista Scientia. Note (1) S. Freud, in Opere, voi. VIII, Torino, Boringhieri, 1981, p. 618. (2) M. Bachtin, L'opera di Rabelais e La cultura popolare, Torino, Einaudi, 1979, p. 45. (3) E. Lévinas, «La réalité et son ombre», in Revue des sciences humaines n. 185, 1982, p. 114. (4) M. Bachtin, «Dagli appunti del 1970-71», in Intersezioni n. 1, 1981, p. 143. Scienzan:omie riferimenti U no storico che voglia esplorare lo sviluppo di una scienza empirica può concentrare l'attenzione sulle teorie, sulle misure e sulle credenze che in qualche modo hanno influito su quello sviluppo e che sono documentate in libri, memorie, lettere o appunti e note inedite. Lo storico può, tuttavia, decidere di estendere il campo della ricerca così da includervi anche gli oggetti che quelle teorie, quelle misure e quelle credenze intendevano descrivere. Il campo da esplorare, in questo secondo caso, contiene sia le modalità inferenziali, sia le cose a proposito delle quali le modalità stesse furono edificate. Accade allora che lo storico non debba solamente trafficare con i problemi dovuti ai mutamenti di significato ma debba anche lavorare su questioni connesse alle modalità del riferimento e alla natura dell'universo di discorso che è stato battezzato con il nome «realtà fisica». È noto che si tratta di un universo molto popolato. In esso vivono enti per i quali sono stati coniati nomi specifici, quali «àmmasso di galassie» o «nucleone», «macromolecola» o «pianeta». Ed è altresì noto che i fisici, pur essendo inclini a discutere con vivacità a proposito del tipo di realtà legittimamente conferibile agli abitanti dell'universo in questione, non esitano a fare uso del verbo «esistere» nel parlare, ad esempio, delle ragioni che si possono addurre per fissare il riferimento di nomi come «neutrino» o «quark». Lo storico, allora, dopo avere esteso il campo di ricerca così da fargli contenere gli enti attorno ai quali i fisici formulano teorie, compiono misure e enunciano credenze, deve orientare l'esplorazione in modo da tenere conto dei problemi sollevati dai nomi e dal riferimento. Egli potrebbe essere propenso a considerare quei nomi come variabili vincolate, accor-.... gliendo in tal modo l'idea che una ~ data descrizione fissi rigidamente -S il riferimento di un nome e respin- ~ t::>... gendo l'opinione che le descrizioni ~ ....... siano sinonime dei nomi. A questo punto, però, lo storico si troverebbe fra le braccia un carico pesante di anomalie. Le comunità scientifiche, infatti, non si limitano a far variare i significati dei nomi. Esse demoliscono anche i i::: riferimenti più accreditati. Acca- ~ de, insomma, che la natura dell'u- '1.1 ~ niverso di discorso indicato come ~ ~ «realtà fisica» non sia descrivibile come una struttura fissa sulla quale i fisici portano i loro discorsi: la «realtà fisica» è invece mutevole, in quanto i suoi abitanti hanno nomi di cui si può demolire il riferimento, oltre che variarne il significato. Basti pensare a ciò che avvenne quando fu fatto evaporare il riferimento di nomi come «calorico» o «atomo vortice». La dinamica della «realtà fisica», inoltre, è soggetta anche a creazioni di riferimento: e qui è sufficiente ricordare i casi classici che la storia della fisica riporta con i nomi «Nettuno» e «positone», e cioè due casi in cui uno specifico sviluppo teorico portò a conclusioni i cui contenuti di verità poterono essere controllati solo inserendo, nell'universo del discorso, un nuovo pianeta e la prima antiparticella. Il problema del realismo, quindi, si pone per lo storico in quanto i modelli che egli elabora per studiare il materiale documentario debbono in qualche modo tener conto di una caratteristica fondamentale del materiale stesso: la caratteristica per cui, nelle comunità scientifiche, si realizzano flussi di informazione con varianze di significato e con trasformazioni del riferimento. Non muta nel tempo il solo patrimonio teorico che si configura, nei documenti, come un insieme di concetti e di tecniche. Muta, anche, l'universo di discorso sul quale quel patrimonio opera. Sta qui, forse, la maggiore difficoltà per la ricerca storica. Essa, infatti, dovrebbe individuare delle regolarità nella dinamica dei rapporti tra l'universo dei significati e quello dei riferimenti, abbandonando l'opinione che il secondo universo sia fissato una volta per sempre e che il primo si muova attorno al secondo avvicinandoglisi progressivamente, con una sequenza lineare di approssimazioni. E la difficoltà in cui sto parlando non può essere dirottata esibendo, tanto per fare un esempio, la fotografia di una macromolecola e dicendo che essa è una prova dell'esistenza di enti non linguistici e non osservabili con i sensi. Quella fotografia, infatti, può essere interpretata se e solo se essa è corredata da una didascalia che la definisce. La questione interessante, per lo storico, è data dalla didascalia, il cui linguaggio contiene dei nomi e, pertanto, rinvia immediatamente al problema per cui un nome può essere privo di riferimento Enrico Bellone pur essendo ricco di significati. Un caso esemplificativo Per illustrare la questione di cui sto parlando ho scelto un caso particolare in cui il tema della creazione e della distruzione del riferimento di un nome si accoppia immediatamente al tema della varianza di significato. Si tratta del caso connesso ai primi tentativi fruttuosi di spiegare il fenomeno del decadimento beta. sente qualsiasi conferma sperimentale», e che, tuttavia, essa appariva «capace di dare una rappresentazione abbastanza accurata dei fatti». Oggi sappiamo che la memoria di Fermi del 1933 è un momento fondamentale per quel lungo processo di scoperta della fisica delle interazioni deboli che, come recentemente è stato sottolineato da Focardi e Ricci3,si avviò, sul finire dell'Ottocento, grazie alle indagiILsacrificio Nel 1933 la rivista Nature respinse una nota scientifica poiché, in quest'ultima, l'autore avrebbe fatto appello a argomenti astratti e «troppo lontani dalla realtà fisica»1 • Una versione ampliata di quella nota fu pubblicata, nel dicembre dello stesso anno, dalla rivista Ricerca Scientifica, sotto il titolo «Tentativo di una teoria dell'emissione dei raggi beta>>2. L'autore, Enrico Fermi, affermava, sin dalle prime righe, che la teoria proposta si basava «sopra ipotesi delle quali manca al momento preni sulla radioattività e alle misure sul rapporto tra la carica e la massa delle particelle costituenti la radiazione beta. E siamo anche in grado di valutare le ragioni per cui un settore della comunità scientifica vide, nella fisica di Fermi, una indesiderabile lontananza rispetto alla «realtà fisica». Infine, oggi siamo altresì nelle condizioni di verificare che la teoria di Fermi aveva gruppi di conseguenze più estesi di quello che lo stesso Fermi poteva credere d'aver raggiunto: non è certo casuale che i primi lavori di Fermi sul decadimento beta siano oggi descritti, in un manuale sulla fisica delle interazioni deboli, come «pionieristici», e cioè come prime esplorazioni di un nuovo mondo, assai più ampio e complesso di quanto potesse apparire ai primi viaggiatori che si avventuravano in esso4 • In che senso allora la teoria fermiana violava le convinzioni che alcuni settori della comunità scientifica nutrivano attorno alla «realtà fisica»? La domanda è legittima, in quanto la comunità considerava il decadimento beta come un enigma, non come un problema risolto, e quindi non suscettibile di nuove spiegazioni. Le misure sullo spettro continuo del decadimento beta non erano infatti analizzabili senza violare alcuni principi della fisica o senza introdurre congetture difficili da sostenere. Niels Bohr suggeriva di abbandonare i principi di conservazione dell'energia e del momento nelle loro forme usuali; Lise Meitner preferiva ipotizzare che lo spettro continuo fosse una conseguenza di eventi che si verificavano quando gli elettroni si muovevano all'interno della sorgente radioattiva; e Pauli, in una famosa lettera del dicembre del 1930, aveva presentato la congettura secondo la quale, piuttosto che abbandonare i principi di conservazione, era preferibile pensare che esistesse in natura un oggetto mai osservato: una particella neutra sulla quale scaricare le violazioni della conservazione5 . Battezzata in un primo tempo con il nome «neutrone», la particella di Pauli assunse il nome «neutrino» dopo la scoperta, nel 1932, dell'oggetto indicato ancora oggi con il nome «neutrone». Nell'ottobre del 1933i fisici parlavano del nucleo discutendolo come una struttura a protoni e neutroni, e Fermi era presente quando - durante il settimo congresso Solvay - Wolfgang Pauli, commentando alcune idee di Heisenberg, parlò della inosservabile particella neutra in un contesto che era finalizzato a fissare la validità della conservazione dello spin, della statistica, dell'energia e del momento. Lo stato delle cose, dunque, era in rapido movimento e si prestava a proposte anche audaci, e due mesi più tardi, infatti, Fermi enunciava la sua teoria. L'allontanamento di quest'ultima nei confronti della «realtà fisica» può essere oggi così riassunto. Le conoscenze relative ai nuclei permettevano di descrivere i nuclei stessi come for-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==