Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Gliscamb-iimmateriali e aratterizzare le culture della crisi, sintetizzare i loro tratti peculiari, è impresa davvero disperata, data la crescente diffusione e l'enorme proliferazione di queste culture, che si presentano, ormai, sotto aspetti variegati e multiformi. Per uscire dall'imbarazzo ricorrerò a Freud, più precisamente a un parallelo mitologico di cui egli si vale per chiarire il significato di determinati prodotti dell'attività inconscia che diventano coscienti in qualità di immagini, di parole e di pensieri ossessivi, strettamente congiunti fra loro. Le parole, le immagini, i pensieri a cui Freud allude sono quelli che implicano il rovesciamento e la confusione fra punti «alti» e «bassi» del corpo, fra funzioni corporee (o sociali) elevate e funzioni infime: e le immagini che li accompagnano sono quelle che sostituiscono l'intera persona con un unico organo, generalmente «basso» (per esempio, i genitali), o che operano la fusione incongrua di parti diverse (ad esempio, il volto e il ventre). Baubò e la morte pregna che ride Secondo la leggenda greca - rammenta dunque Freud -, mentre andava in cerca della figlia rapita, Demetra era giunta a Eleusi, ivi era stata ospitata da Disauele e dalla moglie di lui, Baubò, ma nella sua profonda afflizione non aveva voluto toccare né cibo né bevande. Al che la sua ospite Baubò la fece ridere, alzando improvvisamente la veste e «scoprendo il corpo nudo»1 • Per interpretare questo mito Freud ricorre alle rappresentazioni di Baubò giunte fino a noi grazie alle terracotte portate alla luce negli scavi di Piene, nell'Asia Minore. Esse mostrano il corpo di una donna senza testa e senza petto e nel cui ventre è disegnato un volto: la veste, sollevata, incornicia questo volto come una capigliatura .. L'immagine propone dunque lo scambio di volto e ventre ed è strettamente legata a altre immagini, di cui parla il grande teorico della letteratura Michajl Bachtin nel suo L'opera di Rabelais e la cultura popolare: quelle, ad esempio, proposte dalle celebri statuette di terracotta di Kerc, conservate all'Ermitage, fra le quali ve ne sono alcune che raffigurano delle vecchie donne gravide, di cui è messa in evidenza in modo grottesco la vecchiaia e la grossezza del ventre. Queste donne gravide - sottolinea Bachtin - ridono: e, soprattutto, nel loro corpo non c'è nulla di determinato, di stabile e di tranquillo. Vi si uniscono il corpo decomposto e sformato della vecchiaia e quello ancora in embrione della nuova vita. Siamo di fronte a una modalità rappresentativa che mostra la vita nel suo :q processo ambivalente, intrinseca- -:i mente contraddittorio: è la morte -5 gravida, la morte che dà la vita e, ~ perciò, ride. ~ Baubò e la morte pregna sono ~ dunque associate innanzi tutto ~ dalla loro ambivalenza, dal fatto -C:) ~ cioè che in esse si esprimono, con- ~ temporaneamente, entrambi i poli ~ "' del divenire, il vecchio e il nuovo, ~ ciò che muore e ciò che nasce, il ~ principio e la fine della metamor- ~ fosi: e, in secondo luogo, dal fatto ~ che entrambe eccitano al riso, so- ~ no anzi legate nella loro stessa formazione e costituzione al riso. L'ambivalenza è determinata dal fatto che loro tratto costitutivo indispensabile è il rapporto con il tempo e con il divenire: il significato profondo di queste immagini è infatti la confusione primaria di vita e morte, o meglio la circolarità tra di esse e il continuo trapassare dell'una nell'altra, morteden tro- la-vita-dentro- la-mortedentro-la-vita, in una dinamica senza fine, in un moto perpetuo, circolare, di infiniti mutamenti e avvicendamenti. Questa continuità m cm gli estremi si toccano, anzi si fondono, propone una sfida alla ragione e appare mostruosa e scandalosa se vista con gli occhi di una concezione della realtà come complesso di dati, obiettivi e compiuti. Essa viola la staticità della rappresentazione abituale della realtà: il movimento cessa di essere quello delle forme già date in un mondo stabile, attraversato da confini netti e fissi, ma si trasforma: in un movimento interno all'esistenza stessa e si esprime nella trasmutazione di alcune forme in altre, nell'eterna incompiutezza dell'esistenza. Il rapporto costitutìvo con il riso si realizza, a giudizio di Bachtin, in virtù del profondo legame di senso che sussiste tra queste immagini e quelle importantissime forme primarie della cultura umana che sono le feste. Queste, infatti, hanno sempre un rapporto essenziale con il tempo. Alla loro base sta sempre una concezione determinata e concreta dei' tempo naturale (cosmico), biologico e storico. Inoltre esse, in tutte le fasi Silvano Tagliagambe di evoluzione storica, sono state legate a periodi di crisi, di svolta, nella vita della natura, della società, dell'uomo. Il morire, il rinascere, l'avvicendarsi e il rinnovarsi sono sempre stati elementi dominanti nella percezione festosa del mondo. E sono proprio questi elementi che hanno creato il clima specifico di quella festa particolare che è il carnevale che, in quanto trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalle verità dominanti e dal regime esistente e abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole, dei tabù, era l'autentica festa del tempo, che si Un fattorino d'albergo tuttofare opponeva a ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine, per volgere il suo sguardo all'avvenire incompiuto. Per questo il riso carnevalesco è, come le immagini di Baubò e della morte pregna, ambivalente: è gioioso, scoppia di allegria, ma è contemporaneamente beffardo, sarcastico, nega e afferma nello stesso tempo, seppellisce e resuscita. Di questo genere è il riso della cultura popolare, dèl grottesco medioevale e rinascimentale. Ma, una volta perduti i suoi legami vivi con la cultura popolare della piazza, questo riso si trasforma: esso viene a perdere il suo tono gioioso e gaio, prende la forma di humour, di ironia, di sarcasmo, in esso si accentuano gli aspetti di negazione, di reazione al razionalismo sentenzioso e ristretto, all'autoritarismo statale, alla tendenza verso tutto ciò che è dato, compiuto e univoco, a scapito dell'elemento rigeneratore, positivo, del princ1p10 comico ongmario, che viene ridotto al minimo. In conseguenza di questa trasformazione del riso cambia anche la forma del grottesco e muta il significato profondo delle immagini che il grottesco esprime. Tappa importante di questa trasformazione è, secondo Bachtin, il grottesco romantico che, a differenza di quello legato alla cultura popolare, che aveva un carattere universale e pubblico, è un grottesco da camera: è come un carnevale vissuto in solitudine, con la coscienza acuta del proprio isolamento: «È come se la percezione carnevalesca del mondo si fosse trasposta nel linguaggio del pensiero filosofico soggettivamente idealistico, e avesse cessato di essere una sensazione vissuta concretamente (si potrebbe dire 'corporalmente') dell'unità e dell'inesauribilità dell'esistenza come accadeva nel grottesco del Medioevo e del Rinascimento»2 • La combinazione del metodo grottesco, con la sua forza capace di liberare da ogni dogmatismo, da ogni compiutezza e limitatezza, con l'iperbolicità del soggetto, conducono il romanticismo a una scoperta positiva di enorme significato: quella del mondo interiore e soggettivo dell'individuo, con la sua profondità e complessità. Questo infinito interiore dell'individuo, estraneo al grottesco del Medioevo e del Rinascimento, restituisce l'uomo a se stesso, lo avvicina alle spirali inesauribili del suo intimo e lo allontana, di conseguenza, dal mondo. Mentre il grottesco, legato alla cultura popolare, avvicina il mondo all'uomo e gli fa prendere corpo, lo mette in relazione con il corpo e la vita corporea, il grottesco romantico trasforma il mondo in un mondo estraneo. Tutto ciò che è comune, abituale, riconosciuto da tutti, diventa improvvisamente insensato, ambiguo, estraneo e ostile all'uomo. si apre la possibilità di un mondo completamente diverso, di un altro ordine, di un'altra struttura della vita. L'unità, l'indiscutibilità fittizia, l'immutabilità ingannevole del mondo esistente vengono meno: il realismo grottesco, nelle forme soggettive che gli sono proprie, nega l'esistente, lo sente estraneo e l'oltrepassa, andando alla ricerca di un'alternativa. Così il mondo esistente si distrugge per rinascere e rinnovarsi. Il mondo, morendo, dà la vita, si restituisce la vita: e questo mondo che si rinnova attraverso la propria dissoluzione nella coscienza dell'individuo, nell'infinito interiore di quest'ultimo, è appunto la morte gravida che ride di cui parla Bachtin e spiega l'interesse di Freud per il mito di Baubò. Dalla morte gravida alla vita che genera morte La continuità, in cui gli estremi si toccano e si intersecano, finendo poi col fondersi, propone e rende possibile, ovviamente, una doppia possibilità di lettura delle immagini ambigue che ne risultano. All'immagine della morte pregna può così subentrare l'altra, simmetrica ad essa, della vita, delle sue forme e espressioni, che producono e generano la morte. È l'importanza stessa assegnata al mondo interiore dell'individuo, la centralità che esso acquista, a rendere inevitabile questo sbocco. L'infinito soggettivo, proprio per la sua inesauribilità, deve essere guardato da tutti i possibili punti di vista, dall'interno, quindi, ma anche dall'esterno. È anzi quest'ultima modalità visiva che si rivela più produttiva e feconda: come scrive Lévinas in un saggio pubblicato nel 1948e intitolato La réalité et son ombre, «On prend l'introspection pour le procédé fondamenta! du roma,ncier ... Nous croyons au contraire qu'une vision extérieure - d'une extériorité totale ... où le sujet luimeme est extérieur à soi - est la vraie vision du romancier ... Meme le romancier psychologue voit sa vie intérieure du dehors, non pas forcément par !es yeux d'un autre, mais comme on participe à un rithme ou à un reve... Toute la puissance du roman contemporain, sa magie d'art tient, peut-etre, à cette façon de voir de l'extérieur l'intériorité, qui ne coincide nullement avec les procédés du behaviourisme»3 • Ritorna, ancora una volta, il tema del riso. Proprio per questa tendenza a prendere le distanze, a non identificarsi totalmente con i propri contenuti, che vengono sempre guardati dall'esterno, la parola letteraria è sempre parola ironica. È sempre Bachtin a sottolineare nei suoi ultimi scritti che il distanziamento fra autore e personaggio fa sì che quest'ultimo non sia preso troppo sul serio, che la sua visione del mondo venga presentata come relativa e superata da un punto di vista esterno, che lo rende personaggio «incompibi-

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