Il Poverol,aBaruffonae il Maldicente I hacontro con Amos Tutuola «La storia che sto scrivendo ora, in lingua yoruba, è tutta sui costumi della mia gente yoruba, sul destino degli uomini, se esso esista o meno, e se governi la vita umana». Così apre la narrazione lo scrittore Amos Tutuola, nigeriano di etnia , yoruba, che bo incontrato a fine maggio 1985a Torino, dove si trovava per ricevere il Premio Grinzane Cavour vinto l'anno scorso con La mia vita nel bosco degli spiriti (trad. di Adriana Motti, nota di Itala Vivan, Milano, Adelphi, 1983; il libro comprende The Palm-Wine Drinkard, del 1952, e My Life in the Bush of Ghosts, del 1954). Ci eravamo dati appuntamento per le dieci, ma alle otto del mattino Tutuola era già alzato e passeggiava per le vie grigie e gialle di Torino, che trova attraenti. «Mi piacciono le cose vecchie - spiega -, e gli edifici che, come mi hanno detto, sono ·stati costruiti quattrocento anni fa». Per Tutuola i tempi trascorsi, le epoche, sfumano in un passato mitico, remoto, che viene collocato in date balzane, tanto più irreali quanto più appaiono precise. Il suo è il passato della favola, della leggenda, in cui egli ancora vive e si muove, e nel quale si immerge per raccontare. Incontrarlo, infatti, significa soprattutto sentirlo raccontare. Tutuola non è un intellettuale che teorizzi e si addentri in analisi, bensl l'artista che ha conservato l'antica arte della parola parlata, grazie alla tradizione orale in cui è cresciuto e di cui è profondamente intinto. Cosl ben presto, per rispondere alle mie domande e per darmi una dimostrazione pratica delle sue tecniche, si è messo a narrare una lunga, fantasiosa storia inedita intitolata, in lingua yoruba, /se Babaosi, Aso ati Elenini (Il Povero, la Baruffona e il Maldicente), grazie alla quale ho modo di osservare dal vivo come nascano le sue complesse narrative, le quali celano un segreto che rifiuta di svelarsi, ma si anima e si fa azione nel breve spazio del teatro e nell'itinerario del racconto. Amos Tutuola ha superato la sessantina, pare. «Non so quanti anni ho - dice. - Neppure mio padre e mia madre lo sapevano, perché allora non si registravano le nascite; si ricordavano soltanto le coincidenze - ad esempio, se uno era nato durante la Festa degli Ignami: ma di che anno? Il mio editore londinese ha deciso ch'io sia nato nel 1920, ma certo non è così, perché nel 1920 nacque mia sorella minore, che era parecchio più giovane di me». Tutuola si esprime in una lingua ir~petibiie e intraducibile, un in: _glese·agilmente trasgressivo, irre:.. golare, costruito su calchi dàllo-. yoruba e sprezzante delle consuetudini morfologiche: «my own pri·- vate language» (la mia lingua pri- • vata), la definisce lui stesso. Ma-il dosaggio della voce, da consumato conteur, le pause e le lente riprese del discorso, le esclamazioni, le ripetizioni di interi segmenti di frase o di singoli elementi isolati, costruiscono un edificio sonoro fortemente caratterizzato, vera e propria architettura in cui si è invitati a percorsi suggestivi e difficili.Tutuola è di madrelingua yoruba, e sua seconda lingua è l'inglese. Non conosce nessun'altra delle molte lingue africane parlate nel suo paese - ibo, hausa, fulbe, fra le principali, su un totale di circa duecento - e finora ha sempre scritto in inglese. Mi precisa però che all'inizio aveva cominciato a scrivere in yoruba. «Il bevitore di vino di palma - dice - l'ho scritto in lingua yoruba. Mandai il manoscritto a Ibadan (allora vivevo a Lagos) a un Comitato letterario di quell'epoca; ma lo tennero per un anno senza farmi sapere nulla, nemmeno se l'avessero ricevuto o no. Io aspettai, aspettai, aspettai, sino a che me lo resero, dicendo che potevo pubblicarlo a mie spese. In quel Comitato c'erano degli scrittori yoruba assai noti, come Fagunwa. Il loro comportamento mi irritò; allora presi il manoscritto e lo tradussi in inglese. Poi però non sapevo a chi mandarlo; sinché scoprii, su una rivista, un annuncio pubblicitario in cui si chiedevano manoscritti inediti. C'era un indirizzo, quello della United Society for Christian Literature, dove il giorno seguente lo spedii. Mi risposero dopo quindici giorni dicendo che loro trattavano soltanto cose di soggetto religioso, ma che comunque avevano inoltrato il manoscritto a un editore che si occupava di storie come la mia. Il nome di quell'editore era Faber & Faber, di Londra; il lavoro fu accettato». Il bevitore di vino di palma suscitò scalpore e interesse vivissimi nel mondo anglosassone, e ottenne recensioni importanti, fra le quali vi fu quella, memorabile, di Dylan Thomas nell'Observer. Se i critici inglesi e americani - e poi subito anche i francesi, che lo lessero nella traduzione di Queneau - applaudirono il Bevitore, il nuovo eroe che veniva dall'Africa e ne portava l'esotico sapore di mistero, molti lettori di Lagos gridarono allo scandalo, deplorando che si facesse drcolare un simile esemplare di «inglese sgrammaticato e incompren~ibile». La polemica Amos Tutuola aprì un .caso letterario che con il passare del tempo ~iampliò, arricchendosi di un dibattito sulle fonti .cÙiTutuola avrebbe attinto il materiale delle sue narrative. Da allora (si era nel 1952) sono passati più di trent'anni._ Dopo Il bt:vitore di vino di palma e La mia vita nel bosco degli spiriti, Tutuola ha scritto Simbi and the Satyr of the Dark Jungle (Simbi e il Satiro della giungla oscura, 1955), The Brave African Huntress (La· coraggiosa cacciatrice africana, 1958), Feather Woman of the Jungle (Donna piuma della giungla, 1962), Ajaiyi and His lnherited Poverty (Ajaiyi e la sua povertà ereditata, 1967) e infine, nel 1981, The Witch Herbalist of the Remote Town (La strega erbo-: rista della çittà remota). Nel quadro della ricca produzione letteraria esistente oggi in Nigeria - basti pensare ad autori come Chinua Achebe, Wole Soyinka, Cyprian Ekwensi, J.P. Clark, Gabriel Okara, Ola Rotimi, Christopher Okigbo - Tutuola è rimasto un caso a sé, un fenomeno unico, e un caso isolato; mentre la capacità di seduzione che subito egli dimostrò di possedere nei confronti dei suoi primi lettori degli anni Cinquanta appare inalterata, anzi, cresce con il tempo, man mano che le polemiche cedono il passo a una seria riflessione critica. Ciascuna delle narrative di Tutuola è tenuta insieme da un filo rappresentato dalla vicenda della quest, o ricerca, in cui s'impegna ·1•eroe.Nel corso di questa ricerca avvengono fatti molteplici, si verificano situazioni diversissime, organizzando unità narrative subalterne all'interno del racconto principale. Così, attraverso l'utilizzo di più folktales, l'antica tradizione orale africana viene recuperata e riversata nella scrittura, che diventa una ennesima performance dell'artista erede della memoria collettiva. Proprio su questi aspetti di organizzazione narrativa si è concentrato il dialogo con Tutuola, che -ha mirato a individuare le fonti orali da cui lo scrittore deriva i suoi materiali e a chiarire attraverso quale processo di rielaborazione egli ne faccia letteratura scritta. D. La storia di Povero, Baruffona e Maldicente le è stata raccontata da qualcuno oppure l'ha inventata tutta lei? Amos Tutuola. Nella storia sono compresi molti folktales, che ora non le ho potuto raccontare per esteso. Ho usato almeno sei diversi folktales, con proverbi e poesie. E poi la mia immaginazione personale, anche se riferita alla tribù yoruba; nel passato - circa trecento anni fa. . D. E questi folktales, dove li ha trovati? Li ha sentiti racçontare dai vecchi, quand'~ra bambino, oppure li ha letti in qualche libro?. Tutuola. Li ho scritti ogni volta che andavo al villaggio, e molti ne ho sentiti da piccolo. Quand'ero ragazzo, andavo a scuola nella città di Abeokuta, dove era regola che tutti gli scolari raccontassero dei folktales almeno una volta per settimana. Così io ascoltavo i miei genitori e i loro amici quando si raccontavano le storie, la sera. Uomini e donne. Poi, a scuola, li ripetevo. Una volta diventato grande, quando mi sono messo a scrivere, ho cominciato a scriverli. Adesso ho circa trecento folktales di diverso tipo, e a poco a poco li uso. Uso anche altri materiali insieme ai folktales. D. E quando racconta o scrive le sue storie, sono diverse da come gliele avevano laccontate i vecchi? Tutuola. Ve'èle,in una storia io uso i folktales che ho raccolto, e che diventano gli oggetti principali della storia stessa. Poi raccolgo anche altri materiali, come proverbi yoruba, credenze, personaggi, religioni e abitudini, che metto nella storia; e aggiungo anche la mia immaginazione personale, con la quale io racconto la storia. Ad esempio, se lei legge Il bevitore di vino di palma, vedrà che il protagonista prima dice il suo nome, poi spiega quello che fa lui ogni giorno e quello che dice la gente circa le persone che muoiono, dove esse vadano dopo morte, e così via. Tutti pensano che i morti vadano a vivere da qualche parte, e non salgano in cielo; così il bevitore di vino di palma prende le sue cose, lascia la città e va in cerca del suo morto spillatore di vino di palma. D. Accade sempre che i suoi personaggi partano alla ricerca di qualcosa; lei crede che quella del cercare sia una condizione comune a tutti gli uomini? Tutuola. Io uso le credenze della gente e le metto nei libri. Ad esempio, di solito da noi si crede che quelli che muoiono vadano a vivere in una certa città, detta la Città dei Morti. Un tempo le persone coraggiose andavano per giungle e foreste a cercare gli spiriti, e talvolta lottavano con gli spiriti e i fantasmi, oppure diventavano loro amici, specialmente i cacciatori. E gli spiriti davano loro degli amuleti, i juju, che servivano a proteggerli da molti pericoli. D. Queste cose, allora, le prende dalla tradizione; poi c'è il contributo della sua immaginazione. Nella storia che mi ha appena raccontato, dov'è il contributo della sua immaginazione? Forse nell'idea di destino? Tutuola. Oh no.'Vede, il desti-; no è una ~sa alla_quale crédono più o meno tutti. La parola sta _nel dizionario di ogni lingua: yoruba, inglese e, credo, anche italiano. D. Allora che cos'è che ha inventato lei in questa storia? Tutuola: La-parte della mia immaginazione sta nel fatto che la. storia avviene trecento anni fa, in un paese di giungle e foreste, fra re e principi e indovini, con padri che cacciano di casa i figli. Ma non appena i personaggi lasciano la.ca-. sa e se ne vanno per il mondo, allora incontrano i f olktales, insieme agli altri materiali che ho detto, i quali, uniti alla mia immaginazione, man mano che il tema procede danno la storia. Nel raccontare, uso proverbi e consuetudini quando servono. Scrivo di notte, dalle otto di sera fino alle cinque del mattino. Poi alle sette mi alzo e vado nei campi, dove lavoro fino alle due del pomeriggio coltivando ignami, cassava, mais, ortaggi. Quando ritorno faccio colazione. E la sera scrivo. I miei non ci sono; nessuno mi disturba. È allora che trovo il tempo, il modo, per scrivere. Nei periodi in cui scrivo sono sempre più felice. Quando non scrivo, di sera esco con gli amici, e passo il tempo in compagnia. D. Amos Tutuola, se uno dei suoi personaggi - il bevitore di vino di palma, la coraggiosacacciatrice Adebisi, Ajaiyi, oppure la strega erborista della città remota - venissero nella Nigeria di oggi, che cosa farebbero? Che cosa accadrebbe loro? Tutuola. La gente di oggi, specialmente i giovani, non crede più molto agli spiriti e a tutto il resto. Inoltre, oggigiorno in Nigeria non ci sono più molte giungle e foreste, perché hanno tagliato tutti quegli alberi che rendevano pauroso il bosco. Un tempo la giungla e la foresta erano la dimora di spiriti e fantasmi; ma ora sono scomparse entrambe. Ecco perché 1 giovani non credono più. D. Allora i suoi personaggi non potrebbero mai esistere in Europa? Tutuola. Penso proprio di no. Qui non c'è il vino di palma, e così non ci sarebbero né il bevitore né lo spillatore di vino di palma. Anche quando sono andato in America, la gente mi chiedeva come fossero i miei personaggi, e io mi guardavo intorno, e non vedevo dei luoghi dove collocarli. Non ci sono neppure le palme. Perciò il bevitore di vino di palma non potrebbe mai esistere qui in Europa, e neppure in America. Itala Vivan
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