Alfabeta - anno VII - n. 76 - settembre 1985

Mensile di informazione culturale Settembre 1985 Numero 76 I Anno 7 Lire 5.000 - - Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137Milano . Spedizione in abbonamento postale . gruppo IIl/70 • Printed in Italy ·• Mostradi FélicienRops Unraccontyooruba(·J. utuola) Le• immagindi ell'ambiente: • ~) .,_.,_ Ìk•••) Manzini/Manc-oTnai gliagambe p • Bell " ..;,"'\"'....,.,.,.,... .5 ~•4 rf ~V*~$ • one • .,_ . ,.-;.,f ,.,,..,,...,..,.._,.j ~ , ,,. ( • ;'<.>, ~- f :,._,, r! f ,...,,,,. l, fi \ ' \ . .Baudrillard/Segre· Forti/Es~sito ·Galzignil/Boarini • CosaNostra Provecla' rtista (Varisco/Giacomini) Daniel Charles, GilberLt ascault, Jean-Jacques Lebel •• FélicienRops:_Nubilato1878-1990

Einaudi Novità SEBASTIANO VASSALLI SANGUE E SUOLO Inchiesta sull'Alto Adige: la via italiana all'apartheid. «GIJ struzzi», pp. vrn-193, L. 9000 ELIO VITTORINI I ~IBRI, LA CITTÀ, IL MONDO LETTERE 1933-1943 Firenze, Milano, i letterati, il lavoro creativo, l'impegno culturale, la Resistenza: la maturazione del mondo poetico e civile di Vittorini. «Supercoralli », pp. vm-28 r, L. 28 ooo VIRGINIA WOOLF UN RIFLESSO DELL'ALTRO. LETTERE 1929-1931 Virginia Woolf a colloquio con gli amici: la malattia mentale, il mestiere di scrivere, la morte, le idee sulla sessualità. «Supercoralli», pp. xvu-553, L. 42 ooo ROLAND BARTHES L'OVVIO E L'OTTUSO La musica, il teatro, il cinema, la letteratura secondo Barthes. «Gli struzzi», pp. 1x-308, L. r6 ooo GIANNI RODARI IL SECONDO LIBRO DELLE FILASTROCCHE Il nuovo appuntamento con l'irresistibile fantasia di Rodari. «Gli struzzi», pp. r 27, L. 8500 JORGE LUIS BORGES FINZIONI Il capolavoro di Borges interpretato da Franco Lucentini. Nella collana« Scrittori tradotti da scrittori», pp. r 56, L. 9000 BEPPE FENOGLIO PRIMAVERA DI BELLEZZA Torna in libreria uno dei grandi romanzi di Fenoglio. «Nuovi Coralli», pp. r72, L. r 2 ooo RENÉTHOM MODELLI MATEMATICI DELLA MORFOGENESI La teoria delle catastrofi e le sue possibili applicazioni, dalla biologia alla linguistica, dalla semiotica ai giochi. « Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi», ;PP· 368, L. 45 ooo STORIA D'ITALIA ANNALI VIII INSEDIAMENTI f TERRITORIO A cura di Cesare De Seta ~e permanenze 1 e1letrasformazioni dell'ambiente nel rapporto secolare tra uomo e natura. « Biblioteca di cultura storica», pp. XXX111-69 I, 1. 90 000 le immagindiiquestonumero Le immagini di questo numero sono dedicate a quadri, • disegni, litografie, tempere, illustrazioni di un grande artista fiammingo della seconda metà dell'Ottocento, Félicien Rops, e sono tratte dalla mostra monografica che è stata recentemente allestita in Belgio e che sta 'attualmente girando per tutta Europa, a partire da Parigi, pe; finire a Nizza al museo Cheret. Félicien Rops è un tipico rappresentante della cultura europea della fine del secolo scorso. Di famiglia borghese ma fortemente laica, Rops fin dalla gioventù inizia a far parte di quegli «strani» movimenti culturali che rompevano le barrierefra le varie arti. Disegnava per riviste umoristiche, faceva parte di circoli di intellettuali «diversi», partecipava ali'elaborazione di idee come in quella che sarebbe poi stata la grande tradizione delle avanguardie storiche. Rops è non per nulla un artista «maledetto», assimilabile ai vari Sommario Jean Baudrillard Uno scenario fatale pagina 3 Cosa Nostra pagina 4 Cesare Segre - . Polifonia e irrfedeltà (La parola d'altri, di B. Mortara Garavelli; Polifonia textual, di G. Reyes) pagina 5 _ Maria Antonietta Grignani Dossi: utopia e Lombroso (Il Regno dei Cieli • Autodiàgnosi quotidiana, di C. Dossi) pagina 6 Francesco Sabatini Linguaggio giornalistico, 1'800 (La stampa periodica milanese della prima metà dell'Ottocento. Testi e Concordanze, di S. De Stefanis Ciccone, I. Bonomi, A. Masini) pagina 7 Marco Forti Ne! fare poesia (Nel fare poesia, di A. Porta) pagina 8 Prove d'artista: Grazia Varisco pagina 9 Amedeo Giacomini Epitome a Diana pagina 10 Traduzione contemporanea: Roberto Fernandez Retamar Venezia: che cosa ti chiedo a cura di Maria Bonatti pagina 11 Da Varsavia a cura di Maria Corti e di Maurizio Ferraris pagina 12 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 20ÒObattute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; • b) tutti gli articoli devono essere . corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auFélicienRops Baudelaire, che peraltro conobbe, Mérimée, Valéry e compagnia. Vive la confusione degli stili della propria epoca: può essere definito un simbolista, ma i suoi disegni anticipano un espressionismo alla Ensor e alla Van Dongen. Compone persino paesaggi impressionisti, e però c'è qualcosa in lui che lo farà amare dai surrealisti (basti pensare alla fama di alcune sue Da Parigi a cura di Nanni Balestrini e di Maurizio Ferraris pagina 12 Da New York a cura di Stefano Rosso e di Maurizio Ferraris pagina 13 Cfr. pagine 14-16 Cfr. analitico pagina 17 Pietro Marchesani Polonia, qualcosa di terribile pagina 19 Testo: Amos Tutuola Il Povero, la Baruffona e il Maldicente a cura di Itala Vivan pagine 20-21 Ezio Manzini L'età pseudolitica («Le immagini dell'ambiente» IV) pagina 22 Luigi Manconi Analisi dei Verdi («Le immagini dell'ambiente/Interventi») pagina 23 Michel Serres I gravi e il calore («Le immagini dell'ambiente/Antologia») • pagina 24 Silvano Tagliagambe Gli scambi immateriali pagipa 25 Enrico Bellone Scienza: nomi e riferimenti pagina 27 Roberto Esposito Schmitt e Guardini pagina 29 Silvana Borutti Il mito analitico (La strategia freudiana, di S. Benvetore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine.e prezzo; c) glì artìcoiì devono essere invfafriri triplice copia; il domicilio e .il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di immagini tipiche, come il Pornocratès, che ancor oggi campeggia su certe copertine di libri contemporanei, o come Le vice supreme, una specie di manifesto d'irrisione alla morte). La «maledizione» di Rops consiste soprattutto nella scelta di alcuni motivi ricorrenti. Ma non solo quello dell'erotismo, come sarebbe facile arguire. In Rops troviamo anche un profondo senso di critica della società e dei suoi costumi, come nella più grande tradizione letteraria e pittorica francese. Ironia, irrisione della società borghese, caricatura sono gli ingredienti di un laicismo dalle tinte forti ed esasperate, che non esita davanti alle istituzioni stesse del suo proprio mestiere, come i Salons e le esposizioni ufficiali d'arte borghese. Certamente, tuttavia, è l'erotismo il piatto forte di Rops, almeno dal punto di vista dell'invenzione figurativa. Rops gioca con l'immagine del sesso (tanto è vero che talora la rende autoironica sonuto; Lezioni e conversazioni - Ricerche filosofiche, di L. Wittgenstein; Paradigmi per una metaforologia, di H. Blumenberg; Costruzioni nel/'analisi, di S. Freud) pagina 30 Mario Galzigna Delirio e conoscenza (La conoscenza totale, di M. Rossi Monti; Metodo o follia, di A. Musgrave; La scoperta scientifica, di Autori vari; La ricerca del/'assoluto, di H. de Balzac) pagina 31 Ferdinando Taviani La generazione dei registi (Fondamenti del teatro italiano,. di C. Me/dolesi) pagina 32 Vilma Costantini Il teatro tradizionale cinese (Kun • Opera di Nanchino; Chuan • Opera del Sichuan) pagina 33 Vito Zagarrio Attraverso i canali pagina 34 Vittorio Boarini Avanguardie e nuove tecniche («Tendenze di ricerca/Cinema») pagina 35 Lettere pagina 37 Giornale dei Giornali Live Aid pagina 38 Indice della comunicazione Confrontar chi legge pagina 38 Le immagini Félicien Rops a cura di Omar Calabrese Supplemento: Il fondoschiena di Venere Daniel Charles Lentezza e oblio pagina I collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che iÌ criterio indispensabile del lavoro intel-. lettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei terni dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo stituendo il titolo Eros di alcune opere con il titolo Erops), e lo coniuga (Freud non è ancora arrivato) con thanatos, in un dialogo surreale e ai limiti dell'assurdo, ma di grande tensione figurativa. Anche perché ai temi coincidenti (appunto eros e thanatos) corrispondono dellefigure opposte e di nuovo coincidenti, come un senso plastico della figura femminile quale è nel più classico simbolismo anglosassone, e invece un disegno duro e a sensazione, come nella recente tradizione fiamminga e olandese di fine secolo di pittura a sfondo macabro. Su tutto, incombe l'arrembante mondo. delle nascenti comunicazioni di massa, e dunque dell'immaginario trasformatosi in quotidianità: calendari, libretti per barbieri, manifesti pubblicitari, e così via. La critica figurativa di costume è diventata adulta. Arriverà un giorno sulle prime pagine dei quotidiani, ma almeno un secolo dopo. Omar Calabrese Gilbert Lascault L'uomo che ama le donne pagina IV Jean-Jacques Lebel Elogio dello sguardo impietoso pagina V alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Fermenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Marisa Bassi (Asterisco-Milano) Grafico: Roberta Merlo Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta orclinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

;.Unsocenariofatale .. . . . .. S tadio di Heysel a Bruxelles. Per capirci qualcosa, bisogna tener presente che si tratta di un evento televisivo, direi quasi televisuale, cioè un evento ipermoderno, il che lo differenzia da tutti gli analoghi incidenti verificatisi negli stadi del Terzo Mondo. L'immaginazione non è colpita solo dalla violenza, ma dalla mondializzazione in diretta dell'avvenimento via televisione. Bisogna inoltre sbarazzarsi di tutte le ipotesi banali tipo: come è possibile una simile barbarie in pieno XX secolo, oppure: la violenza è la valvola di sfogo delle pulsioni collettive o della miseria sociale. Tutte queste interpretazioni sono mere ovvietà. Invece di deplorare la resurrezione di una violenza atavica, bisogna considerare che è la nostra stessa modernità, la nostra ipermodernità, che produce una violenza di questo tipo, questi effetti speciali di cui fa parte anche il terrorismo (ci tornerò sopra fra poco). La violenza tradizionale, terzomondista, è molto più entusiasta e sacrificale, insieme rituale e spontanea. La nostra è una violenza simulata, nel senso che, più che dalla passione e dall'istinto, nasce dallo schermo, è in qualche modo in potenza nello schermo e nei media, che in apparenza la registrano e diffondono après coup, ma che di fatto la precedono e sollecitano. Come in qualsiasi altro campo vi è una precessione dei media sulla violenza (come pure sugli attentati terroristici): è proprio questo che la rende una forma specificamente moderna, incomparabile con ta violenza tradizionale. E proprio perciò è impossibile assegnarle cause vere e proprie (politiche, sociologiche, psicologiche: tutte le spiegazioni di questo tipo fanno acqua). L a cosa che mi colpisce di più è il fa~toche'. in_qualch_emodo, tutti quanti c1 aspettiamo, se non proprio speriamo, un evento del genere. Quanto meno, se lo aspetta la televisione (intendiamoci: questo non è un giudizio etico sulla televisione o su quelli che la fanno, è una pura constatazione funzionale e tecnica), al punto che oggi è sconsigliabile trovarsi in un luogo pubblico in cui ci sia la televisione, perché in quel caso c'è una forte probabilità di fatti di violenza, indotti dalla sua sola presenza. C'è come una segreta complicità collettiva nell'attesa di uno scenario fatale, anche se poi quando succede siamo stupefatti o sconvolti. Raccontano un sacco di cose: che i poliziotti inglesi erano mescolati tra i fans del Liverpool per sorvegliarli (strategia della provocazione abbastanza simile a quella della Thatcher), che la polizia e le autorità belghe in pratica hanno fatto di tutto per creare l'V) ~ condizioni favorevoli alla esplosio- .5 ne di violenza (e del resto tutto la ~ ) t::l.. lasciava presagire , ma il tutto è secondario rispetto alla sorta di vertigine, di laissez-aller collettivo verso il possibile carnaio, rispetto alla sollecitazione del modello terrorista. Un evento come questo non è un confronto tra forze ostili, non è uno choc di passioni antagoniste, è ~ il prodotto micidiale di forze anÌ noiate e indifferenti ( di cui fanno ~ parte anche gli spettatori inerti della televisione), è la comunione omicida della indifferenza. La stessa violenza deliberata degli hooligans non è la rivendicazione di alcunché, bensì la forma esasperata della indifferenza, che si può dispiegare solo perché gioca sul fondo di indifferenza generale che caratterizza le nostre società. Più che un evento, questa violenza è in fondo, come il terrorismo, la forma esplosiva assunta dall'assenza di evento. O meglio la forma implosiva: il vuoto politico (più che il risentimento di un gruppo marginale), il silenzio del sociale e della storia (e non il rimosso psicologico degli individui), l'indifferenza e il silenzio di tutti che implodono brutalmente in questo evento a sua volta insensato. Dunque non è un episodio aberrante delle nostre società: appartiene alla logica della loro accelerazione nel vuoto. Ci vedo anche un'altra logica, altrettanto moderna. In quell'episodio, la violenza deriva anche dalla brutale inversione dei ruoli: degli spettatori (i tifosi inglesi) diventano attori. Si sostituiscono agli "attori in campo e, sotto l'occhio dei media, inventano il proprio spettacolo (che, diciamolo cinicamente, è senza dubbio più afJean Baudrillard fascinante dell'altro). Siamo franchi: non è proprio ciò che si richiede alla cultura più moderna? Non si chiede forse a ogni spettatore di diventare attore, di abbandonare la sua inerzia e eventualmente di sconvolgere lo spettacolo? Paradossalmente, proprio qm, in avvenimenti selvaggi di questo tipo, si materializza in modo terrificante l'ideale di una ipersocialità moderna di tipo partecipativo. La si deplora, ma in fin dei La lettura di Alberto Magno conti duecento poltrone sfasciate a .un_concerto rock sono oggettivamente un segno di successo. Dove finisce la partecipazione e comincia l'eccesso di partecipazione? Anche qui c'è una logica, impazzita, forse, ma è pur sempre logica. I Romani potevano legittimamente offrire spettacoli di quel genere, con fiere e gladiatori, direttamente nell'arena, sulla scena. Noi possiamo concederceli soltanto dietro le quinte o sulle tribune, e li riproviamo, in nome della purezza dello sport (benché poi li gettiamo in pasto alla mondovisione: checché se ne dica, quei minuti in televisione sono sin da ora in testa alla Hit parade dell'anno). Ma, alla fin fine, crediamo o fingiamo di credere che l'autentica vocazione dello stadio sia ancora lo sport. Pensiamo un attimo, tuttavia, alle olimpiadi di Los Angeles dell'anno scorso: erano già trasformate in una gigantesca parata su cui calava, come nel '36 a Berlino, un'atmosfera, a suo modo terrorista, da manifestazione di potenza - lo spettacolo mondiale dello sport eretto a strategia della guerra fredda: totale malversazione del principio olimpico. Una volta che il suo principio sia stato sviato, lo sport può venire sfruttato per qualsiasi scopo: parata di prestigio o parata di violenza, esso scade da gioco competitivo e rappresentativo a gioco di circo e di vertigine (mi rifaccio qui alla classificazione di Caillois). Anche qui è la tendenza complessiva delle nostre società: dai sistemi di rappresentazione ai sistemi di simulazione e di vertigine. La politica non fa eccezione. N ella tragedia dello Heysel vedrei anche, senza alcun dubbio, una forma di terrorismo di Stato. Che non si traduce solo in azioni programmate (Cia, Israele, Iran). C'è un modo di perseguire la politica del peggio, una politica di provocazione nei confronti dei propri cittadini, un modo per ridurre alla disperazione intere fasce sociali, che oggi rientra nella politica di molti Stati moderni. Sicuramente in quella della Thatcher. Che è riuscita a liquidare i minatori con uria logica del peggio: facendo sì che si qualificassero da soli agli occhi della società. La medesima strategia ha agito nei confronti dei disoccupati hooligans; di fatto, è un po' come se avesse creato dei commandos di disperati da spedire all'estero - certo, condannandoli in nome della morale, ma in sostanza la brutalità di cui fanno mostra è la stessa di cui la Thatcher dà prova nell'esercizio del potere. Questa strategia di liquidazione (che succede a quella della tutela e del welfare), condotta in modo più o meno drastico con l'alibi della crisi da tutti gli Stati moderni, non può non portare a estremismi di questo tipo, effetti perversi di un terrorismo di cui lo Stato non costituisce affatto l'avversario. In mancanza di una strategia politica determinata, concertata (che forse non è più neppure possibile), nella impossibilità di una gestione razionale del sociale, lo Stato desocializza. Non va più avanti attraverso la decisione, la rappresentazione, la volontà politica - ma attraverso il ricatto, la dissuasione, la simulazione, la provocazione o la sollecitazione spettacolare. Inventa una politica della indifferenza - indifferenza nei confronti del sociale compresa. (Reagan, Thatcher, ma anche gli altri, in una certa mism;a). È la realtà del transpolitico, dietro a tutta una politica ufficiale di partecipazione, che è soltanto una politica di facciata votata allo scacco. Quindi, una duplice strategia, e in un certo senso un cinico partito preso per la scomparsa del· sociale. In qualche modo, gli hooligans non fanno altro che portare al limite estremo i due versanti di questa situazione transpolitica: spingono la partecipazione sino a un limite tragico, e insieme ricattano con la violenza e la liquidazione. Lo stesso i terroristi. E quel che ci affascina in una simile operazione, a dispetto di qualsiasi repulsione umana o morale, è l'attualità del modello, moltiplicato dai media, il cui operato è ambiguo, giacché lavorano contemporaneamente alla informazione e alla liquidazione del senso. Eventi simili ci offrono lo specchio della nostra scomparsa come società politica. L e scene dello Heysel a Bruxelles, che ricordano sia Biade Runner sia Rollerball, sono premonitrici. Non a caso hanno colpito !;immaginazione mondiale. Sono il segno di un evento incomprensibile: l'implosione delle nostre società (delle nostre società più moderne), il loro ritrarsi, il loro contrarsi lento o brusco, sotto la parvenza della espansione e della ricchezza. Sono gli unici avvenimenti affascinanti, perché solo essi ci danno il ·polso della nostra logica indifferente e involutiva, quella logica che gli pseudoeventi detti «politici», del vecchio sistema di rappresentazione, cercano disperatamente di nascondere. (Traduzione di Maurizio Ferraris) . ' ...

••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• i CosaNostra ~ • • • • • • • • • • • • • • : .---------------- posto a questa etichetta? Come mediati, è pronta a divorare se tessero ritrovare in questo am- che si svolge la «scena di Beirut», : • La coda del serpente possono essere definiti altrimenti stessa, come tutte le ideologie rigi- biente la loro inquietudine origi- dove gli attori, abbandonato tutto • •• coloro che progettano di «rispar- de, nell'illusione di autoconservar- naria, per interpretare insieme il gioco scenico dello spettacolo, si •• Antonio Porta • miare» a costo di sacrificare delle si. Per chi fa notare errori, orrori e l'inquietudine del nostro presente raccontano senza fare alcuna azio- • =---------------' vite che soltanto un ideologo nazi- lacerazioni profonde è pronto un di uomini e di artisti. ne il testo di Sabra e Chatila, sui : • Il ~erpente che sonnecchia dentro sta potrebbe pensare di tagliar insulto di moda, arrivato bell'e Non si è trattato dunque di por- massacri, sulla morte dei fedayn, • : di noi sta dando un nuovo silenzio- fuori dalla società tutta? confezionato dalla provincia Usa tare un cavallo sulla scena e là ma- sulla violenza e brutalità della : • so colpo di coda. Mi riferisco a Ecco, se la legge permette in più codina (dove è riservato a celiarlo: sono stati gli attori a re- guerra a Beirut. • : quel «cervello di serpente» di cui Italia il trapianto di cuore, essa qualsiasi individuo «diverso»): carsi all'interno di un mattatoio Questa azione dura circa un : • ci ha informato, con ricchezza di prevede pure che non possa essere «Comunista!». comunale, quello di Riccione, do- quarto d'ora. • : prove, Rita Levi Montalcini qual- operato, nelle strutture pubbliche, .---------------. ve ogni giorno si svolge il normale : • che tempo fa, dunque a quello chi ha superato i 50 anni ... Allora lavoro di macellazione di bestie a Azione numero cinque • : «zoccolo duro» (questo sì davvero mi chiedo e vi chiedo: se a un me- scopi alimentari. Un attore, declamando il testo di : • duro e dunque davvero minaccio- dico togliete lo scopo fondamenta- La durata dello spettacolo è ri- Artaud, guida gli spettatori verso • : so e minacciante) sopra il quale si le del suo agire, cioè il preservare dotta a circa un'ora e quindici mi- il cancello di uscita. Il cancello si : • è formato il cervello più propria- la vita dell'uomo con tutti i mezzi nuti. chiude: la separazione tra attori e • : mente «umano». E il colpo di coda a disposizione, presenti e futuri, spettatori si è ricostituita. Dietro il : : lo si avverte sempre più forte e che cosa gli lasciate? Nulla: non vi Azione numero uno cancello, mentre gli addetti al ma- • • prolungato dai segni che lascia sul sarà più distinzione tra un medico Il pubblico, ridotto a una settanti- celio compiono gli atti di sempre : : corpo della società tutta, a riprova e un ufficiale dell'anagrafe. na e composto di studiosi, critici e (lavarsi, salutarsi, parlarsi tran- : • che la società opulenta, che si esi- Parlare di «progresso» in un si- addetti, viene fatto entrare attra- quillamente), Artaud termina il • : bisce in tutto il suo fascino spetta- mile quadro suona grottesco, e verso un piccolo cancello nella monologo e lo spettacolo ha ter- : • colare, nasconde in realtà una viene un altro ironico sospetto, stalla del mattatoio dove gli attori, mine. • : struttura da «società selvaggia». che il «progresso» faccia calare i riuniti a rettangolo, recitano le Questa ultima azione dura circa : • Tale struttura, che si può occulta- profitti. Di fatto la ventata regres- battute ispirate al Miracle de la ro- dieci minuti. • : re fino a un certo punto, dà alme- siva, o il riflusso, non mostra in- se e a Pompes Funèbres. : • no due macrosegnali inequivoca- certezze, anzi trova ogni giorno Dietro di loro un cavallo (e ca- Conclusione • : bili di esistenza. nuovi sostegni e sostenitori. sualmente si è trattato di un cavai- Guardare in faccia la morte è diffi- : • Il primo, il più odioso, è il sem- Stupisce e addolora il fatto che lo: avrebbe potuto essere con cile, lo sappiamo. Ma ancora più • : pre più diffuso fastidio per i più il santo padre, Giovanni Paolo II, uguali probabilità un bovino o un difficile è, per noi, constatare e ac- : • deboli, gli anziani e i bambini. Più elogi all'improvviso Parsifal come .---------------, suino) zoppica tenuto tranquilla- cettare l'indifferenza e il freddo • : deboli perché non producono rie- eroe «giusto» per gli adepti di Co- mente da uno dei macellatori. I distacco con cui giorno dopo gior- : • chezza ma ne assorbono e ne ri- munione e liberazione (stupisce e Genet a Tangeri: gesti degli attori sono lenti, i volti no accettiamo morti, violenze, in- • : chiedono sempre di più (il numero addolora almeno chi sente legata una ambientazione quasi immobili. giustizie, genocidi e massacri di : • degli anziani è in aumento, come alla figura di Parsifal la più solen- Magazzini Criminali Questa prima azione dura circa cui la morte di una bestia per ma- • : si sa). Tale fastidio è sempre sul ne e sanguinaria falsificazione mi- ....____________ _. un quarto d'ora. celio (morte così crudele e umilé e: • punto di trasformarsi in odio e in tologica di questo secolo, quella Pubblichiamo qui la nota inviata che ci accompagna a nostra insa- • : atti di violenza e ne fanno, per co- operata dal nazionalsocialismo, dai «Magazzini Criminali», anzi- Azione numero due puta giorno per giorno) diviene il : • sì dire, fede le denunce che riguar- appunto). Ma ciò che allarma o!- ché nella rubrica delle «Lettere», Si passa al macello vero e proprio, tragico simbolo. Noi stessi abbia-• : dano il Pio Istituto Trivulzio (la tre inodo è il quotidiano rafforza- perché ci sembra vi sia un punto di dove gli operai preposti all'opera- mo vissuto per primi l'azione di : • famigerata Baggina di Milano) e le mento del potere in chi lo detiene contatto significativo con lo scrit- zione sono al lavoro. Essi proce- quella sera in modo lacerante e • : parallele battaglie del Centro di • ormai con cinica saldezza. to che la precede («La coda del dono alle fasi più cruente della doloroso, ma appunto ci sembrava : • soccorso per i bambini maltrattati È il secondo macrosegnale del- serpente»): la denuncia motivata mattanza. Gli attori, in zona sepa- necessario assumere su di noi il • : (il che significa picchiati e tortura- l'influenza della struttura «selvag- di un rimosso fondamentale, con- rata, e senza entrare mai in contat- dolore e la lacerazione che tale at- : • ti, a volte uccisi). gia» di cui si diceva. E richiama tro le facili ipocrisie, sull'onda di to con lo spazio in cui avviene !'al- to provocava. • : Molti avranno seguito il ere- irresistibilmente il funzionamento un perbenismo di maniera, che tra azione, recitano il loro spetta- Ora qualcuno reclama la nostra : • scente interesse e le polemiche su- delle cellule sociali che abbiamo hanno caratterizzato le reazioni a colo: sono i versi più disperati, morte: dovrà essere simbolica o • : ~citate dal problema dell'eutana- sempre definito -~<primitive»e che. questo spettacolo, al di là dei giu- ispirati sempre ai due romanzi reale? Dovrà coinvolgere l'identi- : • sia, quando ci si chiede se sia leci- invece dobbiamo ormai considera- dizi di gusto e di valore. (ndr) precedenti. La recitazione è elo- tà di un gruppo che ha quindici • : to o no dare volontariamente la re come nostre contemporanee, quente, alta, i gesti si ispirano a anni di attività alle spalle e che se : • morte a chi non è più in grado di quelle testimoniate dalla tomba Abbiamo scelto di rappresentare quelli di grandi attori del passato ha compiuto errori lo ha fatto so- • : sopportare la vita e ne fa esplicita del guerriero del Museo archeolo- una versione ridotta dello spetta- (la Falconetti, Artaud, Kean). lamente perché mosso da troppo : • richiesta. La questione posta in gico di Chieti (5000 a.C.). Il guer- colo Genet a Tangeri: senza sce- Successivamente gli attori traccia- amore per la sacralità del teatro e • : questi termini e confini sembra riero era per l'appunto un merce- nografie, senza effetti di luce, sen- no con del sangue (resto di una della vita? O dovrà coinvolgere : • «umanitaria». Ma se la si inserisce nario assoldato da chi doveva di- za oggetti di scena ma solo con la macellazione del giorno preceden- anche fisicamente i suoi compo- • : nel più ampio contesto dell'insof- • fendere l'accumulo della propria presenza nuda degli attori, in un te) delle lettere dell'alfabeto sul nenti? : • ferenza per gli anziani e·della rab- ricchezza, allora riserve di ferro, ambiente urbano preciso: un mat- muro piastrellato di fondo. Dopo Una critica che viene spesso • : bia «per quel che ci costano», il la cui consistenza diventava pari al tatoio comunale in funzione. Lo lavano con getti d'acqua il sangue mossa a spettacoli che affrontano : • sospetto che sia il serpente a parla- potere di chi la deteneva. scopo era quello di determinare delle scritte. il tema della violenza del mondo • : re, e non gli umani, si fa molto Non è un segreto per nessuno il una concomitanza tra lo spa- Durante tutto lo svolgersi del- contemporaneo è quella di essere : : vivace. fatto che oggi il mondo dei paesi zio-tempo della finzione teatrale e l'azione gli attori non guardano, sempre e comunque superati, so- • • Non deve essere un caso, di ricchi sia come una fortezza asse- la normalità di un atto che nella non entrano in contatto con il la- pravanzati dalla realtà stessa: an- : : conseguenza, che contemporanea- diata dai sempre più poveri; e le sua crudezza si ripete ogni giorno. voro dei macellai: è come se quel- che noi lo sappiamo. La scelta di • • mente al problema dell'eutanasia fortezze, si sa, per resistere deb- Volevamo accostare ai temi ge- lo che si svolge accanto a loro sia affiancare il lavoro di un macello : : si faccia strada una prepotente ri- bono preparare armi sempre più nettiani della violenza, della mor- una «sovrimpressione» al loro in funzione a uno spettacolo sulla • • chiesta di contenimento della spe- potenti e deterrenti. Certo, le cose te, della prigionia e alle sue parole spettacolo. Intanto i macellatori violenza e sulla morte non voleva : : sa pubblica nella forma del rispar- sono molto più complicate e mobi- sui massacri di Sabra e Chatila, un hanno finito il loro lavoro: lavano dimostrare il contrario, ma pro- : • mio sulle spese sanitarie. Obietti- li e ambigue, ma se si arriva al fon- atto di violenza quotidiana, lecita gli arnesi di morte, con metodo, prio dichiarare l'impossibilità del • : vo in sé lecito e commendevole ma do si scopre, per esempio, che la e umile come l'uccisione e succes- con pacatezza. teatro di superare la violenza del : • che diventa subito bifronte quan- più potente banca Usa detiene il siva macellazione di un animale Questa azione occupa circa ven- quotidiano e, insieme, un irriduci- • : do si scopre che non si vuole affat- 75 per cento delle miniere sudafri- destinato a fornire la carne di cui ti minuti. bile desiderio di affermare la sa- : • to risparmiare sulle clientelari cane ... Le conseguenze sono sotto ci cibiamo. Abbiamo pensato che cralità della vita. • : «spese correnti», che portano voti gli occhi di tutti. Che volete che le parole tratte da Genet (soprat- Azione numero tre Sappiamo bene, lo abbiamo di- : • ai partiti, ma sulle prestazioni me- importi a quella banca la sorte tutto quelle relative ai massacri Si passa fuori dal macello, in una mostrato in questi lunghi, difficili • : diche e chirurgiche pure e sem- umana e civile di una maggioranza nei campi profughi palestinesi) e il specie di cortile in cui ci,·sono cu- anni di lavoro, che il teatro è il : • plici. nera che può essere valutata in• teatro di Artaud tratto da Pour en muli di mattoni e dei panni stesi ad luogo della finzione e che l'emo- • : Parlando con un giovane cardio- termini di manovalanza sottopaga- finir avec le jugement de Dieu po- asciugare, dove c'è un cancello e zione teatrale è grande perché av- : • logo, qualche giorno fa, si discute- ta ... Si tratta solo di non perderne ,--------------.... un muro. Viene recitata là la scena viene dentro un codice di finzione. • : va proprio delle polemiche che su- il controllo. dei due vecchi che si tirano le ba- La morte per macellazione, non : • scitano oggi certe terapie a causa Il più forte timore, emerso su- stonate (sono Genet e Burroughs) inserita in nessun codice (nemme- • : del loro costo elevato, per esem- bito, quasi involontariamente, e si dicono gioochi di parole a me- no in quello «teatrale» della corri- : • pio l'applicazione di un pace-ma- quando la spia tedesca occidentale tà tra il teatro dell'assurdo e l'a- da) ma offerta nella sua cruda nu- • ":I- . : ker. Perché far vivere un anziano Tiedge è passata al cosidetto «ne- vanspettacolo. I gesti sono ispirati dità quotidiana, è un atto che ferì- : c::s • dal momento che ormai ecc. E il mico», è stato che il «traditore» a una comicità raffreddata. sce più profondamente. Il nostro • -5 : giovane cardiologo mi riferiva il potesse rivelare i luoghi dove la Questa azione prende circa die- errore è stato quello di credere : [ • caso recentissimo di una signora di classe politica tedesca si è fatta co- ci minuti. che il pubblico, quello presente e • ~ : 91 anni cui aveva inserito un pace- struire i suoi rifugi anti-atomici... quello assente, potesse cogliere i : -. • maker e che viveva felice a casa Non vi sentite un brivido correre Azione numero quattro nessi che noi avevamo istituito. O • ~ : sua, senza problemi. per la schiena? Non vi gela il dub- Si passa attraverso una stanza in credere nella nostra sincerità. Ma : E • A questo proposito mi è tornata bio che «loro» prevedano di rima- cui un attore tiene in mano una lo scontro dei linguaggi simbolici • ~ : in mente una sinistra definizione nere potenti anche in un mondo fiamma ossidrica e un'attrice pulì- propri all'espressione artistica con : ~ • che il famoso politico bavarese disertificato e inanimato? sce con un getto d'acqua il pavi- la crudezza della realtà ha provo- • Ì::2 : Strauss aveva affibbiato agli intel- Sembra evidente che l'ideologia mento. Si esce in un altro cortile. cato un cortocircuito emotivo: in : ~ • lettuali: «Assassini da tavolino». del profitto, la più forte e remune- Gli attori sono seduti a terra, _co- noi, coloro che c'erano, in chi non • ~ : Che non sia il caso di cambiare rativa anche in termini politici im- :.ii:...----------' me arabi, appoggiati al muro. E là c'era. : l ........................................................................................................ ~

Polifoniae infedeltà Bice Mortara Garavelli La parola d'altri. Prospettive di analisi del discorso [riportato] Palermo, Sellerio, 1985 pp. 163, lire 12.000 Graciela Reyes Polifonia textual. La citacion en el relato literario Madrid, Gredos, 1984 A ccade a volte che ricerche diverse nei contenuti e nelle applicazioni scoprano d'improvviso i loro legami nascosti: un ordine s'istituisce quasi spontaneamente. Oggi assistiamo a un caso del genere, dopo la divulgazione dei lavori cji Bachtin sulla plurivocità e la pdlifonia. Intorno alle luminose scoperte di Bachtin vengono a disporsi le annose ricerche linguistiche e stilistiche sul discorso diretto e indiretto, soprattutto sul discorso indiretto libero, così come le rifl~ssioni, specialmente angloamericane, sul punto di vista nella narrazione. E cadono con generale sollievo le paratie fra ambiti disciplinari diversi: linguistica, critica, teoria letteraria. Ciò che Bachtin ha rivelato è che nel romanzo s'intrecciano molte voci, molti linguaggi. Ci sono anzitutto i vari linguaggi sociali, espressione di ideologie, classi, mestieri, ambienti: l'uso di termini che vi afferiscono costituisce una concentrata allusione alla vicinanza e alle eventuali tensioni fra gli strati. Il quadro della società rappresentata rinvia alla complessità della società reale alternando i riferimenti al quadro delle manifestazioni linguistiche. Poi ci sono i registri o stili individuali. Che non sono soltanto quello proprio dello scrittore e quelli dei differenti personaggi. Perché la citazione «pura» di questi registri, attraverso i discorsi diretti, si complica mediante contaminazioni e sovrapposizioni. Sono contaminazioni le mescolanze tra il registro di un personaggio e quello del narratore, o di un qualunque intermediario; sono sovrapposizioni quelle tra l'intenzione del narratore e l'intenzione del personaggio: il primo può stilizzare, o parodiare, o criticare la voce del secondo nell'atto stesso di riferirla. Si vede subito perché vengano chiamati in causa da tali rilievi gli studi sul punto di vista e sui tipi di discorso. Assumendosi la licenza di descrivere i fatti sia da un punto di vista distaccato o apparentemente oggettivo, sia con l'angolazione secondo la quale i fatti sono apparsi a un dato personaggio, gli scrittori hanno naturalmente accolto le possibilità di caratterizzazione offerte dal complesso delle disponibilità linguistiche. Polifonia e pluralità di punti di vista sono strettamente collegate. tr) <::s D'altra parte il confronto tra il -5 discorso diretto e quello indiretto ~ c::i.. consente di precisare i mutamenti tr) di attendibilità a cui un discorso è ~ ....... ~ ~ ~ ~ "" ~ assoggettato quando, riferito in forma indiretta, non solo entra nella prospettiva di colui che lo riferisce, ma è parafrasato, riassunto, più o meno profondamente falsato. Si sovrappongono in questo caso due locutori (l'autore del di- ~ scorso, o enunciatore, e colui che l lo riferisce) e due situazioni di di- ~ scorso (quella in cui fu profferito il primo enunciato e quella in cui esso viene riferito). Croce e delizia di queste analisi il discorso indiretto libero, in cui i registri, le esclamazioni, i riferimenti di tempo e di luogo possono essere quelli del primo locutore, ma responsabilità e contesto appartengono al secondo locutore. Qui la polifonia è davvero mescolanza o alternanza di voci. N on stupisce che due studiose abbiano contemporaneamente e indipendentemente visto l'utilità di svolgere in modo sistematico riflessioni sull'ambito che ho rozzamente delimitato. Una è Bice Mortara Garavelli, nota specialista di stilistica e linguistica testuale; l'altra, meno nota almeno in Italia, è un'argentina che vive e insegna a Chicago, Graciela Reyes (bell'esempio, in complesso, della ormai completa internazionalità delle nostre ricerche). I loro due volumi hanno moltissimi punti in comune: alternano analisi di testi letterari e di brani giornalistici o di esempi fittizi; utilizzano una bibliografia in buona parte analoga; mantengono, sulle orme di Ducrot, la distinzione che ho già usato qui tra enunciatore e locutore; ricorrono più volte al concetto di intertestualità; terminano con un'analisi del discorso indiretto libero le rispettive trattazioni, in cui si parla molto di polifonia e di citazione. Maggiori però le differenze: la Mortara Garavelli procede metodicamente, elucidando gli argomenti in modo progressivo, la Reyes parte da una discussione generale, e attraversa veloce molti campi d'indagine; la prima ha un linguaggio preciso, con tecnicismi (puntu~lmente spiegati) e sigle, la seconda ricorre a uno stile immaginoso, mimetico rispetto agli autori . più frequentemente citati (Borges, Garda Marquez, Cortazar). E si potrebbe proseguire a lungo con queste «vite parallele». Cesare Segre Quello che importa è che la diversa indole delle due studiose produce risultati convergentemente positivi. La Mortara Garavelli ha una preoccupazione quasi giuridica,. quella dell'attendibilità. Perciò il confronto che opera sui diversi modi di riferire (riportare) un discorso punta sugli elementi di realtà nella loro resa linguistica: gli avverbi di luogo e di tempo, i modi dei verbi, i nessi tra introduzione ai discorsi riportati e i discorsi stessi. Il risultato è una precisa tipologia, che rende più sicura la valutazione degli elementi tonali e registrali. La tipologia ha anche carat- . tere storico. C'è infatti uno sviluppo nell'impiego lungo le varie epoche dei procedimenti descritti: e se il discorso indiretto libero è strumento sostanzialmente moderno, in epoche precedenti si possono elencare interferenze diverse tra discorso diretto e indiretto, tra linguaggio di çhi riporta e linguaggio riportato. Messa a punto la metodologia, la Mortara Garavelli si esercita brillantemente su testi letterari, dando, per esempio per Pirandello e Gadda, eccellenti esempi di lettura. Per la Reyes, pare che lo studio della polifonia sia una corsia preferenziale per giungere alla definizione del testo narrativo. E anzi la Reyes inserisce felicemente nella polifonia bachtiniana anche l'iroFantasia musicale nia. Chi fa un discorso ironico, dice, è come se desse voce a un «locutore ingenuo», le cui affermazioni, non collimanti con le opinioni e la personalità del locutore effettivo, ottengono il loro effetto grazie a questo contrasto. Infatti l'operazione si ripete, specularmente, nell'interlocutore, che prima recepisce in qualità di «interlocutore ingenuo», poi nota il divario e coglie l'ironia. La natura potenzialmente letteraria dell'ironia si rivela nel momento in cui viene data voce al personaggio fittizio del «locutore ingenuo». Il discorso ironico è insomma una specie di citazione di discorso altrui. Ma persino il testo narrativo in generale costituisce, secondo la Reyes, una grande citazione, una struttura verbale fittizia comunicata al lettore consapevole come imitazione (o sublimazione) dell'atto di narrare. Chiuso tra ideali virgolette, esso può essere .quando si voglia prelevato e riutilizzato. Proprio all'estremo opposto il resoconto giornalistico. Qui la comunanza dei riferimenti spazio-temporali tra giornalista e lettore istituisce una specie di rapporto «faccia a faccia», una specie, sia pure particolare e unidirezionale, di conversazione. Tra resoconto giornalistico e narrazione romanzesca c'è una competenza che ha ben afferrato Martfnez Bonati, e cioè la capacità di produrre enunciazioni che rappresentino altre enunciazioni prodotte in situazioni comunicative differenti. Qualunque narratore spontaneo fa già ricorso a tale competenza, tutt'altro che ovvia. V aie la pena di riflettere un po' (come già fanno entrambe le studiose) sulle diversità fra resoconto giornalistico (televisivo ecc.) e narrazione. Il resoconto ha un punto di riferimento preciso nella realtà: fatti accaduti, parole pronunciate. La narrativa d'invenzione si riferisce invece a un mondo fittizio, di cui è a conoscenza, avendolo istituito, unicamente lo scrittore stesso che ce ne riferisce, insindacabile e incontrollabile. Ma proprio la sua posizione istitutiva fornisce allo scrittore una massa di conoscenze non solo su parole e atti, ma su pens1en, impressioni, pulsioni. Così l'impegno nella descrizione e nella fedeltà si fa massimo in colui che a questa fedeltà non è obbligato da alcuna deontologia. L'analisi linguistica mostra facilmente che la totale fedeltà, per il cronista, è impossibile. Basti dire che egli, come locutore, trasporta gli enunciati altrui in una diversa situazione di discorso, perciò li falsa in partenza. Inoltre, egli è soggetto a limitazioni visive o acustiche, non può render conto di intonazioni, sospensioni, gesti, e così via. Si sa bene quanto sia difficile anche per un testimone oculare essere esatto ed esauriente. Si aggiungono poi le deformazioni della memoria, la necessità di sintetizzare, l'autorizzazione a riferire come discorsi diretti anche delle parafrasi approssimative del discorso realmente pronunciato, che il cronista non può memorizzare integralmente. Le virgolette, è noto, non sono affatto un sigillo di garanzia. Esse possono significare: discorso riportato testualmente. Ma significano anche: discorso riportato in forma sommaria, cioè con fedeltà (dubbia) solo contenutistica. Così come, appiccicate a una parola, possono significare: parola usata dalla persona di cui si sta parlando; ma anche: parola in uso impiegata dal cronista con riserva, o alludendo a opinioni di terzi; e anche: termine tecnico di cui scusarsi col lettore, e così via (ottime le osservazioni della Mortara Garavelli). Non è solo per comodità tipografica che ci si astiene dall'impiegare un repertorio, che sarebbe inesauribile, di virgolette diverse adibite ciascuna a un uso preciso. Al giornalista perciò non si può chiedere una fedeltà totale, ma soltanto buona fede e impegno ad aderire alla realtà narrata. Quelli invece che hanno un repertorio estremamente ricco di mezzi per graduare, e segnalare, le loro approssimazioni, sono i romanzieri. Ed è da loro che si possono imparare, almeno, le diverse possibilità di rapporto con i fatti e le parole, mediante spostamenti di prospettiva, adesione o distacco, implicazione o disimpegno. A ragione nota la Reyes che l'epoca d'oro del discorso indiretto libero è quella del romanzo realistico. Oggi la situazione è molto cambiata. La regolamentazione delle voci nella polifonia romanzesca non è più osservata. È il risultato anzitutto del diverso concetto di romanzo, della decadenza del narratore onnisciente. Meno spesso che in passato ci si azzarda a riferire sui pensieri del personaggio, frequentemente l'autonomia stessa del personaggio è messa in forse. La realtà inventata appare enigmatica e nebbiosa, mutilata, e l'impegno non è più a descriverla, ma ad afferrarne qualche brandello, o a mostrarne i riflessi nella percezione, anch'essa malcerta, dello scrittore. Ma i romanzieri si sono anche resi conto che le barriere tra voce dello scrittore e voci dei personaggi, le gerarchie di attendibilità fra discorso diretto, indiretto e indiretto libero, sono una finzione rispetto a una materia narrativa che • è tutta, ed esclusivamente, dello scrittore. Ecco allora che i registri linguistici possono scambiarsi entro o fuori delle virgolette, che narrazione e discorso riportato possono mescolarsi e alternarsi, che si affermano nuovi tipi di discorso, come il monologo interiore e il flusso di coscienza. L'orchestra che il narratore dirige è composta di una sola voce infinite volte rifratta: la sua.

Carlo Dossi Il Regno dei Cieli. La colonia felice a c. di Tommaso Pomilio con una nota di Guido Davico Bonino Napoli, Guida, 1985 pp. 172, lire 18.000 Autodiàgnosi quotidiana a c. di Laura Barile Milano, All'insegna del Pesce d'oro, 1984 pp. 52, lire 10.000 A Ila voce «Utopia» la letteratura italiana moderna risponde con deboli sussurri. Anche per questo la riproposta de La colonia felice dello scapigliato Dossi è una di quelle iniziative che fanno bene sperare nell'editoria cosiddetta «minore», in. tempi di scoramento per la «maggiore» (Carlo Dossi, Il Regno dei Cieli. La colonia felice, a cura di T. Pomilio, Napoli, Guida, 1985). Certo da Thomas More in qua il non-luogo (u-topos), incrociato già all'origine con l'ottimo-luogo (eu-topos), si è prestato a viaggi immaginari nella Città perfetta, a disquisizioni saggistiche su progetti di legislazione ideale, a sottili rovesciamenti dell'esistente, nei quali i valori di testimonianza e di rivelazione del mondo possibile sono in varie dosi prerequisiti del genere; per la verità piuttosto anguillesco, come si impara dal libro di Alberto Petrucciani, La finzione e la persuasione. L'utopia come genere letterario (Roma, Bulzoni, 1983). Molto anomalo il testo dossiano, che già nel sottotitolo si definisce «Utopia lirica», sottolineando con l'attributo la componente centripeta e narcisistica di cui l'autore è rimasto vittima compiacente in tutta la sua carriera. Solo se ci si rassegna a definizioni più morbide, tipo «tableaux imaginaires d'un idéal constructif de la vie en société, supposé réalisé et présenté dans le cadre d'un récit» (Raymond Trousson), o all'avvicinamento tra genere utopico e satira menippea alla Frye si può accostare serenamente La colonia felice, che nel 1874 tien dietro alle più note e formidabili operazioni decostruttive del romanzo che sono L'Altrieri (1868) e Vita di Alberto Pisani scritta da Carlo Dossi (1870), ma ripropone paradossalmente la forma romanzesca proprio laddove si sarebbe potuto evitarla, magari ricorrendo alla branca più saggistica del genere. Questa «sbornia di filantropià» racconta la ricostruzione di un patto di convivenza sociale da parte di un mucchio selvaggio di uomini e donne deportati su un'isola deserta e ivi abbandonati al puro istinto di sopravvivenza. Dapprima si fronteggiano la forza bruta di Gualdo il Beccaio e l'intelligenza del Letterato, insomma - come glossa il titolo del cap. II - il leone e la volpe, che nello scontro in un primo tempo ha la meglio. Ben presto però la nascita di una figlia che Tecla la Nera sforna al nerboruto Beccaio provoca la conversione: «amore ha forza assài più della Forza», postilla un autore att~nto agli effetti semantici delle maiuscole e, ahimè, anche a un sistema ritmico di accentazione che oggi appare uggioso e superfluo. Dunque, per l'utilità comune, leone e volpe si accordano rimettendo in auge l'eterna ideologia della famiglia. Così le tessere del mosaico anarchico-delinquenziale vanno a posto a due a due: Ambra l'Avvelenatrice con Sergio il Ranza, Ester con Rosario il Fanfirla, Olivetta Cuorbello con Amos il Lima, Carmen la Smorta con Giorgio il Rampina (a proposito, un'orgia onomastica tra canzoni della mala da Cerchia dei Navigli e autobiografie della «leggera»). L'unico che si sottrae al cappio coniugale, Mario il Nebbioso, cadrà tosto nelle amabili reti amorose della figlia giovinetta di Gualdo e, per conseguenza, sarà ricondotto alla societas degli ex delinquenne nella mitologia fascista. Ma Dossi non è Pirandello, scrittore di idee e non di paro!e. A onor del vero, dieci anni dopo l'utopia il Màrgine alla Desinenza in A (aggiunto alla seconda edizione del libro misogino) vanifica la polemica tra idealisti e realisti, in quanto «della realtà fanno parte integrante e l'illusione e il sogno e la fede e lo stesso idealismo», sicché l'affermazione potrebbe benissimo giustificare l'«utopia lirica»; ma è anche vero che· nello stesso Màrgine Dossi liquida senza mezzi termini l'uso dell'intreccio o plot narrativo, mentre scioglie un inno all'autonomia del livello stilistico e cioè al «geroglifico Dossi» con la sua denParallelamente (1896) ti, di cui l'ultimo capitolo esplicita così la spinta aggregatrice: «chiaramente appariva, come, non tanto le dèboli voci della coscienza morale, quanto le fisiche necessità, avèsseli spinti al bene comune, cioè alla giustizia». Q uesta è senza dubbio un'utopia redenti va (e regressiva) borghese, che al prefatore Davico Bonino evoca La nuova colonia pirandelliana per quell'ambiguo trionfo della famiglia in Dossi e !'ancor più stupefacente finale di Pirandello, con la prostitutz abbarbicata alla sua creatura, Madre con la maiuscola destinata a matronale celebrazio- ~ sità retorica e «l'ingegnosa oscurità di stile che fà la delizia degli intelligenti e la disperazione del pubblicaccio». Ora nella Colonia le due tensioni convivono: da una parte una trama romanzesca diciamo pure tutt'altro che osée, dall'altra un umorismo, un gusto del bon mote del calembour che fagocita l'intreccio mediante il sublime trovarobato lessicale e retorico del proverbiale pre-gaddismo di Dossi (ma Gadda, il «convoluto Eraclito di via San Simpliciano», addurrà più solide motivazioni gnoseologiche al suo pastiche). Lombardismi, dialettalismi d'altre regioni, voci gergali accanto a latinismi, arcaismi e neoformazioni dilagano dalle parti narrative a quelle descrittive, puri fondali ricamati di stupore, e invadono perfino i dialoghi dei deportati, in modo che l'espressionismo sconfessa la suggestione mimetica del romanzo: tutt'altro che bachtinianamente pluridiscorsiva la variegata parola dossiana è soggettiva e adialettica. Lo fa giustamente notare nella postfazione molto densa Tommaso Pomilio, che però nelle note ai singoli termini abbonda troppo con la definizione di hapax, attribuendo a Dossi un eccesso di iniziativa lessicale e semantica che quel divoratore di vocabolari non intendeva perpetrare. Per esempio ebanino 'eburneo' e insoavendo (Frugoni, Tenca, Nievo) non sono forme dossiane; furia/e 'che spinge alla furia' è tra l'altro in Marino, Foscolo, D'Annunzio; ragnaia 'ragnatela' sarà raro, ma non è «risemantizzazione dossiana». Sul versante retorico le figure etimologiche avvitano su se stesse la lettura («Gualdo, mietendo, sospirava ai mietuti» con addensamento metaforico su mietuti=defunti; «Forestina temette il timore»); i chiasmi semantici ironizzano concettosamente il messaggio, se del finale embrassons nous si dice: «parèa perfino che l'entusiasmo, passeggera follìa, si tramutasse in follìa, duraturo entusiasmo». A dispetto dell'assunto, l'ironia più che critica dell'esistente, e dunque mezzo euristico, è nihilizzante; come dire: la persuasione, di cui l'utopia in quanto genere è portatrice, si fa qui travolgere da una retorica disgregatrice. L'«io sol'io» di una Nota azzurra (la 2271) è presa di voce continua di un narratore che invade con un umorismo alla Jean Paul Richter l'intreccio e alla fine lo sfibra in un Erewhon stilistico. Perciò non stupisce la Diffida aggiunta alla quarta edizione (1883) e presente nella ristampa Guida, che giustamente a tale edizione si attiene. Dossi si rimangia tutto, filantropia su base utilitaristica e patina archeologizzante. La prima in omaggio al positivismo lombrosiano e forse alla virata politica del Dossi ghost writer di Crispi: «L'uomo malvagio, non è correggìbile» dicono psichiatria, chimica organica e statistica criminale, fino a suggerire lo sterminio dello scellerato e della sua famiglia usque ad quartam generationem; la seconda in quanto residuo anacronistico di un'originaria infatuazione per i «barocchi del classicismo», che sarebbe dovuta sfociare in un lavoro teatrale con scenari di architettura romana per i dialoghi tra Marco Aurelio e Lucio Vero; la deriva di un siffatto progetto iniziale sarebbe rimasta a contaminare col «sapor ràncido di latinismi» la contemporaneità necessaria al romanzo. In tal modo l'autore stesso «diffida» a leggere pacificamente il suo «spròposito» e al contempo costringe a rileggerlo, per quanto in modo straniato. Ef di pochi anni anteriore al Màrgine e alla Diffida un'altra curiosa manifestazione dell'umorismo saturnino del Dossi, l'inedita fino a ora Autodiàgnosi quotidiana in forma di prefazione a un libro che non c'è (a cura di Laura Barile, Milano, All'insegna del Pesce d'oro, 1984), In una dozzina di pagine straordinarie colui che scrive si offre, oggetto spontaneo di diagnosi, all'amico Lombroso come esempio probante delle sue teorie sull'ereditarietà e sul nesso genio-follia. Nell'Autodiàgnosi Dossi- sembra sostenere a spada tratta l'eteronomia dell'arte con una spietata rassegna di tare familiari e un autobiografismo in chiave neurastenica, nel quale vengono sdoppiati il soggetto in «io» ragguagliante e !'egli Carlo Dossi oggetto di anamnesi: a quest'ultimo si attribuiscono disturbi gravissimi con una terminologia medica abborracciata che fa sospettare il solito rovesciamento ironico. Atassia motoria e linguale colpirebbe lo scrittore dopo periodi di studio matto e disperatissimo, perdita di «Mnemosine» e una sorta di afasia sarebbero responsabili del «garbuglio di pervertiti vocàboli, di tempi di verbo errati, di suoni di voce stonati», insomma dello stile «tutto a cancellature» di cui pure si inorgogliscono molte Note azzurre e di cui celebra l'apoteosi il Màrgine sopra citato, guarda caso improntato a un'opposta idea di autonomia della sfera stilistica e a una concezione del rapporto autore-lettore, non più rispettivamente padre e bambino, ma collaboratori nel parto di idee che scaturisce dalla rottura del vecchio patto di verosimiglianza. Qui siamo già alle soglie delle varie avanguardie del Novecento. L'amicizia con Cesare Lombroso, documentata con cura da Laura Barile, che ha steso postfazione e note impeccabili, è del tutto comprensibile perfino al di là della moda positivista. Anche lo scienziato, a sua volta chiacchierato e visto con sospetto tra Pavia e Torino dove insegnò, deificava il genio giusto mentre lo esorcizzava mettendolo in rapporto col «diverso» per eccellenza, pazzo o criminale che fosse; anche lui era attratto dal gusto del catalogo e dei nessi arditi o bizzarri; anche lui, infine, era agli occhi del Dossi un personaggio paradossale. Questa Nota azzurra sul famoso studioso della pellagra parla da sé: «Per criticare poi la pazzia, Lombroso si pensa di convertirla in pellagra, e però dà ai matti ogni mattina un bicchiere di raccagna con un grano di melica - Tiene anche una capponaja di pollastri pellagrosi e impazziti a forza di maiz guasto». Il fatto è che una carica antifrastica serpeggia in tutte le opere del conte Alberto Carlo Pisani-Dossi e la cosiddetta realtà è volentieri sopraffatta dai veleni di una scrittura ilaro-melanconica. Scrittore dandy per eccellenza, Narciso prigioniero di un gioco labirintico di 'O specchi verbali, ma soprattutto gran virtuoso, i cui «salti spesso mortali sullo stesso posto» (p. 10 ~ dell'Autodiàgnosi e Nota azzurra ~ 1719) potrebbero regalargli un po- ~ ..C) sto nella galleria dei ritratti di arti- E sti come saltimbanchi di cui ha ~ ~ detto un bel libro di Jean Staro- "' binski. ~

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